La recensione del volume scritto da monsignor Foti e che spazia dai temi dell'accoglienza a quelli della fede.
Che cosa sono le scarde? In seconda di copertina mons. Antonio Di Vincenzo spiega: «si chiamano così, in Sicilia, i frammenti e le schegge di pietra, a seguito dei colpi di martello del muratore, per sagomare le pietre nella costruzione dei muri a secco. Non hanno valore, né importanza, apparentemente. Servono, invece, per essere incastrate tra le fessure tra una pietra e l’altra, o fare da base alle grosse pietre, rendendole così inamovibili, oppure come ghiaia nelle strade». Pertanto, le scarde (oppure “schegge”,“zeppole”) costituiscono solo in apparenza degli scarti poiché, in realtà, sono un prezioso materiale di costruzione.
Come afferma papa Francesco, la nostra società esprime “una cultura dello scarto”: in effetti, agli occhi di molti di noi appaiono dei meri “scarti” gli esseri umani che vagano, senza fissa dimora, nelle nostre città. Questi stessi uomini si rivelano preziose scarde a coloro che non si limitano a rivolgere loro uno sguardo frettoloso, che non “passano oltre” come fanno tanti altri. Li accolgono innanzitutto nella loro attenzione, scorgendo il tesoro che essi costituiscono in ragione della loro irremissibile dignità.
Il libro Scarde di mons. Eugenio Foti, studioso di Mariologia, offre un avvincente profilo spirituale e umano di p. Francesco Pati. Buona parte del volume assume la forma di un’intervista. Mons. Foti pone con sapienza le domande, p. Pati risponde senza reticenza. L’intervista è articolata in tre capitoli: Albori, Spiritualità, Pastorale. Seguono i capitoli relativi alle Risonanze, all’Epistolario, alle Interviste a persone già ospiti delle Case di Accoglienza, alle Prospettive e ai Ringraziamenti. Nell’Epistolario sono riportati diversi brani del carteggio intrattenuto dal sacerdote con collaboratori, ex ospiti e detenuti.
Accoglienza è una parola della massima importanza nella vita di Francesco Pati, conosciuto come il fondatore di oltre una decina di Case di Accoglienza e strutture analoghe, situate in località del capoluogo e della provincia di Messina. Si tratta di strutture dalla dimensione familiare che accolgono i “senza casa”, le scarde dell’umanità, affinché possano riprendere coscienza della loro dignità e delle loro risorse.
Sono scarde non soltanto le persone accolte nelle Case ma pure coloro che vi prestano servizio. Lo sono dunque, i volontari e operatori in quanto, grazie a quel servizio, anch’essi avvertono di essere preziosi per gli altri. L’accoglienza che p. Francesco offre loro è condizionata a un solo requisito: l’intento di servire l’uomo, soprattutto chi è ultimo, a prescindere da qualsivoglia confessione religiosa. Per il sacerdote messinese, la spiritualità che caratterizza la vita delle Case può essere compresa da tutti, in quanto è incentrata sull’amore per l’essere umano. Per il credente, il mistero dell’Incarnazione costituisce il fondamento di questa spiritualità, per la quale si riconosce il Dio fatto uomo che è presente nell’altro («Riconoscerlo presente in chi mi è vicino e in chi mi è lontano, ha caratterizzato il mio essere cristiano, prima, e prete, dopo. Il poterlo vedere, toccare, abbracciare, sentire nell’altro, ha rafforzato, alimentato il mio rapporto con Lui», p. 67).
E come scarda, infine, percepisce se stesso anche Francesco Pati, il quale nel realizzare le Case ha trovato il proprio “posto” nella costruzione di una Casa ben più grande: la Chiesa. Lo ha trovato dopo un travagliato percorso di vita, che avrebbe potuto avere un esito ben diverso. Consapevole di ciò, questo sacerdote, citando san Paolo, suole dire: «Per grazia di Dio io sono quello che sono» (1 Cor 15,10).
