I due docenti universitari vogliono accendere l'attenzione sul futuro della Raffineria di Milazzo: una questione che ha innumerevoli ripercussioni sul territorio, ma che rischia di consumarsi nell'indifferenza
Nella sostanziale indifferenza dell’opinione pubblica cittadina, in queste settimane si sta giocando una partita fondamentale per il futuro della Città metropolitana di Messina; una disattenzione che non può trovare giustificazione nel fatto che la questione non riguarda l’ambito ristretto del comune di Messina ma altre parti del territorio metropolitano.
Ci riferiamo alla vicenda che ormai si trascina da diversi anni, relativa alla sorte da riservare alla raffineria di Milazzo. Una vicenda, duole dirlo, sintomatica della incapacità del nostro paese di affrontare una volta per sempre con equilibrio, coraggio e senso di responsabilità, l’annosa e spiacevole questione di trovarsi ogni volta a dover scegliere fra le ragioni della salute da una parte e quelle del lavoro dall’altra. E’ evidente come questo tema apre tantissimi angosciosi interrogativi di carattere etico, dal momento che salute e lavoro sono due fondamentali diritti dell’uomo e non si può pensare che si debba sacrificare una a discapito dell’altro o viceversa. Invece, come ci insegna la vicenda, molto simile alla nostra, del centro siderurgico di Taranto, sembra proprio che non vogliamo o non siamo in grado di trovare risposte adeguate.
Così anche a Milazzo assistiamo ormai da tempo al cieco furore di drappelli di paladini dell’ambiente e della salute che gridano indignati alla chiusura immediata della raffineria, senza alcuna considerazione del fatto che ciò significherebbe la perdita del lavoro per oltre 1800 lavoratori, se si considerano anche le attività legate all’indotto. Dall’altro lato ci è toccato più volte di assistere ad atteggiamenti rigidi da parte della direzione aziendale, troppo preoccupata di mantenere alti i profitti senza curarsi delle condizioni di salute e della qualità della vita dei propri dipendenti e dei cittadini che vivono all’ombra della raffineria.
Invece l’esperienza ci insegna che questa convivenza è possibile, che esistono le soluzioni tecnologiche per consentire di abbattere i livelli di rischio anche nelle condizioni più inquinanti; è solo un problema di voler investire le risorse necessarie.
Perché oggi vogliamo aprire una riflessione sulla raffineria di Milazzo? Certamente, non solo perché le sue vicende sono esemplari del conflitto che abbiamo appena illustrato, ma anche perché a nostro avviso è proprio su Milazzo e sulle imprese che oggi sono insediate nella sua area industriale, raffineria compresa, che si gioca in buona misura il futuro della città metropolitana (non è un caso che Milazzo figuri nella provincia al secondo posto per reddito pro capite dopo Messina e prima di Taormina). E’ indubbio, infatti, che l’intero agglomerato industriale di Milazzo – Giammoro, con la presenza di alcune importanti aziende nel settore energetico, rappresenta una risorsa fondamentale dal momento che proprio nel settore dell’energia avverranno, anzi stanno già avvenendo, le principali trasformazioni nell’economia del pianeta ed oggi chi può vantare il know how di grandi aziende in questo settore ha certamente a disposizione una fondamentale marcia in più.
Il Consorzio dell’Area di Sviluppo Industriale (ASI) della provincia di Messina fu istituito in base alla legge 634/1957 ed era articolato in ben 11 agglomerati o nuclei industriali, localizzati nei comuni del versante tirrenico e nel capoluogo, che occupavano una superficie complessiva di circa 1.200 ettari. Con i suoi 770 ha di estensione l’agglomerato industriale di Milazzo – Giammoro rappresentava senz’altro l’area di maggiori dimensioni e, insieme al vicino polo di Villafranca Tirrena, ha costituito di gran lunga il più importante polo industriale della provincia. Una prima grande e drammatica crisi si ebbe con la chiusura, alla metà degli anni 90, dello stabilimento Pirelli di Villafranca che al momento occupava oltre 700 dipendenti; un colpo per l’economia dell’intera provincia.
La raffineria di Milazzo fu realizzata nel 1961 e costituì, con la vicina centrale Enel di San Filippo uno dei più importanti poli energetici nazionali. Diversi sono stati i periodi di crisi che hanno riguardato questo impianto, dovuti in parte all’andamento del mercato del petrolio e dei suoi derivati, in parte agli impatti ambientali inquinanti ed ai numerosi incidenti, incendi ed esplosioni, che si sono susseguiti nel tempo con morti e feriti.
La raffineria ha prodotto per lungo tempo semilavorati come olio combustibile ma, dopo una momentanea interruzione del processo di raffinazione nei primi anni 80, che aveva trasformato la raffineria in un deposito di carburante, è stata riavviata la produzione, questa volta diretta verso prodotti più raffinati come benzine e gasolio per auto. Oggi la raffineria è in mano, in parti uguali, all’Agip petroli e alla Kuwait Italia.
