Un progetto che esalta e protegge lo spirito del luogo.
Creatrice degli spazi, il cui fine nobile è quello di proteggere e migliorare la vita degli esseri umani l’architettura italiana ha sempre affascinato il mondo. Nel corso del tempo sono nati moltissimi premi per rendere merito a questa arte che si presta alle esigenze dell’uomo ma che ri-disegna i profili estetici dello spazio e del paesaggio. Uno di questi, fra i più longevi e prestigiosi è sicuramente il premio IN/ARCH, istituito nel 1962, promosso dall’ Istituto Nazionale di Architettura, da ANCE e da Archilovers. Un premio che ha rivestito e riveste ancora un ruolo di grande importanza nel dibattito architettonico italiano. Vincitrice di una delle categorie è una giovane architetta progettista reggina Francesca Schepis che ci ha raccontato tutto del suo progetto e dell’emozione provata. Emozione che in questo momento storico, assume un’importanza ancora più profonda.
Parlami della tua decisione di partecipare a questo concorso.
“Questo è stato un anno particolare, lo sappiamo tutti, un anno che ci ha visti chiusi costretti ad uno stop del corpo, ma non della mente. In quei mesi non mi sono mai fermata, ho continuato a lavorare e ad un certo punto ho deciso di provare, ho deciso di mettermi in gioco e partecipare ad un premio storico e di grande prestigio, la cui ultima selezione risale al 2014. Ho avvertito questa esigenza quasi come una necessità, una spinta per non sentire il peso dell’incertezza e della fine, un peso che si sentiva ovunque e fortissimo in linea generale.”
E ti ritrovi a vincere, tra l’altro è un riconoscimento che in modo corale premia tutti i protagonisti, l’intera filiera: il committente, il progettista e l’impresa che lo realizza.
“Si, è una sensazione molto particolare. Quello dell’architetto non è un mestiere solitario, è la tessitura di rapporti con altre voci. E’ una comunione di intenti. La volontà di più voci che vogliono operare in maniera estetica, qualitativa e puntuale per restituire un progetto valido e vivibile alla comunità. E’ molto gratificante quando accade tutto questo.”
Arriviamo al progetto
“La committente è stata la Regione Calabria. il luogo un posto molto particolare. I beneficiari, l’ONLUS Regina Pacis che si occupa di categorie a rischio. La sfida era quella di creare un centro spirituale per loro, per la comunità, un edificio capace di accogliere, di provocare emozioni rassicuranti e pregne di positività.”
E da dove hai iniziato, dove hai trovato la prima scintilla?
“Nessun progetto parte dal nulla, non lavoriamo su un terreno nudo. Il luogo è sempre antropizzato. Il punto di partenza è stata una collina sulla quale vive una quercia monumentale protetta dalla soprintendenza paesaggistica. Volevano abbatterla perché lesionata gravemente dagli agenti atmosferici. Lì è nata l’idea di renderla il nucleo spirituale del progetto in virtù di quel “genius loci” presidio di ogni posto”
La quercia, perciò è diventata simbolo di resilienza, di forza e volontà. Il centro della tua idea. Hai inserito l’albero nella struttura?
Si ed è nata una struttura compatta, un’aula liturgica densa di luce speciale. Uno spazio essenziale di sapore francescano privo di orpelli barocchi. Sono l’atmosfera e la luce a diventare protagoniste, a creare un “ricovero per l’anima” in cui tutte le aperture hanno un rapporto speciale con il paesaggio. E’ questo il compito dell’architetto, questo è la sua missione. E’ questa la mia missione, non perché faccio questo mestiere, ma perché io sono architetto”