Nella Prefazione il cardinale Franco Montenegro pone in luce la complessa personalità dell’amico, scrivendo: «La storia di don Franco – che ho conosciuto da bambino e che ho avuto come vice parroco – è la storia di un sognatore, ma con i piedi per terra. Prete-uomo e uomo-prete (non mi è facile scegliere quale definizione porre per prima?!?) che guarda sempre lontano ma sempre attento a ciò che succede vicino, generoso ma anche testardo, dai grandi voli ma anche dalle picchiate dolorose, grande donatore di gioia (amicone, in una parola) ma anche grande faticatore, con tanti pregi ma anche tanti difetti, eccellente slalomista tra paure e convinzioni, capace in un minuto di mandare tutto all’aria, ma pronto subito dopo a raccogliere i pezzi e ricomporli, “fatto a modo suo” (per fortuna), per questo tante volte difficile da avvicinare ma spesso anche facile nell’offrire e nel ricevere la sua amicizia» (p. 5).
Francesco Pati preferisce definirsi “prete di strada”. Ed è in ottima compagnia: erano preti di strada Pino Puglisi e Oreste Benzi, come lo sono Luigi Ciotti e Alex Zanotelli. La vocazione di p. Francesco è nata proprio “per strada”. Significativamente, “Santa Maria della Strada” è la protettrice delle Case nonché la denominazione dell’Associazione di Volontariato e della Cooperativa Sociale da lui fondate circa venticinque anni or sono.
Come si è detto, il primo capitolo del libro è intitolato “Albori”. Agli albori della vita di padre Francesco vi è una famiglia povera, ma prodiga di affetti, e un quartiere popolare, Ritiro. Negli anni Sessanta, ai bambini di questo quartiere era possibile giocare all’aperto, insieme a coetanei di diversa condizione sociale ed economica. In tale contesto, Francesco ha imparato a trattare con le persone più differenti: ad esempio, il ricco e il potente senza mostrare un atteggiamento servile e il povero con rispetto ma senza compiacerlo ad ogni costo.
Agli albori del linguaggio di p. Francesco vi è la parlata della gente di Ritiro, che si caratterizza per il suo approccio estremamente diretto come per il lessico alquanto “colorito”. Egli non rinnegherà mai questo lessico che costituisce un elemento della sua personalità tale da renderla singolare all’interno del presbiterio messinese. Proprio questo linguaggio gli consente di conquistare spesso la fiducia e la confidenza del povero.
E, sempre agli albori della vita di questo sacerdote, vi è una fede che compie i primi passi nella parrocchia di Ritiro. Qui matura nel piccolo Francesco la predilezione per i poveri. Ve ne erano molti, a Ritiro, cinquanta anni or sono. La “signora Fortunata” (p. 33), che al tempo soccorre assiduamente gli indigenti e i malati del quartiere, costituisce un esempio significativo per un ragazzo generoso come lui. Nel libro, il presbitero ricorda con gratitudine altri laici e confratelli che hanno contribuito alla sua formazione umana e cristiana.
La vita familiare è segnata dalla precoce morte del padre. Francesco ha appena tredici anni. Nel libro rievoca le inquietudini di un adolescente che ama vivere sulla strada e viaggiare in autostop. E, sulla strada, ha i primi arrischiati incontri con le persone senza fissa dimora. Pochi anni dopo, il giovane avverte e segue la sua vocazione ed entra in seminario. Anche qui vive dei periodi molto difficili, costellati di trasgressioni. Tuttavia, egli supera anche questa prova e viene ordinato sacerdote.
Nell’arco di oltre vent’anni, Francesco Pati ha realizzato il progetto della sua vita: la fondazione della Case di Accoglienza, concepite per ospitare persone portatrici delle più diverse forme di disagio psicosociale. Queste Case costituiscono la sua “opera”. Il suo impegno ha portato frutto.
Nunzio Bombaci