La vecchia Centrale Enel di San Filippo del Mela, realizzata nel 1971, ha prodotto per anni energia elettrica bruciando l’olio combustibile prodotto a Milazzo. Con la riconversione produttiva della raffineria la centrale, nel frattempo acquisita dalla A2A, ha iniziato a differenziare la propria produzione puntando anche su energie alternative ed oggi a Milazzo è in funzione il primo impianto solare termodinamico realizzato nel mondo.
E’ evidente ed assolutamente indispensabile che questo patrimonio di impianti e di know how, di cui può godere il nostro territorio, non vada disperso e che non si verifichi più ciò che è successo con la Pirelli; occorre dunque un grande sforzo collettivo di programmazione, sia da parte dei privati che delle istituzioni pubbliche, per far nascere un grande polo energetico ecocompatibile, in grado di salvaguardare l’ambiente e la salute dei cittadini, basato sulla produzione di energia verde e pulita, sul solare, sul trattamento di bio masse e di rifiuti solidi urbani, e su quanto di più innovativo può offrire oggi la tecnologia in questo settore.
La recente sentenza del TAR di Palermo dello scorso fine luglio ha sonoramente bocciato il Piano regionale della qualità dell’aria con la motivazione che esso era fondato su dati obsoleti che non tenevano conto dei miglioramenti nel frattempo apportati dalle aziende; con ciò si è momentaneamente allontanato il rischio di una chiusura della raffineria. Da qui occorre ripartire, avendo tuttavia la consapevolezza che prima o poi la raffineria è destinata a chiudere, non tanto per i problemi ambientali che ha creato e rischia ancora di creare, ma perché il mercato dei derivati del petrolio è destinato nel tempo a ridursi drasticamente ed a sparire. In questa direzione vanno oggi tutti gli sforzi internazionali (si pensi all’Obiettivo 7 dell’Agenda 2030) e dell’Unione europea, con l’obiettivo prioritario di contrastare il cambiamento climatico ed a questa strategia carbon free saranno destinate ingenti risorse, in primo luogo quella della New generation Eu (Recovery fund).
E’ possibile una riconversione della raffineria in termini di ecosostenibilità? La risposta appare possa essere positiva ed anche nel nostro paese Eni ha avviato con successo nelle raffinerie di Porto Marghera e Gela la riconversione dei vecchi impianti per produrre bio-carburante. Sono due esperienze che possono rappresentare un concreto riferimento per la realtà di Milazzo, anche se alcune criticità vanno ancora affrontate e risolte in merito, al mantenimento dei livelli occupazionali, agli investimenti necessari, all’approvvigionamento della materia prima (olii esausti, olio di palma, trattamento della porzione umida dei rifiuti, ecc). In ogni caso rappresentano una strategia praticabile ed un buon punto di partenza. E’ possibile così immaginare nuove forme di sinergia fra raffineria e centrale elettrica, considerato la A2A , come abbiamo visto, si è già mossa e si sta muovendo in questa direzione (solare, trattamento porzione umida r.s.u) per costruire un polo avanzato di produzione di energia che può rappresentare un’eccellenza nel panorama internazionale.
In questa direzione un impulso fondamentale può venire dalle norme previste dalla istituzione delle Zone Economiche Speciali, in termini di incentivi economici, agevolazioni fiscali, riduzione del costo del lavoro, semplificazione amministrativa, ecc.; tutte condizioni in grado di garantire convenienze e stimolare ulteriori investimenti di altre imprese nazionali ed internazionali. Ancora una volta con i 500 ha circa a disposizione, fra agglomerato industriale e retroporto, il comprensorio di Milazzo rappresenta di gran lunga la maggiore area Zes della Città metropolitana.
In questi anni, nella vertenza Milazzo, un fondamentale ruolo di equilibrio è stato assunto dai sindacati unitari, Cgil, Cisl e Uil che si sono, con coraggio e responsabilità, assunti l’onere di trovare un accettabile punto di equilibrio fra le esigenze di salvaguardia del posto di lavoro e la tutela della salute dei cittadini, avendo a che fare da un lato con l’ambientalismo senza se e senza ma, dall’altro con le resistenze imprenditoriali. Ora occorre fare un decisivo salto di qualità ed affrontare la vertenza Milazzo, indicando anche una strada, una strategia che è possibile seguire. Lo ha fatto il sindacato degli anni ’70, proiettandosi fuori dalla fabbrica nel territorio, per farsi carico non solo di rivendicazioni salariali. Oggi, di fronte alla crisi dei partiti tradizionali, sempre più privi di idee e lontani dai problemi della gente, credo che il sindacato unitario, forte del mai interrotto rapporto con la gente, possa e debba uscire di nuovo dalla fabbrica e farsi carico sul territorio dei bisogni dei lavoratori e dei soggetti sociali più deboli e più svantaggiati.
Giuseppe Fera – Michele Limosani