“Equivoci, cuori e due americani” di Fabrizio Palmieri (prima parte)

“Equivoci, cuori e due americani” di Fabrizio Palmieri (prima parte)

Redazione cultura

“Equivoci, cuori e due americani” di Fabrizio Palmieri (prima parte)

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domenica 22 Marzo 2015 - 16:08

Un momento da dedicare a se stessi, un angolo dalle luci soffuse, per raccontarsi e raccontare, e ritrovarsi nei racconti degli altri. Inviateci pure i vostri lavori, romanzi o racconti a raccontodellasera@gmail.com: i migliori diventeranno Il Racconto della Sera.

"Equivoci, cuori e due amricani"

Conclusa la telefonata il cuore torna a battere.

E’ rimasto in una piacevole e disarmante stasi per più di quindici minuti, quindici incredibili minuti vissuti tra la vita e la super vita, i quindici minuti più entusiasmanti della mia esistenza.

Elisabetta mi aveva chiamato in un meraviglioso pomeriggio primaverile. La Primavera in Sicilia è ricca di profumi e colori, ben coordinati tra loro come in una pregiata parure di pietre preziose: toccare una di quelle gemme sarebbe stato come prendere la cristallizzazione di quanto di bello potesse offrire la stagione. Sapevo già a chi donare quel pout pourri di sensazioni, la stessa luce alla quale aveva già donato quindici minuti di battiti cardiaci.

Certo, è piuttosto strano che a trentadue anni suonati il cuore possa esprimersi con adolescenti sfumature tanto smielate, eppure non sarei onesto né con me né con voi se raccontassi qualcosa di diverso.

“Ciao Damiano”. Adoro come pronuncia il mio nome: quella “d” quasi raddoppiata tipica del nostro accento, e il susseguente “amiano” che sa tanto di “amiamo”. La telefonata era giunta alle 16.00 in punto, pochi istanti dopo che avevo messo su l’acqua del tè e preparato la solita mistura di foglie essiccate, profumose di vaniglia e bergamotto. Non avendo controllato chi fosse sul display dello smartphone, fui colto – piacevolmente – alla sprovvista.

Credo di aver balbettato qualcosa del tipo “Buongiorno Elisabetta!”. Ovviamente lei, tanto precisina, mi aveva corretto sottolineando l’errore e raccontando un breve aneddoto sul perché il saluto corretto fosse “buon pomeriggio”. Ciò non mi aveva infastidito: constatata l’accelerazione vorticosa dell’organo cardiaco, ero riuscito ad investire tutto il tempo dell’esegesi del saluto pomeridiano per calmare il respiro e detergere le gocce di sudore che, a guisa di corona, imperlavano le tempie.

“Eli, è da una vita che mi rimbalzi con la storia del caffè: che ne diresti di un aperitivo al Prime verso le venti e trenta?”

Tiro a porta vuota. Il “Prime” è il locale preferito da Eli: tavoli neri, pareti lilla e crema, un bancone ampio decorato da luci al neon e camerieri cortesi e cordiali. Ma l’estrema pulizia rappresenta la caratteristica di punta del locale della quale è una fan sfegatata. In verità avrei più apprezzato il “Surfers”, un pub sulla spiaggia appena aperto per via del bel tempo, con il legno consumato dalla salsedine ed un sottile strato di sabbia, portato dal vento, sotto i tavoli.

Magnifico il “Surfers”!

Le palificazioni lignee che reggono il tetto del medesimo materiale sono state, in buona parte, divorate dalla salsedine conferendo al locale l’aspetto di una imbarcazione pirata, fin troppo colma di avventure, razzie e tempeste. Eli sarebbe inorridita al solo pensiero di quel posto: sorrisi chiedendomi se anche il cuore non possedesse vita propria avendo manifestato la chiara volontà di schizzare fuori dal petto. Ogni immagine di quella ragazza riusciva ad emozionarmi regalando piacevoli brividi lungo la schiena.

“Ok! Credo sia giunto il momento di fare quattro chiacchiere approfondite su di noi”.

Lasciai il telefono sulla scrivania della stanza e presi a saltare sul letto improvvisando uno show di “air guitar”, mimando l’assolo di Angus Young degli AC/DC in “Hells Bells”. Proprio in quel momento, allarmato dal cigolio del letto, era entrato in stanza il mio compagno di appartamento, Emilio. Aperta la porta, mi osservava volteggiare sul materasso, poi, scossa la testa in segno di disapprovazione, aveva assestato gli occhiali sul naso sigillandomi nuovamente nel fantastico mondo di “Damiano – Cuore – Elisabetta”.

Per un decimo di secondo pensai alla pessima, ennesima figuraccia inanellata con quel topo da biblioteca, poi il delicato profumo di fresie ed il piacevole calore di un sole primaverile presero nuovamente il sopravvento.

“Si, va bene. A dopo allora!” Buttai giù il telefono.

