Un’opera pagana, un pezzo di Olimpo utilizzato in modo allegorico per parlare della guerra. Il “Sorbello-pensiero” sul dipinto della discordia, la gigantografia che campeggia in Aula consiliare, è in sostanza una re-interpretazione (quasi un capovolgimento) dell’opera originale di Luca Giordano attualmente esposta al Museo del Prado.
Secondo il consigliere comunale del gruppo misto, che in conferenza stampa ha lasciato allo scrittore Alessandro Fumia gli aspetti più tecnici e storici, l’allegoria “Messina restituita alla Spagna” non è affatto quel che finora si è ritenuto. Anzi, la donna nuda raffigurata non è neanche Messina umiliata dopo la sconfitta ad opera della Spagna. Il quadro originale infatti, secondo la tesi di Fumia e Sorbello, è stato ispirato da un sonetto di Artale e rappresenta una scena pagana con Marte, Venere e Crono.
In quest’opera in sintesi, Messina non c’entra proprio per nulla (e vi sarebbe da chiedersi a questo punto perché Sorbello si oppone così tanto alla sua rimozione dall’Aula consiliare). Il consigliere comunale ne è convinto al punto che è pronto ad andare in Spagna ed a contestare al Museo del Prado l’intitolazione attuale dell’opera, ovvero “Allegoria della restituzione di Messina alla Spagna”.
E’ diventata quindi una “singolar tenzone” quella scaturita dalla richiesta della vice presidente del consiglio comunale Serena Giannetto di rimuovere dall’Aula una riproduzione fotografica di un’opera che secondo l’esponente dei 5Stelle offende Messina, rappresentata come una donna denudata, presa a calci da un soldato e spagnolo e privata di tutti i suoi privilegi (leggi qui), come accadde appunto storicamente dopo la rivolta antispagnola.
In realtà la Giannetto riprende un filone che risale al 2010, quando l’ex consigliere comunale Tanino Caliò contestò per primo la decisione dell’ex giunta Buzzanca di collocare la copia in Aula a conclusione di una mostra su Messina. Battaglia portata avanti dagli storici Nino Principato e Franz Riccobono, da Piero Adamo e da Vento dello Stretto.
“Serena Giannetto ed il fratello Giuseppe, sicilianista, sono stati mal consigliati- esordisce Sorbello in conferenza stampa- E chi li ha consigliati è in malafede perché animato da un fanatismo sicilianista e antispagnolo. Non è un soldato che prende a calci Messina ma il dio della guerra che non prende a calci nessuno ma urta Crono. La donna nuda non è Messina ma Venere”.
Per Sorbello quindi non ci sono dubbi che Giannetto, Principato e gli altri (compreso il Museo del Prado) hanno preso lucciole per lanterne basandosi su testi sbagliati.
Quella copia quindi non deve essere rimossa perché non offende Messina, ma rappresenta Venere (ndr. casomai ne dovremmo farne un caso femminista qualora venisse accertato che a prenderla a calci è Marte).
La parola passa poi allo storico Alessandro Fumia, che non lesina frecciate al collega Principato sia sul caso Giordano che sulla Tomba di Antonello.
“La disamina è stata travisata-spiega Fumia che si basa su quanto scritto da Lorenzo Giordano, figlio del pittore- Dobbiamo intanto inquadrare il periodo storico in cui fu dipinta l’opera. E’ vero, l’occasione per realizzare il dipinto fu la sconfitta di Messina ma è l’unico legame temporale. In guerra non c’era solo Messina che anzi fu l’ultima città tra quelle assediate a cadere. In realtà i messinesi stavano per passare con i Turchi al punto che il timore che diventasse un’enclave musulmana spinse il papa a chiedere a Carlo V di punire Messina. Per il resto basta conoscere le opere di Giordano per capire che erano basate su una cultura classica”.
La tesi quindi è che Giordano per dipingere l’opera fu ispirato, come accadde con altre sue opere, da un sonetto di Artale del 1679 che rappresentava una scena eroica di epoca pagana. ECCOLO:
Per le famosissime tele del signor Luca Giordano –
Zeusi, Parrasio, Appelle hor trino un raggio
Nutre in faccia a più tele un spirto ignoto;
Che di tre gran pennelli occhio, ch'è saggio,
Scopre in larve dipinte anima, e moto:
Odo di Zancla i pianti; ed al coraggio
Ispan fremer di speme il Gallo voto;
Qui un frutto (opra in bugia) colgo, ed assaggio;
Là un pesce (ombra di un lin) ripesco al nuoto:
Verzier; Mari, Vittorie; ogrfun qui vuole,
Di Cibele, di Teti, e di Bellona
Erger L'idee, divinizar le Scole
Quinci frutti un più rari offre à Pomona;
Dà l'Altro il pesce un più bel segno al Sole
Porge questi ad un Giove una Corona.
