Quattro giovani musicisti affrontano la storia del quartetto d'archi dal 700' al 900'
Oltre ai numerosi concerti programmati dalla Filarmonica Laudamo, l’Associazione musicale ha incluso, in una coda estiva, due concerti da camera (Quartetto d’archi) facenti parte del Festival «Musica con Vista 2022», 37 concerti in tutta l’Italia a cura del Comitato AMUR, con Le Dimore del Quartetto e Associazione Dimore Storiche Italiane. Splendida la location scelta, Villa Pulejo, che lunedì 4 luglio ha ospitato il primo di questi due concerti, il Quartetto Goldberg, composto da Jingzhi Zhang e Giacomo Lucato al violino, Matilde Simionato alla viola e Martino Simionato al violoncello, tutti giovanissimi.
Molto interessante il programma proposto, dal titolo «Il Quartetto in tre secoli», che ha visto infatti l’esecuzione di tre brani del 700’ (Haydn), dell’800’ (Dvorak) e del 900’ (Webern).
Haydn, oltre ad essere considerato il padre della sinfonia e della forma sonata, può essere tranquillamente definito anche il padre del quartetto d’archi – ne ha composti 68 – in quanto per primo ha portato questo genere musicale a quell’evoluzione della quale saranno debitori tutti i grandi compositori successivi, a partire da Mozart e Beethoven, cioè l’equilibrio delle parti suddivise fra i quattro strumenti. Fu Joseph Haydn il primo a sviluppare la forma del quartetto d’archi ove ogni strumento ha pari dignità e dialoga con gli altri, e ciò avvenne in particolare con i sei quartetti op. 20, i famosi “Quartetti del sole” così denominati da una decorazione del frontespizio di una ristampa.
La rivoluzione di Haydn è rappresentata dal fatto che i quattro strumenti dialogano, ciascuno con una propria autonomia e non in funzione di accompagnamento del solista, in modo tale che il discorso musicale viene distribuito e alternato fra tutti gli strumenti. Il Quartetto Goldberg ha eseguito il secondo dei sei quartetti –– in do maggiore, nei movimenti: “Moderato”; “Capriccio: Adagio”, “Minuetto: Allegretto” e “Fuga a quattro soggetti: Allegro”, un esempio perfetto della nuova veste che il musicista austriaco ha dato a questo genere musicale. Regna un equilibrio formale mirabile, tutti gli strumenti hanno una propria autonomia nella partitura, splendidi i contrasti fra l’insieme e i singoli strumenti che si alternano nello sviluppo dei temi. Non mancano spunti di assoluta originalità, come l’assolo del violoncello che canta il bel tema alla fine del secondo movimento (forse il più interessante). Da sottolineare anche il quarto movimento in forma di fuga, esempio poi seguito in alcuni quartetti di Mozart e Beethoven, che rivela una somma perizia di Haydn nel padroneggiare il contrappunto.
Il “Langsamer Satz” (Movimento lento), eseguito dopo Haydn, fu composto da un giovane Anton Webern, ed è un brano eminentemente lirico, intriso di quella vena poetica e decadente che accompagnerà tutte le composizioni del musicista austriaco, anche quando si distaccherà dal sistema tonale, abbracciando gli insegnamenti della scuola di Schoenberg che lo porteranno a comporre solo musica dodecafonica e seriale.
Infine il pezzo forte della serata: Il quartetto op. 96 in fa maggiore di Antonin Dvorak, “Americano”, sicuramente il quartetto più amato e conosciuto del musicista boemo. Quando Dvorak scrisse il quartetto ne aveva già composti parecchi, ma quello in fa maggiore ha una connotazione del tutto peculiare per le circostanze nelle quali fu composto. Il brano appartiene infatti a quelle composizioni scritte da Dvorak durante la sua permanenza in America, luogo in cui videro la luce alcuni dei suoi più grandi capolavori, come la Suite Americana, il Concerto per violoncello e soprattutto la celeberrima Sinfonia dal nuovo mondo, il suo capolavoro sinfonico. Questa musica nasce dall’incontro fra due civiltà, quella europea, di cui Dvorak intendeva portare testimonianza e trasmetterne i contenuti nel nuovo continente, e quella americana, e tale incontro ha dato vita a capolavori dai tratti inconfondibili e assai suggestivi. In questo filone si colloca il “Quartetto Americano”, composto nell’estate 1893, mentre il musicista si trovava a Spillville, nello stato dell’Iowa, quindi nel cuore del nuovo mondo. Se nel primo movimento – Allegro ma non troppo – immaginiamo le vaste praterie, gli orizzonti sconfinati attraversati dalle carovane, nel terzo movimento – Molto Vivace – ma soprattutto nel quarto – Vivace ma non troppo – ci sembra di vedere i chiassosi, movimentati e fumosi saloon americani. Il secondo movimento – Lento – forse il vero cuore del quartetto, una dolce e malinconica cantilena, ci trasmette invece la commovente sensazione dei canti degli indiani nativi d’America. Il vero miracolo di questo capolavoro è che in nessun movimento sono utilizzati motivi popolari americani: tutti i temi sono frutto della fantasia di Dvorak, eppure riescono a creare magicamente l’atmosfera del nuovo continente.
Buona la prova dei giovani artisti, che ovviamente hanno molti margini di miglioramento, come nell’unisono non sempre perfetto, e nella poco brillantezza, in particolare nei movimenti veloci del quartetto di Dvorak, comunque una esecuzione gradevole, e un plauso per l’interessantissimo programma proposto.
Splendido il bis offerto dai musicisti, un “contrapunctus” da “L’arte della fuga”, sommo capolavoro di Johann Sebastian Bach, omaggiando il nome che il complesso porta, “Goldberg”, dalle famose “Variazioni Goldberg” del musicista tedesco.
Appuntamento lunedì 18 in questa splendida villa, ove dietro i musicisti si può ammirare il superbo e imponente ficus Magnolia piantato nel 1860 in onore dello sbarco garibaldino in Sicilia, con un altro complesso quartettistico e un altro programma di grande interesse: il Quartetto K387 di Mozart, il primo dei celeberrimi quartetti dedicati ad Haydn, e il Quartetto op. 80 di Mendelssohn, l’ultima sua composizione – morirà nel novembre dello stesso anno (1822) – che risente dell’enorme dolore del musicista causato dalla morte della amatissima sorella Fanny.