L’associazione che si occupa di donazione degli organi precisa che la signora Rosalba Giusti era in coma ma non in condizione di morte cerebrale, l’unica che consente il dono
E’ rimasta in coma per quattro anni, poi si è risvegliata. L’incredibile storia di Rosalba Giusti è finita alla ribalta nazionale. I familiari hanno raccontato che era stato richiesto loro di autorizzare la donazione degli organi, quando sembrava non ci fossero più speranze. L’associazione “Donare è vita Corrado Lazzaro Onlus” vuole precisare che, nella storia della signora Giusti, c’è un elemento costante: “la presenza di attività cerebrale che ha spinto i medici a insistere per tentare di salvarle la vita”.
“Quando un medico chiede ai parenti il consenso alla donazione degli organi – dice il presidente dell’associazione, Gaetano Alessandro – vuol dire che il malato non ha più alcuna speranza, che è subentrata la cosiddetta “morte cerebrale”. Il prelievo degli organi non avviene immediatamente, ma dopo un dettagliato percorso, che prevede l’osservazione del paziente e la verifica della totale assenza di attività cerebrale, cosa che, evidentemente, nel caso della signora Giusti non è stata riscontrata. Per questo i medici hanno deciso di insistere e per questo oggi festeggiamo tutti il risveglio della donna. Il coma vegetativo e la morte cerebrale, però, sono due cose distinte e separate. L’unico modo per tenere in vita una persona “cerebralmente morta” era e resta il consenso alla donazione degli organi. Darlo significa trasformare una tragedia come la morte di una persona cara in una speranza per chi attende un trapianto”.
Alessandro ricorda la legge numero 578 del 29 dicembre 1993 e conclude. “L’accertamento ha una durata minima di 6 ore, in cui si avranno minimo due serie di esami clinici e strumentali all’inizio e alla fine. Durante il coma, il cervello è vivo ma non funzionante. In caso di morte cerebrale, invece, le cellule del cervello sono morte”.