Si, va bene. A dopo allora??? Avevo chiuso così la telefonata? Dovevo essere impazzito o, semplicemente, fuori di me dalla felicità … Rimuginai per qualche minuto sulla interpretazione di quel congedo repentino, arrossendo per la mia imbranataggine; poi assolsi il condannato asserendo la complicità della felicità nel chiudere il telefono. Certamente Elisabetta avrebbe avuto qualcos’altro da dire, classificando il mio modo di fare come “poco consono ed anche piuttosto rude”. Non l’avrei contraddetta, impegnato, come sarei stato, ad arrampicarmi sulle sue inebrianti labbra carnose fino alla porta della bocca, bussando per sentire ancora il fiato delle sue parole sulla pelle e nelle orecchie.

Melodia per il mio cuore!

E se il mio gesto avesse compromesso l’appuntamento? Oddio: dovevo fare qualcosa. La mano corse al telefonino e, prima che me ne potessi accorgere, le dita – che per l’occasione si dotarono di intelligenza propria! – avevano digitato il numero di Elisabetta.

Primo squillo.

Panico. E ora che faccio?

Secondo squillo.

Calma, Damiano. Potresti dirle “Mi mancava il suono della tua voce”. Scuoto la testa: ma che mi salta in mente?

Terzo squillo.

Modalità “problem solving”. Quasi, quasi metto giù. E’ sempre meglio un “Perdonami, ho sbagliato numero” al “Mi manca, bla, bla, bla”.

Quarto squillo.

Troppo tardi anche per mettere giù … forse non risponde.

Quinto squillo.

Nuovamente panico. E se fosse arrabbiata per come ho chiuso la precedente telefonata?

Sesto squill … risponde.

“Pronto Dami?”

“No, è che … avevo sbagliato numero ma volevo scusarmi per come avevo chiuso prima …” Eccolo: il principe dell’incoerenza e signore della confusione ha fatto il suo plateale ingresso sul palcoscenico dell’ ingenuità. Trentadue anni li ho per figura!

“Va tutto bene?” La voce di Eli si fa meno morbida, come un tozzo di pane abbandonato in credenza per troppo tempo. Chiudo il sipario, congedo il principe e taccio, lasciando che gli eventi facciano il loro corso, che è anche meglio!

“Scusami Damiano, ma torno sotto la doccia. Ci vediamo tra un po’”.

Sotto la doccia … La mia fantasia fluisce nelle gocce d’acqua che cadono sui capelli biondi e luminosi, si lasciano andare sulle ciocche per poi correre liberamente sulla pelle liscia finendo il gioco nell’acqua, tornando al loro elemento.

Non mi rendo nemmeno conto che ha chiuso il telefono: almeno non era arrabbiata con me! Arrossisco immaginando le sue forme corroborate dal vapore acqueo, immerse nella schiuma da bagno e la immagino come una statua di Fidia coperta da piante donatele da Diana in persona. Osservo il riflesso del mio volto nello specchio e vedo la fissità nello sguardo tipica dell’ottuso accentuata dalla bocca visibilmente aperta e gli occhi strabuzzati ed acquosi. Il telefono cade sul letto; mi abbandono con le braccia dietro la nuca, guardando il soffitto con la stessa intensità con cui si scruta un’opera d’arte. Una volta Elisabetta mi disse che fa dalle tre alle quattro docce al giorno e non tollererebbe nessuno al suo fianco che non si adoperi per la pulizia allo stesso modo. Per un attimo osservo scorrere sul soffitto immagini di noi sorridenti che ci tuffiamo sotto l’acqua, anche se il mio corpo già si ribella: come fa a non caderle la pelle a pezzi con tutto quello sfregamento di bagnoschiuma? Mi rimetto seduto e guardo l’orologio: dall’ultima chiamata è già passata un’ora! Un’intera ora ad immaginare di lei: sono decisamente cotto di quella ragazza ed anche in modo preoccupante …

Restano meno di due ore per prepararmi ed arrivare, in tempo, al Prime. Avrei fatto meglio a propormi per andare a prenderla a casa? Ruoto gli occhi verso l’alto mentre mi metto seduto sul bordo del letto: no, sarebbe stato eccessivo, e poi avrei rischiato di giungere in ritardo ed Eli è maniaca della puntualità! Pensa che pistolotto se dovessi arrivare in ritardo! Gratto il mento e scorgo di avere un velo di barba cresciuta. Il sorriso si tramuta in una smorfia di panico e scappo in bagno. La porta è chiusa.

“Occupato! Sto entrando in doccia!” Dannato Emilio: giusto adesso dovevi prepararti? Non esci mai, non vivi mai, non incontri mai nessuno, ti lavi raramente e devi fare la doccia proprio ora???

Mi accoccolo sulla porta sperando che si apra alla svelta. Passano due, tre, cinque minuti e lo scroscio d’acqua continua ad irridermi, prendendosi gioco di me. Scivolo sull’uscio e mi siedo in terra, le gambe al petto quasi a voler bloccare il cuore che scalpita come un toro davanti ad un drappo rosso.

