Referendum, il prof. Manduca: "La democrazia è un fatto complesso non un calcolo numerico"

Referendum, il prof. Manduca: “La democrazia è un fatto complesso non un calcolo numerico”

Autore Esterno

Referendum, il prof. Manduca: “La democrazia è un fatto complesso non un calcolo numerico”

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venerdì 18 Settembre 2020 - 16:33

La riflessione del professor Manduca sul referendum del 20 e 21 settembre sul taglio dei parlamentari

Siamo immersi nel numero, la nostra società, la nostra stessa civilizzazione ormai ha una connotazione innanzitutto digitale, non immaginabile qualche secolo fa persino dallo stesso Galilei quando affermava che il libro della natura, il linguaggio stesso di Dio, è scritto in termini matematici. Oggi nonostante per molti Dio sia morto da tempo, l’uomo continua a non poter fare a meno del numero: strumento di comprensione del reale ma anche della sua più efficace comunicazione: feticcio indispensabile, giustificazione e unico fondamento di verità, non solo scientifica ma anche politica e sociale.

Immersi nel numero

Il nostro orizzonte antropologico, reale e virtuale, non solo è costruito sul numero ma vi si nutre, non ne può fare a meno, lo cerca e lo insegue; invoca risposte e prende decisioni in base a quello che le cifre impongono. Si tratti dell’economia o di disegnare una politica sanitaria o scolastica, prima del covid-19, fieramente estranea a qualsiasi intrusione qualitativa che non fosse diretta conseguenza dei saldi positivi nei bilanci. Il nostro panorama sociale non sarebbe pensabile al di fuori di continui rapporti numerici e statistici; sondaggi scale di gradimento, classifiche e ranking: passepartout che dovrebbero aiutarci a comprendere, a capire meglio la realtà, sull’assunto che la matematica è lo strumento più potente a disposizione dell’uomo per scostare il velo da quell’orizzonte, nonostante tutto, ancora impenetrabile, che rimane la natura e la nostra stessa esistenza.

Il numero è cabala e magia

Una assicurazione contro l’ignoto di cui l’umano resta comunque preda e che non conviene né alla politica, né alla produzione né alla scienza rendere evidente. La modernità non può infatti, accettare l’indeterminatezza, l’aleatorietà, il rischio del futuro: per questo il numero diventa cabala e magia, espediente psicologico oltre che arma e naturale strumento della razionalità. I numeri non mentono, come le parola, si dice, assunto non sempre vero come matematici e statistici sanno  meglio di chiunque altro: contare, misurare è operazione tutt’altro che neutra, semplice e ingenua.

La pandemia ci ha fatto toccare con mano cosa produca questa ansia dei numeri; ormai anche i non addetti ai lavori sono coscienti di quanto le statistiche dei contagi siano influenzate dagli stessi criteri di classificazione, oltre che dalla quantità di tamponi: più si cerca il virus più se ne trova. Nessuna risposta viene così, naturaliter, dalle misure e dura fra gli addetti ai lavori una profonda polemica sulla natura dell’epidemia, sulla sua reale pericolosità sulla base degli stessi dati che vengono usati per giungere a conclusioni opposte da scienziati di fazioni contrarie.

Il dibattito sul referendum

Di recente, anche Mario Draghi ci ha spiegato, inoltre, che neppure in economia numeri simili si possono mettere sullo stesso piano o produrre conseguenze uguali; per cui vanno intesi e giudicati con parametri diversi non numerici: così il debito, dopo le sue esternazioni non è più sempre e comunque negativo ché esiste debito buono e debito cattivo. Un richiamo a una categoria politica e morale dell’economico che in verità era già parte importante del pensiero prima di Adam Smith, anche lui, professore di etica, e non solo teorico della mano invisibile e del potere sciamanico di autoregolazione del mercato. Ma in questi giorni è la politica nostrana ad essere presa dal maggiore affanno quantitativo. Al centro del dibattito sta, infatti, quel referendum sul taglio di 345 parlamentari, che si terrà a breve e da cui, per alcuni, sembra dipendere la sorte non solo del governo ma il futuro dell’Italia, la sua palingenesi politica o, al contrario, costituire un rischio per la democrazia e la rappresentanza popolare. Anche qui il tutto è condito con dovizia di dati, da una parte e dall’altra; cifre che dividono in maniera profonda e trasversale costituzionalisti, politologi, sociologi, economisti, persino letterati e storici.

Alchimie elettorali

Personalmente non mi aspetto niente dal referendum, niente di concreto e di strutturale, intendo, sia che prevalga l’opzione riduzionista che quella conservatrice. Infatti qualsiasi scelta quantitativa non può essere considerata migliore, a prescindere da altro che non sta nelle alchimie elettorali: come si è visto dopo anni di dibattiti e ubriacature per il maggioritario che hanno prodotto una nuova fascinazione per il proporzionale.

La democrazia è fatto complesso

La democrazia è fatto altrimenti complesso rispetto al semplice calcolo numerico della rappresentanza e chiama in causa fattori difficilmente definibili, non ultimo uno spessore qualitativo della rappresentanza ma, soprattutto della cittadinanza, che nessun algoritmo numerico potrà garantire. Più che sulle cicliche polemiche sulla rappresentanza elettorale ci si dovrebbe esercitare, ad esempio, per ridurre quella deficienza formativa, quell’assenza che sta diventando drammatica nei nostri percorsi educativi di quella che i tedeschi chiamano Bildung: una formazione che non fa solo riferimento ai dati e alle nozioni ma che promuove la costruzione lenta e paziente di una personalità, di giovani generazioni sempre più preda della violenza reale e virtuale, attraverso l’interiorizzazione della cultura, la formazione di sensibilità, immaginazione e sentimenti.

Una democrazia non vive senza questo sostrato immateriale non quantitativo che  nessun sistema elettorale può dare. Ma si tratta di un affare di lunga lena, per cui non basta un software preciso e non immediatamente spendibile in comizi e dibattiti d’occasione. Ma la democrazia è affare che ha bisogno di costante cura e attenzione, difficile e delicato; la demagogia, al contrario, è terreno su cui tutti, soprattutto chi meno comprende e sente la propria cittadinanza, può competere e il nostro sistema politico ormai, da anni, è più palestra di demagogia che panorama e tensione verso un’autentica democrazia.

Raffaele Manduca Professore Associato di Storia Moderna
Università degli Studi di Messina

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