Anche questo vedrà la partecipazione della città di Messina alla giornata mondiale per il diritto alla casa con la sua sesta edizione territoriale. Centinaia di iniziative in tutta Italia verranno organizzate dall’Unione Inquilini insieme ai movimenti per il diritto all’abitare e le realtà ad esse vicine.
In Italia sono circa 650.000 le famiglie collocate utilmente in graduatoria che aspettano un alloggio popolare, circa 70.000 le sentenze di sfratto delle quali 35.000 eseguite con la forza pubblica. Numeri sempre in crescita a causa degli effetti della crisi economica e della totale assenza di politiche abitative. Negli ultimi trent’anni abbiamo assistito a numerosissimi “piani casa”, chiamati erroneamente in questo modo poiché non hanno mai innescato meccanismi strutturali al fine di aumentare l’offerta di alloggi sociali ma, anzi, hanno contribuito ad incrementare la rendita immobiliare e defiscalizzare gli affitti.
Purtroppo, ad oggi, anche questo governo, come quelli precedenti, non inserisce la precarietà abitativa e la lotta alla speculazione immobiliare all’interno della sua agenda. Anzi, l’ultimo “decreto sicurezza”, approvato di recente dal Consiglio dei Ministri, è una vera e propria dichiarazione di guerra ai poveri.
A dirlo è la segreteria di Unione Inquilini di Messina che annuncia la Giornata mondiale per il diritto alla casa che vedrà anche Messina protagonista e che propone un'analisi molto dura nei confronti delle azioni messe in campo dall'amministrazione De Luca sul fronte casa.
Nella nostra città la situazione non cambia, anzi peggiora a causa di una problematica che ha tenuto banco in questi ultimi mesi grazie all’esuberanza del nostro sindaco, ovvero il tema del risanamento. Ancora quasi 3.000 i nuclei familiari che vivono nelle baracche. Uno scempio durato cent’anni e che nel tempo si è trasformato in un vero e proprio fenomeno endemico della città. Quelle zone sono state crocevia di politici senza scrupoli, che ad ogni tornata elettorale ne hanno fatto un vero e proprio bacino di voti promettendo alloggi che invece spettavano di diritto. Infatti nel 1990, interviene la legge regionale 10 che forniva alla città di Messina 500 miliardi delle vecchie lire (circa 250 milioni di euro) per l’abbattimento di tutte le baracche e la costruzione di alloggi da assegnare alle famiglie censite. Il Comune, entro 60 giorni, avrebbe dovuto identificare le aree da risanare e provvedere alla costruzione di nuovi alloggi: come ben sappiamo, quest’ultimo passaggio è stato disatteso.
A quasi trent’anni di distanza dalla promulgazione della suddetta legge, il neo eletto sindaco di Messina, lancia l’idea di risanare la Città in tempi brevissimi, promettendo l’abbattimento di tutte le baracche entro il 31 dicembre (ovvero una ogni mezz’ora lavorando anche di notte!), senza nessun alloggio costruito a tale scopo, solo con una serie di proclami e di promesse. Una vera e propria cortina fumogena sul tema del risanamento che ad oggi, a tre mesi dall’obiettivo baracche zero, vede poco di concreto, solo tanta confusione e l’ennesimo carrozzone pubblico che dovrebbe essere la panacea di tutti i mali, ovvero l’Agenzia del Risanamento alla quale sono destinati i primi 500.000 euro da spendere solo per la propria organizzazione e funzionamento.
In questi mesi abbiamo assistito a promesse di alloggi in affitto (azione prevista dall’art.62 della legge regionale 8/2018), ad avvisi ricognitivi per reperire alloggi sul mercato in acquisto o in affitto (saremmo curiosi di sapere quanti alloggi ha trovato il Comune di Messina), addirittura alle dichiarazioni pirotecniche sulla possibilità di requisire alloggi privati al fine di velocizzare l’iter se necessario. Su quest’ultimo punto intendiamo sfidare l’amministrazione poiché pensiamo che 30.000 alloggi vuoti di fronte a circa 5.000 famiglie messinesi in precarietà abitativa è il segno di anni di politiche speculative.
Infine la dichiarazione dello stato di emergenza che permetterebbe al sindaco di attingere ai fondi della Protezione civile e di avere le mani libere nei confronti delle procedure per gli appalti. Quest’ultimo punto, a nostro avviso, è un insulto per l’intelligenza dei cittadini che dopo cent’anni aspettano una casa popolare. Qua non si tratta di emergenza ma di una cosa ancora peggiore, ovvero di un problema strutturale che ha bisogno di interventi strutturali, di immissione di risorse cicliche e trasparenti. L’emergenza è un fatto immediato, accidentale, le tremila baracche sono un fattore endemico della città e si può risolvere seriamente soltanto con programmazione e fondi certi.
La questione del risanamento pone interrogativi più grandi che il semplice passaggio di una ruspa, ci obbliga a guardare alle persone che stanno dietro quelle quattro mura di calcestruzzo.
Inoltre le politiche della casa non possono riguardare soltanto le problematiche del risanamento. In città abbiamo circa un migliaio di domande per accedere alla graduatoria ordinaria di edilizia residenziale pubblica di fronte a 25 alloggi disponibili (ultimo bando: maggio 2018), centinaia di sfratti e altrettanti pignoramenti, le problematiche delle strutture per emergenza abitativa sorte con la vecchia amministrazione. Potenzialmente altri 2000 nuclei familiari che avrebbero bisogno di un alloggio sociale.
Il 10 ottobre scendiamo in piazza per ribaltare questa narrazione e per riproporre la centralità degli interessi delle persone.