Reiterato l'invito a Falcomatà a dimettersi per far tornare al voto la cittadinanza. Sul tappeto il Codice etico infranto e altre presunte violazioni
REGGIO CALABRIA – La lunga, lunghissima giornata politica di Reggio Calabria inizia con una conferenza stampa convocata d’urgenza giusto ieri sera dal centrodestra al Comune, con inizio a ridosso del teorico inizio dei lavori d’Aula.
Convocazione repentina. Anche troppo…
Una convocazione talmente “flash” che il personale di Palazzo San Giorgio ieri non è stato avvisato e neppure il presidente del Consiglio comunale Enzo Marra ne sa nulla: alla fine, i consiglieri di centrodestra possono ugualmente incontrare i giornalisti nel Salone dei lampadari “Italo Falcomatà”.
Per la verità, s’era parlato di un incontro con la stampa di «tutti i consiglieri d’opposizione»: si scoprirà poi che gli altri due tronconi (Saverio Pazzano ex candidato sindaco de La Strada e Angela Marcianò già candidata sindaco per l’odierna Impegno e identità) non sono stati minimamente coinvolti.
“Processo Miramare”, rinnovato invito a Falcomatà a lasciare
In pratica, si parla esclusivamente della situazione politica dopo la condanna anche in appello nel “processo Miramare” in capo al sindaco (sospeso) Giuseppe Falcomatà e a vari altri amministratori. Tra i quali, giova ricordarlo per completezza, anche l’ex vicesindaco e oggi esponente del centrodestra – in Italia al centro – Saverio Anghelone e l’ex vicesindaco metropolitano Armando Neri, da tempo in predicato di entrare a far parte dell’Unione di centro, dopo lo “schiaffo” della sostituzione da parte di Falcomatà con Carmelo Versace a pochi minuti dalla condanna nel “processo Miramare” in primo grado.
Dal capogruppo di Forza Italia Federico Milia a quello di Fratelli d’Italia Demetrio Marino, tutti gli oppositori di coalizione si dicono convinti che dopo la doppia condanna il sindaco sospeso Giuseppe Falcomatà si sia regolato molto male, non dimettendosi.
Strategie in corso per “far saltare il banco”
In particolare, l’ex competitor per la carica di sindaco Nino Minicuci, ne ricorda le presunte “promesse da marinaio”: «Aveva giurato che si sarebbe dimesso se anche solo fosse stato rinviato a giudizio… Invece – fa presente il consigliere della Lega – ce lo ritroviamo condannato in primo grado e pure in appello, ma resta ‘incollato alla poltrona’».
Da Massimo Ripepi di Italia al centro ai capigruppo di Udc e Carroccio – Mario Cardia e Peppe De Biasi rispettivamente –, l’intera coalizione snocciola una serie di punti rispetto alla decisione di Falcomatà di non dimettersi malgrado il secondo periodo di sospensione, peraltro accingendosi – ovviamente dopo il futuro deposito delle motivazioni – a impugnare il verdetto sfavorevole davanti alla Corte di Cassazione.
Il più importante: per dispiegare un’azione politica “alzo zero” non si attenderà il ritorno di Falcomatà dopo l’ulteriore anno di sospensione dalla carica, ma stavolta il centrodestra «farà quanto in suo potere alla luce delle regole democratiche», scandisce il meloniano Marino, affinché l’Ente si sciolga e si restituisca la parola agli elettori già nel prossimo mese di maggio.
Che siano indispensabili precisi ‘passaggi’ reggini, calabresi e romani per quanto attiene ai partiti, i consiglieri poi lo sanno bene.
Contestazioni & doppiopesismo
Tra le altre contestazioni nuovamente mosse, la plateale violazione del Codice etico di Avviso pubblico che l’Ente reggino aveva recepito e invece avrebbe poi disatteso; non solo con le mancate dimissioni a fronte di rinvii a giudizio e successive condanne ma, in origine, con la mancata costituzione di parte civile del Comune nei confronti degli amministratori sotto accusa.
Ancora, la circostanza che il sindaco di Reggio Calabria sia, a sentire i consiglieri di minoranza, l’unico tra quelli sospesi a non aver lasciato l’incarico. In realtà, non è così.
Soprattutto, fa notare il cronista, non ha lasciato l’incarico – e ha ribadito con chiarezza di non averne alcuna intenzione – il sindaco di Rende, cruciale centro alle porte di Cosenza, e presidente regionale dell’Anci Marcello Manna, dapprima ai domiciliari in un’inchiesta ‘pesante’ come Reset e più di recente destinatario di divieto di dimora (proprio per questo è stato poi sospeso dalla carica, per la concreta impossibilità d’esercitare il proprio mandato) nel recentissimo blitz a Rende da 72 indagati e 24 misure cautelari.
Eppure i consiglieri reggini di centrodestra dovrebbero saperlo.
