Alla sbarra i boss storici Santi Ferrante e Franco la Rosa e la rete di familiari e fidati che consentiva loro di gestire pizzo e traffico di droga anche dal carcere. Alla fine dell'udienza preliminare il Gup Marino ha disposto 2 abbreviati, un proscioglimento e rinviato a giudizio tutti gli altri indagati.
Hanno deciso di andare al vaglio dei giudici di I grado quasi tutti i componenti del clan di Camaro coinvolti nell’operazione Richiesta. Due di loro, Enrico Oliveri e Vittorio Di Pietro, hanno scelto il rito abbreviato; torneranno davanti al GUP per la sentenza. Prosciolto invece Agostino Stracuzzi, 35 anni, difeso dall’avvocato Salvatore Silvestro. Hanno scelto il rito ordinario e sono stati rinviati a giudizio, invece, tutti gli altri indagati. Il processo per loro comincerà il 19 marzo prossimo.
Affronteranno il processo, quindi, Santi Ferrante, oggi sessantaduenne, boss storico del clan di Camaro, e Francesco La Rosa, 61, ritenuto il reggente. Benché reclusi in carcere, continuavano ad impartire ordini ai propri uomini per gestire le estorsioni, il traffico di droga, l’assistenza ai carcerati. A giudizio anche il figlio du La Rosa, Gianfranco, la moglie Maria Genovese e i cognati Antonio e Raffaele Genovese.
Il Giudice per le indagini preliminari Monica Marino ha rinviato a giudizio anche Francesco Di Biase, Sebastiano Freni, Enrico Oliveri, Giovanni Lanza e Salvatore Triolo e Fabio Mazzei.
L’indagine era scattata nel 2011 quando il biglietto con un chiarissimo messaggio estorsivo è stato recapitato al titolare di un negozio camaroto. Dietro c’era Di Pietro, scoprì la Squadra Mobile, che lo arrestó nel 2012. Agli investigatori, coordinati dal capo Giuseppe Anzalone, apparve chiaro che la “famiglia” di centro città stava rialzando la testa.
La risposta fu immediata: una quantità di cimici ben piazzate ovunque, persino sotto le panchine della principale piazzetta del quartiere, permisero di ricostruire il pizzo imposto a tappeto a negozi e cantieri della zona, svelando il nome e il cognome degli uomini che tiravano le fila delle estorsioni. Quelle istallate nella sala colloqui dei carceri dove erano rinchiusi i boss, invece, rivelarono che questi continuavano ad avere l’ultima parola su tutto, facendo filtrare i messaggi all’esterno attraverso i familiari. Questo era appunto il compito specifico delle mogli, a volte coinvolte direttamente anche nei principali affari criminali.
La retata è scattata con 12 arresti alla fine del 2013. Il Pm Diego Capece Minutolo, titolare del fascicolo, aveva chiesto 14 arresti. Diciannove gli indagati finali. Nelle difese anche gli avvocati Giovanni Mannuccia, Antonello Scordo, Tancredi Tracló, Domenico Andrè, Andrea Florio, Antonio Strangi.