Lo scontro politico non è più tra destra e sinistra, tra progressisti e conservatori o tra socialisti e liberali, ma tra un’intera pessima classe politica e i cittadini. Dove questi ultimi rischiano di essere condotti al macello da forze politiche inadeguate e inconcludenti. Purtroppo, se questi autentici incompetenti dovessero prevalere, non saranno loro a pagarne i danni, ma le fasce più deboli della popolazione. Come sta drammaticamente accadendo nella vicinissima Grecia.
Sono rimasto così colpito dalla chiarezza e dall’efficacia con la quale James Harding, direttore del quotidiano londinese The Times, ha riassunto le prospettive dell’Europa sulle pagine de La Repubblica, da non poter fare a meno di proporne una sintesi per i lettori di Tempostretto. Nella convinzione che serva a comprendere la dimensione strutturale e sovranazionale della crisi dell’euro.
Vale la pena fare una premessa: nell’era dell’economia globalizzata, l’entrata nell’euro può essere paragonata alla partenza di una gara di corsa – la competitività tra i diversi “Sistemi Paese” -, dove però alcuni concorrenti sono acciaccati, altri perfettamente in forma. E la linea d’arrivo è uguale per tutti.
In conseguenza degli acciacchi iniziali, alcuni arrancano (Grecia, Portogallo, Spagna, Italia e Irlanda), altri corrono spediti.(Germania, Paesi Bassi, Finlandia e, con qualche difficoltà, Francia e Austria). La sfida per i Governi dei Paesi più deboli era quella di adeguare i rispettivi Sistemi-Paese (Giustizia, Burocrazia, Mercato del lavoro, Istruzione, Sistema pensionistico, Debito pubblico, etc.) al livello quelli dei Paesi più competitivi.
Il risultato è sotto gli occhi di tutti.
Oggi, a 11 anni dall’inizio della corsa, i nodi sono arrivati al pettine e ci si pone il problema se continuare a correre nella speranza di entrare in forma strada facendo – ipotesi di riuscita degli sforzi del Governo Monti -, ma anche col rischio di farsi venire un infarto per avere “chiesto troppo” ai cittadini. Oppure ritirarsi, uscendo dal percorso di gara. Cioè dalla moneta unica.
James Harding afferma che l’unione monetaria fu un errore di fondo, sia per la disparità strutturali dei suoi componenti che per la mancanza di un’unione delle politiche di bilancio. Alcuni Stati, insistendo nella politica del “deficit spending”, continuarono infatti ad accrescere il debito pubblico senza migliorare la loro competitività.
Fino ad arrivare alla situazione odierna, che vede troppi Greci e, aggiungerei, troppi Portoghesi, Spagnoli e Italiani che patiscono troppo e da troppo tempo. Mentre i Nordeuropei dovranno continuare a mandare soldi agli assolati Stati del sud.
Harding vede nero: Chiedere alla Grecia di ripagare i suoi debiti tagliando a tutto soiano non funzionerà. Chiedere alla Germania di pagare per gli Stati del sud non funzionerà. Un’unione delle politiche di bilancio senza un consenso politico non funzionerà. Cercare di ottenere il consenso politico senza un’unione politica non funzionerà. E cercare di ottenere un’unione politica senza il consenso politico non funzionerà.
Si può anche essere ottimisti a breve termine – la Grecia accetta la purga tedesca e, in Italia, Monti riesce a imporre una serie di durissime riforme -, ma le crisi, con gli stessi o con altri protagonisti, si ripresenteranno sempre più gravi e frequenti.
In sintesi, siamo di fronte a un burrone. O saltiamo o torniamo indietro.
Saltare significa imporre ai Paesi dell’Area Euro un pacchetto di riforme politiche, sostanzialmente uguali per tutti. Che dovranno essere accettate obbligatoriamente anche da coloro che vorranno entrarvi. Pesante rinunzia alla sovranità individuale e all’autonomia dei partiti.
Oppure smontare la moneta unica, lasciando che gli Stati meno produttivi escano dall’euro e concentrandosi su un’area che non necessita di trasferimenti finanziari.
Se l’analisi del direttore di The Times è esatta, i 2.400 emendamenti al decreto sulle liberalizzazioni – leggere, molto leggere per la verità -, dimostrano ancora una volta che i nostri parlamentari non hanno capito nulla. Continuano a flirtare con le corporazioni dalle quali si sentono protetti e sostenuti, spingendo il Paese verso il naufragio. Se, per disgrazia, dovessero riuscire nel loro intento di edulcorare i provvedimenti attuali e futuri di Monti, sarebbe meglio prepararsi a uscire dall’Area dell’euro forte.