Alessandro Fumia: Il Geroglifico di Messina negli archivi del Museo del Prado

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venerdì 04 Gennaio 2019 - 05:49
Il quadro della discordia

Ovvero, i simbolismi creati da Luca Giordano in quel quadro ispiratogli dall’Artale, rappresentano lo schema ragionato di un pensiero artistico presente nel dipinto prodotto subitaneamente dal Giordano. A questo pensiero si sono ispirati gli “osservatori” del Museo del Prado fin dal momento in cui l’opera è entrata a far parte delle disponibilità della monarchia di Spagna; l’anno 1684 apponendogli il chirografo dipinto nel margine della tela, e in questo modo assoggettando il pezzo alla pace sottoscritta fra le nazioni europee coinvolte nella guerra conclusasi appunto, l’anno 1678. Senza rendersi conto che il messaggio racchiuso in quello schema prodotto dalle figure incise, doveva e poteva essere cercato, nelle committenze dell’artista.

Il quadro di Luca Giordano realizzato a Napoli nel 1678 assume un valore artistico e non politico, così come è stato immaginato dai moderni, proprio in rapporto alla committenza di Vincenzo Samuelli studiato dall’accademico veneziano Ugo Tucci, il quale puntava a suscitare curiosità e giocosità attraverso quello schema nascosto, attirando l’interesse del pubblico del tempo, cioè i relativi e potenziali acquirenti del quadro. Giordano aveva inventato un nuovo modo di osservare un dipinto, quasi di natura escatologica, nè più e ne meno di come funziona un quadro futurista, dove il messaggio nascosto attiene all’interpretazione dell’artista e non del suo ammiratore, come è accaduto al Prado. Ecco il motivo di questa alzata di scudi. Nella fretta di accaparrarsi un posto in prima fila, ci si è dimenticati del pittore, del suo modo di osservare ciò che dipingeva, ma soprattutto, del significato che egli associava all’immagine prodotta dal suo genio artistico. Dove cercare questa chiave interpretativa? Io l’ho segnalato nell’articolo di LetteraEmme. Bisognava studiare quel pensiero nelle commesse portate a termine dallo stesso Giordano, vedi l’opera andata in stampa nel 1677 quindi, un anno prima che realizzasse il suo quadro del 1678.

Perché Fumia ha motivato il suo intervento smembrandolo in due parti? Perchè a Messina vige il principio “l’ho detto prima io” ovvero, qualsiasi prodotto realizzato assume valore e portanza in rapporto a colui, colei o coloro, i quali, riescono ad appropriarsene. Il mio pensiero, quasi fossi io stesso un seguace della scuola di Giordano, è stato spalmato su due articoli: il primo inviato via mail ad Agorà Metropolitana il 13 dicembre 2018 e pubblicato su fb il 2 gennaio 2019, e quello invece pubblicato da LetteraEmme in una data successiva alla conferenza stampa. In mezzo al tempo compresso fra quelle date, un mare di polemiche, di prese di posizione, senza badare ai contenuti, senza sindacare sulla sostanza, quella prodotta dal pittore in tutta la sua carriera, che io stigmatizzavo con continui richiami alle sue opere, prodotte in tutta la sua vita artistica. L’avevo detto allora e lo ribadisco ancora oggi: se si vuole comprendere le dinamiche di un fatto, lo si cerca fra quei documenti che raccontano la vita, le opere, e i retroscena del pittore che ha realizzato quel quadro. Invece in questi anni, si è percorsa la strada opposta, in Spagna come a Messina. Ci si è parati a giudici del pensiero del pittore napoletano, senza saperlo studiare, ma sovrapponendo il pensiero degli estranei, facendolo passare come ragionamento del Giordano. Creando o contribuendo a creare un falso storico.

Alessandro Fumia

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