In chiave-designazione, riflettori puntati sul tandem "blindato" Occhiuto-Mancuso e sul capogruppo del Partito democratico Irto
REGGIO CALABRIA – Elezioni del nuovo Capo dello Stato, siamo vicini alla meta. La prima seduta per eleggerlo è stata infatti convocata ieri sera dal presidente della Camera Roberto Fico e si svolgerà alle 15 del 24 gennaio.
Seduta consiliare ad hoc fra 8 giorni
In relazione a questo, come da previsione dell’articolo 83 della Costituzione, ogni Regione è tenuta a convocare una seduta del Consiglio regionale per designare i membri che vanno a innestare il Parlamento in seduta comune ai fini dell’elezione del nuovo Presidente della Repubblica. In realtà, a questo giro, nemmeno su questo si hanno certezze: vari parlamentari, anzi, hanno proposto che i deputati esprimano il proprio suffragio a Montecitorio e i senatori a Palazzo Madama, in chiave antiCovid, per evitare – per quanto possibile – assembramenti.
La Calabria, comunque, “ha già dato”: il presidente del Consiglio regionale ha indetto per le 11 di giovedì 13 gennaio la seduta consiliare mirata all’elezione dei tre delegati per contribuire alla decisione sul prossimo inquilino del Quirinale.
Non potranno comunque essere tre esponenti di maggioranza: è esplicitamente previsto che due delegati siano designati dalla maggioranza, in questo caso il centrodestra. A essere precisi, ai sensi dell’articolo 16 dello Statuto regionale i tre delegati sono eletti «in modo da assicurare la rappresentanza della minoranza».
Uno sarà invece espresso dalla minoranza, che però in questa consiliatura è composita: non è difficile prevedere che – come già per l’Ufficio di Presidenza – anche in questo caso la forza dei numeri restringerà la scelta agli esponenti del centrosinistra, cioè Partito democratico e Cinquestelle, mentre i “civici” di de Magistris Presidente dovrebbero restare al palo.
Prassi… ed eccezioni
Esiste tuttavia una prassi che relegherebbe l’incertezza alla sola opposizione: di solito, quando c’è da votare per il Colle la maggioranza di turno designa i due Presidenti di Giunta e Consiglio regionale. Accadde così, per dire, sotto le ultime due Presidenze del centrosinistra (Agazio Loiero e Mario Oliverio, delegati coi rispettivi presidenti dell’Assemblea Peppe Bova e Antonio Scalzo). In soldoni, stavolta è “blindatissimo” il tandem Roberto Occhiuto-Filippo Mancuso per la maggioranza di centrodestra.
Ma non è assolutamente vero che sia andata sempre in questo modo.
Prima dell’elezione diretta del Presidente della Giunta regionale, per citare il caso cronologicamente a noi più vicino, quando Presidente della Regione era Gigi Meduri i designati della maggioranza di centrosinistra furono Peppe Bova e Pasqualino Perfetti, mentre il centrodestra (che aveva in Peppe Scopelliti il presidente del Consiglio regionale) indicò Giovambattista Caligiuri. Evocando invece vicende dal 2000 in poi, cioè in tempi d’elezione presidenziale diretta, nella consiliatura 2010-2014, il 26 marzo del 2013 furono designati il Presidente della Giunta, il reggino Peppe Scopelliti, ma con lui il centrodestra scelse non il presidente del Consiglio regionale (che era all’epoca l’udiccino Franco Talarico) bensì il capogruppo a Palazzo Campanella del Popolo della libertà, Gianpaolo Chiappetta (oggi non consigliere e nelle fila di Coraggio Italia).
Già a una prassi senza eccezioni si può ben derogare; figurarsi a una prassi che già ha avuto delle eccezioni… Basta volerlo, chiaramente.
Bisogna in ogni caso aggiungere che questa prassi ha sempre voluto che pure la minoranza non scegliesse “un” componente dell’Assemblea, bensì un suo esponente di spicco: il più delle volte, l’ex candidato alla Presidenza o il capogruppo del partito maggioritario all’interno della coalizione. Per questa ragione, in quest’occasione, rispetto al centrosinistra gli occhi di molti sono puntati sul capogruppo – e probabile futuro segretario regionale – del Partito democratico Nicola Irto.
Comunque, pure questo “paragrafo” della prassi regionale ha incontrato eccezioni abbondanti.
…E se fossero sindaci?
C’è da dire anche che – in teoria; molto in teoria… – i delegati regionali per l’elezione del Capo dello Stato, votati dai consiglieri regionali, potrebbero non essere consiglieri regionali (anche se, nella realtà, lo sono sempre stati). E del resto, nel caso di specie, come già abbiamo visto nulla dice lo Statuto; e tace, al riguardo, lo stesso articolo 85 della Costituzione.
Tanto che all’inizio del novembre il presidente dell’Anci – l’Associazione nazionale dei Comuni italiani – Antonio Decaro ha invocato «un atto d’attenzione e di coraggio istituzionale», ossia l’indicazione di sindaci, o comunque “anche” di sindaci quali delegati all’elezione del nuovo Presidente della Repubblica. Questo, per esprimere in maniera plastica e ancor più eclatante la vicinanza delle Istituzioni agli amministratori locali, vittime di numerosissimi atti intimidatori. E, nell’analisi dell’Anci e di molti osservatori, pure dell’applicazione di norme inique, dal “decreto Taurianova” alla “legge Severino”.
Tutti tranquilli: quest’innovativa ipotesi non si verificherà. Ma, come osservato da più di un costituzionalista, che i sindaci vengano designati da consiglieri regionali a votare per il nuovo Capo dello Stato all’insegna dell’Unità d’Italia è una prospettiva che, oltre che un ottimo profumo di solidarietà inter-istituzionale, lascia anche qualche perplessità.
Meglio forse, ove mai si trovino intese al riguardo, incardinare un’apposita riforma costituzionale che preveda che fra i delegati di ogni territorio regionale vi sia una certa percentuale di sindaci non però etero-nominati, ma eletti “tra pari”, in un’apposita Assemblea dei sindaci della regione di turno.