I numeri snocciolati nell’ultimo rapporto Svimez sono impietosi
Le persone emigrate dal Mezzogiorno nel periodo compreso tra il 2002 e il 2017 sono oltre 2 milioni, di cui 132.187 nel solo 2017. Di queste ultime 66.557 sono giovani, e per lo più con un’alta istruzione (50,4%, di cui il 33,0% laureati, pari a 21.970). Il saldo migratorio interno, al netto dei rientri, è negativo per 852 mila unità. Nel solo 2017 sono andati via 132 mila meridionali, con un saldo negativo di circa 70 mila unità. I numeri snocciolati nell’ultimo rapporto Svimez sono impietosi e testimoniano che al Sud l’emigrazione continua ad essere una questione centrale. Chi vive nel Mezzogiorno è sempre più spesso costretto a fare le valigie per trasferirsi al Nord o anche fuori dai confini nazionali.
“La ripresa dei flussi migratori rappresenta la vera emergenza meridionale, che negli ultimi anni si è via via allargata anche al resto del Paese”, spiegano infatti dall’Associazione per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno.
Più emigrati che immigrati
Sono più i meridionali che emigrano dal Sud per andare a lavorare o a studiare al Centro-Nord e all’estero che gli stranieri immigrati regolari che scelgono di vivere nelle regioni meridionali. In base alle elaborazioni della SVIMEZ, infatti, i cittadini stranieri iscritti nel Mezzogiorno provenienti dall’estero sono stati 64.952 nel 2015, 64.091 nel 2016 e 75.305 nel 2017. Invece i cittadini italiani cancellati dal Sud per il Centro-Nord e l’estero sono stati 124.254 nel 2015, 131.430 nel 2016, 132.187 nel 2017.
La costante e massiccia emigrazione dal Sud causa una perdita di popolazione, soprattutto giovanile, e qualificata, solo parzialmente compensata da flussi di immigrati, modesti nel numero e caratterizzati da basse competenze. Tale dinamica determina soprattutto per il Mezzogiorno una prospettiva demografica assai preoccupante di spopolamento, che riguarda in particolare i piccoli centri sotto i 5 mila abitanti.
Divario tra Nord e Sud
C’è un altro dato molto interessante che emerge dal Rapporto Svimez: dopo un triennio 2015-2017 di (pur debole) ripresa del Mezzogiorno, si riallarga la forbice con il Centro-Nord.
Nel 2018 il Sud ha fatto registrare una crescita del PIL dell’appena +0,6%, rispetto +1% del 2017. Il dato che emerge è di una ripresa debole, in cui peraltro si allargano i divari di sviluppo tra le aree del Paese.
Il dato più allarmante, nel 2018, che segna la divergente dinamica territoriale, è il ristagno dei consumi nell’area (+0,2, contro il +0,7 del resto del Paese). Mentre il Centro-Nord ha ormai recuperato e superato i livelli pre-crisi, nel decennio 2008-2018 la contrazione dei consumi meridionali risulta pari al -9%.
A pesare nel 2018 è il debole contributo dei consumi privati delle famiglie (con i consumi alimentari che calano dello 0,5%), ma soprattutto è il mancato l’apporto del settore pubblico. La spesa per consumi finali delle Amministrazioni Pubbliche che ha segnato un ulteriore -0,6% nel 2018, proseguendo un processo di contrazione che, cumulato nel decennio 2008-2018 risulta pari a -8,6%, mentre nel Centro-Nord la crescita registrata è dell’1,4%.
Il nodo occupazionale
Il gap tra Nord e Sud si manifesta in tutta la sua drammaticità anche sul fronte occupazionale
Sulla base dei dati territoriali acquisiti dalla Svimez, gli occupati al Sud negli ultimi due trimestri del 2018 e nel primo del 2019 sono calati complessivamente di 107 mila unità (-1,7%); nel Centro-Nord, invece, nello stesso periodo, sono cresciuti di 48 mila unità (+0,3%).
Nello stesso arco temporale, aumenta la precarietà al Sud e si riduce nel Centro-Nord: i contratti a tempo indeterminato nel Mezzogiorno sono stati 84 mila in meno (-2,3%), mentre nelle regioni centro-settentrionali sono aumentati di 54 mila (+0,5%), con un saldo italiano negativo di 30 mila unità, pari a -0,2%. Per converso, i dipendenti a tempo determinato sono cresciuti di 21 mila unità nel Mezzogiorno (+2,1%), mentre sono calati al Centro-Nord di 22 mila (-1,1%). Resta ancora troppo basso il tasso di occupazione femminile nel Mezzogiorno, nel 2018 appena il 35,4%, contro il 62,7% del Centro-Nord, il 67,4% dell’Europa a 28 e il 75,8% della Germania.
La SVIMEZ ha stimato che il gap occupazionale del Sud rispetto al Centro-Nord (calcolato moltiplicando la differenza tra i tassi di occupazione specifici delle due ripartizioni per la popolazione meridionale) nel 2018 è stato pari a 2 milione 918 mila persone, al netto delle forze armate. È interessante notare che la metà di questi riguardano lavoratori altamente qualificati e con capacità cognitive elevate. I settori nei quali vi sono i maggiori gap sono i servizi (1 milione e 822 mila unità, -13,5%), l’industria in senso stretto (1 milione e 209 mila lavoratori, -8,9%) e sanità, servizi alle famiglie e altri servizi (che complessivamente presentano un gap di circa mezzo milione di unità).
Il Mezzogiorno manda via i suoi figli
Emigrazione e mancanza di lavoro sono due facce della stessa medaglia, probabilmente l’effetto e la causa dello stesso problema: il Mezzogiorno non offre opportunità e manda via i suoi figli, per cercare fortuna altrove.
DLT
Ovviamente qualcuno griderà gli “urrà” alle mancette elettorali quali il reddito di cittadinanza e i tutor che devono vigilare su come vengono spesi i soldi e come indirizzare verso un lavoro che non c’è, impoverendo tutti sempre di tutto.
Il tutto mentre ci si dimentica di come il mondo civile (parlo di Corea del Sud e Giappone post-II GM) genera reddito reale attraverso le infrastrutture strategiche (Autostrade, Ponti, Alta Velocità, etc, etc) che, se da un lato inizialmente impongono delle uscite, dall’altra c’è un grande ritorno (tasse pagate dalle industrie e relativi fornitori, tasse pagate dai lavoratori non più a carico dello Stato o poveri, reddito da investire per rimettere in moto il terziario). Ovviamente gridiamo in piazza NO a tutto e si alla povertà, che i proclami fanno sempre tanta moda…
A leggere le date cui fa riferimento il rapporto mi chiedo come si possa dare credito a chi sino a ieri stando al governo non ha mosso un dito o ha fatto anche di peggio.
Se il sindaco del cambiamento mette nell’Ente teatro il passato (Miloro e Scoglio )che devono fare i giovani? Prendersi le valigie e andare via.
Come il teatro, altre figure che rappresentano il passato nomina.
Senza tener conto che queste persone sono responsabili insieme ad altri della rovina della città.Inutile mandare atti alla procura quando decide di nominare persone del passato e avendo fatto parte della fallimentare gestione GIUSEPPE Buzzanca .Alla faccia del cambiamento …………………………………………………………………………………..
Non è vero dai! L’economia messinese è floridissima solo che ormai è basata sui centri scommesse e i negozi o ristoranti orientali e sappiamo che entrambi offrono opportunità di carriera eccezionali con compensi “al di sopra della media”.
Ispettori del lavoro cercasi disperatamente.