Non ci arriverò mai, non ci arriverò mai, non ci arriverò mai

Continuo a ripetere le quattro parole come fossero un mantra. Ma ecco la genialità, ecco l’idea che mi farà risparmiare tempo! Scatto in piedi, faccio una pernacchia all’indirizzo della doccia – e di Emilio! – e fuggo in stanza. Apro l’armadio lasciando che lo sguardo saltelli di indumento in indumento: appaiono tutti inadeguati … ora capisco cosa provino le donne la mattina appena dischiudono le fatidiche ante contenenti il tutto “oggettivo” e contemporaneamente il nulla “soggettivo”. La porta del bagno che si apre interrompe le speculazioni su “la vita vissuta al femminile”. Corro a perdifiato scalzando malamente Umberto, l’altro mio compagno di appartamento. Il poverino, piuttosto taciturno, gira i tacchi e torna a rinchiudersi nella sua stanza. Mi metto davanti allo specchio sperando che la barba non sia poi così lunga: doverla tagliare mi porterebbe via altri cinque preziosi minuti di tempo. Terrorizzato dal verdetto, attendo che il vapore acqueo lasci libera la superficie riflettente di esprimere il suo giudizio, ma ci vorrebbe troppo tempo. Afferrando il coraggio a due mani, uso una tovaglia a caso e scruto il volto riflesso. Inorridisco! La barba di circa tre giorni conferisce un aspetto trasandato. Torna in mente quella volta che, incontrando un pittore piuttosto bohemienne, Eli mi disse “che volgarità: quella barba incolta … ma perché? Per essere artisti bisogna essere anche trasandati?”

Trasandati

Quella breve accozzaglia di vocali e consonanti martella la mente e ferisce l’animo; il cuore riprende a battere all’impazzata atteggiandosi a metronomo del ritornello “Non arriverò mai in tempo”.

Doccia, mi serve una doccia! Il box mi è sempre stato amico così come lo è il rumore scrosciante dell’acqua sui capelli. Mi spoglio in men che non si dica e salto sul piatto doccia. Apro l’acqua… urlo: è gelida! Emilio e la sua dannata abitudine di farsi la doccia fredda.

(fine prima parte)

Fabrizio Palmieri

Fabrizio Palmieri nasce a Messina alcuni anni fa… perché l’età non si chiede mai. Studia allo scientifico, pur cosciente di una naturale avversione ai numeri manifestata fin dalla tenera età. La sua personalità masochista diviene leggendaria tra gli psichiatri. Combattuta un’aspra battaglia con radici quadre, denominatori, teorie di Newton e faglie trasformi, decide di presentarsi agli esami di Stato con i classici cavalli di battaglia del liceo scientifico: Italiano e Filosofia. Sbalordisce tutti esibendosi in una prova d’italiano che avrebbe terrorizzato lo stesso D’Annunzio e ringrazia Rosmini per aver svoltato abilmente il colloquio di filosofia. Un anno dopo il diploma, emigra a Roma per studiare Giurisprudenza. Manco a dirlo, affronta come prima prova Economia politica immergendosi nei grafici e diagrammi. Emigrano anche gli psichiatri che lo avevano seguito nell’infanzia, tornando a produrre altissimi redditi. Nonostante tutto, riesce a laurearsi ed intraprende la carriera forense, delegando ad altri il calcolo delle parcelle. Tristi, gli psichiatri e le loro famiglie lasciano Roma. Ma Fabrizio ha sempre amato raccontare e leggere. Non riuscendo a mettere in successione i numeri di pagine oltre il ‘10’, scrive racconti brevi, approdando al mondo dei fumetti. Pubblica come soggettista e sceneggiatore lavori propri con etichette quali Panini Comics e Star Comics. Torna a Messina per lavoro e continua a scrivere scoprendo il Word di Microsoft, in grado di mettere in successione lepagine al posto suo. Poco soddisfatto dal rendimento del fumetto troppo basato sull’immagine, si cimenta in romanzi di genere noir, fantasy, dark-goth e cyberfantasy. Siccome la giornata è di 24 ore, trova il sistema per impegnarle quasi tutte organizzando eventi tra i quali Messina Fatasy Fest, Cominks, Eriador, presentazioni di libri e cene con delitto.Il successo al premio letterario Terremoti di Carta, la voglia di raccontare e mettersi a nudo, il calore degli amici rappresentano per lui il perfetto viatico per insistere in una carriera tutt’altro che facile.

To be continued …

Prossimo racconto (25 marzo): “Equivoci, cuori e due americani” di Fabrizio Palmieri (seconda parte).

raccontodellasera@gmail.com

2 commenti

  1. Chiara Di Fresco 25 Marzo 2015 16:20

    E’il mio genere,mi sono emozionata

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  2. Chiara Di Fresco 25 Marzo 2015 16:20

    E’il mio genere,mi sono emozionata

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