“ Chi chiede di rimuovere il quadro è animato da spirito anti-spagnolo ma non possiamo cancellare tutte le opere spagnole a Messina- conclude Fumia– Così facendo dovremmo dire che anche la Chiesa dei Catalani, il monastero di Montevergine e la chiesa di Sant’Elia sono da abbattere”
La querelle si sposta quindi dal piano “politico”, lo scontro cioè tra la Giannetto e Sorbello a quello tra storici, cioè Fumia e Principato.
L’ultima frecciata infatti riguarda la tomba di Antonello che si troverebbe non dove finora Principato ha sostenuto sia ma a sedici metri di profondità, in via Auriga, sotto le casette di Ritiro.
Rosaria Brancato
Che figura di ……., Sorbello, avrebbe detto il buon Emilio Fede. Quando mai Venere ha avuto tre torri in testa? E se è Venere, perchè rivolge la mano verso quella della Spagna? E perchè è presa a calci dal soldato che non poggia affatto il piede sul capo del Tempo, com’è visibile a chiunque? Marte aveva un gallo sull’elmo, ma quando mai? Il sonetto di Artale non c’entra affatto con la descrizione del dipinto. Eccelso e mitico Fumia, il monastero di Montevergine era spagnolo? Perdoni la mia ignoranza, non lo sapevo! Ogni città ha il Consiglio Comunale che si merita: Messina, con Sorbello, è una di queste
Dirottato qui da un amico, che mi segnala questo commento dell’illustre pseudo storico, non bene informato sui documenti storici messinesi, ma propenso a raddrizzare la storia a suo esclusivo uso e consumo aggiungo, che il monastero di Montevergine fu agli albori costruito, grazie alle volontà del casato messinese degli Ansalone di originme spagnola, fin da quando il primo sovrano iberico, mise piede a Messina dopo il Vespro l’anno 1282. Per evitare confusione, come è mia abitudine, vedo, non in uso al signore che non si può dire mio collega, – lo prenderei come il peggior insulto – allego delle tracce utili ai lettori, per evitare sovrapposizioni. Questi documenti si triovano anche in rete. Per chi volesse sbizzarrirsi non deve far altro che cercarli. Vincenzo Palizzolo Gravina, Il blasone in Sicilia, ossia raccolta araldica, p. 72, famiglia Ansalone. Il primo a scrivere sulla nobile e distintissima famiglia Ansalone fu Mugnos, il quale assicura aver origine da Natale Ansalone nominato da re Pietro d’Aragona maestro, e da re Giacomo capitano dell’esercito. Lo Zurita, encomia Pietro Ansalone, che da re Federico III aragonese, si ebbe il castello di Comiso e l’ufficio di protonotaro del regno. Fiorì successivamente Bomsignore Ansalone, quindi Andrea Ansalone baroni di grossi feudi. Matteo Ansalone protonotaro del regno, Giovanni Ansalone barone di Pettineo, dei Rossi, Scali, Comeni, Migaidi, Ogliastro, Castelluzzo ecc. Un altro Bonsignore Ansalone ottenne la baronia di Fiumedinisi, Giacomo Ansalone le tonnare di Milazzo essendo questi Capitan Generale della città di Patti. Molti senatori Messina vanta di questa illustre famiglia e tre stràtico sino al 1329, per tacere di altri incarichi. Ebbe dei cavalieri di Malta tra i quali commendasi un fra Pietro, che scrisse un libro – De sua familia relatio. – §§§ – Placido Samperi, Iconologia della gloriosa vergine madre di Dio Maria protettrice di Messina…, p. 346, Fondazione del monastero di Montevergine sopra la proprietà del nobile di Spagna Bartolomeo Ansalone, il quale concesse la prima casa e relativo terreno come prima abitazione a suor Eustochio Calafato e alle sue sorelle in fede. [Dopo la premesa aggiungo il testo del samperi…] ne sapendo ove ricorrere, si trovava nella maggior afflizione del mondo, per non aver pronto qualche sito in proposito per abitare; quando quel Gentiluomo che le fece venire il Breve, nominato Bartolomeo Ansalone suo parente, l’offerse una casa che aveva ancorché per Monasterio fosse angusta e poco commoda, ad ogni modo con la compra delle vicine case, si potea quel luogo assai bene ampliare; onde si risolsero di trasferir colà l’abitazione, essendo dimorate in questo primo luogo per lo spazio di quattro anni in circa; che fù verso l’anno del Signore 1457 regnando Alfonso il Magnanimo in Sicilia, essendo Arcivescovo di Messina Iacopo Tedesco.