Innanzitutto perché Manna è sindaco del centrodestra al secondo mandato; più precisamente, espresso da Forza Italia. In secondo luogo, perché alcuni mesi fa finì ai domiciliari con l’accusa d’aver intrattenuto rapporti con la ‘ndrangheta ai tempi delle prime Comunali vinte a Rende. E soprattutto perché in queste stesse ore sta subendo lo stesso “trattamento” riservato a Giuseppe Falcomatà: e lui cosa fa? «Non mi dimetto assolutamente», ha risposto nella giornata di ieri agli inviti pressanti di chi vorrebbe, per usare un lessico familiare al centrodestra di qualsiasi latitudine, “liberare” il Comune rendese dalla sua presenza ormai particolarmente ingombrante.
Invece, no: anzi, qualche consigliere di centrodestra si stizzisce pure, quando gli si fa notare il doppiopesismo un po’ complicato da sopportare tra sindaci sospesi di serie “A” e sindaci sospesi di serie “B” e invita a «parlare delle cose di Reggio».
Fin troppo evidente, che invece la “madre di tutte le questioni” non sta nell’esigenza o meno che “questo” sindaco in “questa” città si dimetta, cosa che peraltro non intende fare come s’è largamente intuìto da tempo. Ma sta piuttosto nella ripetibilità, nella possibilità d’identificare un criterio certo e reiterabile anche in futuro rispetto a situazioni di Giustizia (e d’etica, se vogliamo mettercela) di questo tipo. Che – in verità – sconcertano e disorientano gli amministrati a ogni latitudine e in ogni città.
E peraltro, i consiglieri di centrodestra si stracciano le vesti per il mantenimento da parte del piddino Falcomatà dell’incarico di responsabile nazionale Legalità dell’Anci, l’Associazione nazionale dei sindaci. Ma proprio il forzista primo cittadino di Rende continua a esserne il presidente calabrese…
L’asimmetria fra i due Palazzi
Roberto Vizzari di Forza Italia – per 15 anni a sua volta sindaco, a San Roberto – pone pure un problema tecnico e, in controluce, politico.
Alla luce della “Delrio”, istitutiva delle Città metropolitane, eleggendo Giuseppe Falcomatà di fatto i reggini avevano scelto pure il sindaco della MetroCity. «E invece no – protesta Vizzari –. Non solo i reggini si ritrovano qualcuno di diverso da colui il quale avevano votato quale sindaco a elezione diretta; ma, per di più, di reggenti se ne ritrovano due, diversi fra loro, cosa che la “legge Delrio” non contempla assolutamente».
Dimissioni? «Solo se saranno almeno 17»
Respinti, a più voci, poi, i pressanti inviti da parte di ex amministratori, associazioni, elettori di centrodestra affinché siano i consiglieri di minoranza a dimettersi, non dal notaio – qualcuno precisa – ma nelle mani del segretario comunale.
Qui però sembra molto difficile dar torto agli esponenti di centrodestra, non sul “segnale” ma sul profilo tecnico di un gesto di quel tipo: «Alla fine, l’Amministrazione comunale non tornerebbe a casa assolutamente. L’unico effetto che si verrebbe a produrre – hanno spiegato, fra gli altri, il forzista Vizzari e il totiano Ripepi – è la surroga a beneficio dei primi dei non eletti», cosa peraltro accaduta proprio a favore di Vizzari quando, ‘in solitaria’, a lasciare fu Nicola Malaspina di ReggioAttiva.
Di più: «Proprio firmare le dimissioni da un notaio – puntualizza Massimo Ripepi –, invece, è la garanzia che s’intenda realmente perseguire il risultato di far sciogliere il Comune e tornare alle urne. Perché si sa che il golden number è 17, e l’intera opposizione, anche considerando Impegno e identità e La strada, non arriva a questa cifra. Occorrerebbe dunque firmare tutti le nostre dimissioni dal notaio, attendendo poi che si aggiungano quelle indispensabili di qualche consigliere di maggioranza, per poi consegnarle tutte, simultaneamente, dal segretario comunale».
Infatti, solo le dimissioni contestuali, simultanee di almeno la metà più uno dei consiglieri comunali può produrre l’effetto-scioglimento.
E non è finita neanche qui: «Se anche rinunciassero preventivamente tutti gli altri candidati a consigliere di tutte le liste di nostra appartenenza – mette le mani avanti Vizzari –, l’Amministrazione non cadrebbe ugualmente. Il centrosinistra andrebbe avanti coi soli consiglieri di maggioranza: garantito».
Se poi invece lo schieramento di centrodestra scegliesse di privilegiare il “segnale politico”, questo sarebbe altro ragionamento, finalizzato a galvanizzare il proprio elettorato ma non a conseguire l’esito di un pronto ritorno alle urne.