Una Corte d'Appello gremita ha accolto Bianca Stancanelli a Messina, per presentare il libro "La città marcia”, grazie ad una iniziativa dell'Ordine degli avvocati
"Chi controlla il passato controlla il futuro". Questa frase tratta da “1984” di George Orwell, scelta da Bianca Stancanelli come incipit del suo libro, racchiude la ragione che la porta a raccontare storie come quella dell'omicidio del sindaco di Palermo Insalaco protagonista del suo ultimo libro “La città marcia”. Lo ha spiegato l’autrice a chiare lettere in una Corte d'appello gremita di avvocati e non solo, nel corso di un incontro organizzato, grazie alla collaborazione della libreria Bonazinga, dalla Scuola Forense coordinata dall’avvocato Aurelio Maiorana, nell'ambito degli appuntamenti culturali.
Ad accogliere la giornalista e scrittrice messinese- già cronista del “l’Ora” di Palermo e inviata del settimanale Panorama, autrice, tra gli altri di quello che Daniela Bonazinga ha definito un “best seller” “A testa alta”, il libro su Don Pino Puglisi- il presidente dell'ordine degli avvocati Vincenzo Ciraolo, il consigliere Paolo Vermiglio e Daniela Bonazinga. A dialogare con la scrittrice scandagliando i punti cruciali del suo libro l’avvocato Pompeo Oliva.
"Solo capendo e studiando quello che è accaduto in passato- ha detto Stancanelli- siamo in grado di decodificare quanto accade ai giorni nostri. L'attentato al presidente del Parco dei Nebrodi, Giuseppe Antoci, ci porta indietro di tanti anni. Ci fa riflettere sul fatto che la mafia è ancora presente e pericolosa. E ancor più forte si sente l’esigenza di capire i fatti di allora per leggere meglio la realtà che ci circonda”.
E questo fa Bianca Stancanelli in un libro avvincente che racconta la Palermo degli anni '80. Quel"La città marcia” nella quale si forma Giuseppe Insalaco, giovane democristiano che aveva bruciato le tappe nel partito di Salvo Lima e Vito Ciancimino sino a diventare sindaco. Arrivato al potere, però, qualcosa si era rotto in lui tanto da portarlo a opporsi al “sistema”.
Nei suoi centouno giorni al potere si era ribellato ai suoi padrini, aveva cercato di cambiare le cose, aveva sfidato i padroni degli appalti. Disarcionato da un’inchiesta giudiziaria che lo vedeva coinvolto, espulso dalla politica, aveva cominciato a raccontare i segreti dei rapporti tra mafia e potere, fino ad essere “fermato” da 4 colpi di pistola. Era 12 gennaio del 1988.
“La mafia non gli perdonò questo colpo di testa perché- ha ricordato Stancanelli- la mafia è guardiana della immobilità di questa terra. Interrompe ogni processo di cambiamento e usa ogni mezzo per farlo. L'unico tributo allora che può dare chi fa il mestiere del giornalista è in termini di ricostruzione della memoria". E avere un luogo privilegiato come quello di un'aula magna di una Corte d'appello per discutere di questi temi è anch'esso simbolo di volontà di cambiamento. Perché “il diritto è padre della libertà e figlio della cultura” e allora in uno Stato di diritto è fondamentale "fare cultura" invitare a riflettere, aprire le porte dei tribunali, delle Corti d'appello e invitare all'approfondimento di temi come questo. “Anche con questi eventi- hanno evidenziato Ciraolo e Vermiglio- vogliamo dare il contributo dell’Ordine degli avvocati alla città”.