Il responsabile della protezione civile messinese risponde all’ing. Santoro che aveva scritto una riflessione in merito alla sentenza di L’Aquila che condanna la Commissione Grandi Rischi della Protezione Civile. La pubblichiamo integralmente. In allegato, invece, l'articolo dell'ing. Santoro
“La “profonda riflessione” sulla sentenza dell’Aquila apparsa qualche giorno fa sul vostro giornale altro non è che un misero tentativo di voler delegittimare il sistema della protezione civile, operato paradossalmente proprio da un tecnico che per molti anni, sino a poco tempo fa, è stato responsabile di un Servizio del Dipartimento Regionale di Protezione Civile.
La sentenza dell’Aquila, di cui ancora non si conoscono le motivazioni, non può essere cavalcata per mettere in discussione tutto il sistema sollevando nubi e ombre anche la dove il sistema funziona (e molto bene) e lavora per l’interesse collettivo.
Se da un lato non si possono disconoscere errori che hanno generato tensioni all’interno della istituzione protezione civile, non si possono non riconoscere i meriti che sono stati acquisiti sul campo, anche grazie ai volontari di protezione civile, ma non solo.
Traspare una grande soddisfazione nelle parole dell’estensore dell’articolo laddove esalta la sentenza lanciando accuse del tutto infondate che sono smentite dal suo stesso passato in protezione civile nella qualità di responsabile del Servizio Sismico del Dipartimento Regionale di Protezione Civile.
Che un “esperto di rischio sismico” avalli la tesi del mancato allertamento della popolazione prima di una scossa, significa che da domani sarebbe meglio affidare la gestione del sistema di protezione civile a “veggenti e cartomanti”. E’ stata artatamente creata confusione tra la valutazione del rischio e logiche di potere, come se le azioni di prevenzione possano essere una scelta politica di questo o quel colore.
Pensate a ciò che è successo con gli sciami sismici del Pollino e dei Nebrodi. Martedì 23 ottobre, ho partecipato a Catanzaro ad un convegno sulla prevenzione del rischio sismico. In quella occasione il Dirigente Generale della Protezione Civile della Regione Calabria parlò dello sciame sismico sul Pollino e delle iniziative intraprese sul territorio dalla Regione. Poiché la totalità dei circa 40 comuni coinvolti era sprovvista di un piano di protezione civile, in considerazione della situazione determinatasi, furono inviate a tutte le amministrazioni locali gli schemi da compilare per la redazione di un piano speditivo di emergenza per il rischio sismico. Furono fatti incontri, riunioni per “far prendere coscienza” alle amministrazioni locali e spiegare la necessità e l’importanza di dotarsi di uno strumento basilare per la prevenzione e la gestione di una qualsiasi emergenza, da diffondere alla popolazione con una campagna di informazione capillare sul territorio. Ebbene con grande rammarico il Dirigente Generale della PC della Calabria ebbe a dire che dopo circa due anni e i numerosi solleciti, inviti e iniziative intraprese a livello regionale, solo pochi comuni avevano provveduto a predisporre il piano attuando le iniziative di sensibilizzazione della popolazione.
Analogamente fu fatto nel territorio della provincia di Messina, in occasione dello sciame sismico dei Nebrodi dello scorso anno, allorquando il Dipartimento Regionale della Protezione Civile adottò la stessa iniziativa su circa trenta comuni. I risultati furono esattamente analoghi. La differenza è stata che mentre nei Nebrodi lo sciame si è arrestato senza alcun danno, nel Pollino si è verificato un sisma un po’ più forte che ha generato danni e una vittima.
E allora a chi dare la colpa del “mancato allertamento”? Alla Commissione Grandi Rischi? Alla Regione? Se un edificio costruito prima dell’entrata in vigore delle norme sismiche o in loro difformità o con un elevato degrado strutturale dovuto alla mancata manutenzione, si trova oggi, dopo gli studi effettuati dalla comunità scientifica, in un’area a elevata pericolosità sismica, cosa dovrebbe fare la popolazione che lo abita? La si può informare sui rischi presenti sul territorio e sui comportamenti da tenere in caso di sisma ma non si può certo dire: in questo edificio non si può più abitare. Anche perché c’è una enorme differenza tra agibilità e idoneità sismica e chi ha diretto il servizio sismico per tanti anni lo sa perfettamente. E allora quale prevenzione adottare? Facciamo evacuare centinaia di migliaia di persone se non milioni solo perché stanno in un area dichiarata sismica e le loro case non sono costruite secondo le ultime normative, sol perché potrebbe arrivare un sisma? Facciamo evacuare i centri storici?
Sono numerose le amministrazioni locali che disattendono totalmente gli indirizzi che sia il Dipartimento Nazionale che quello Regionale si affannano a dare per la predisposizione di una sia pur minima pianificazione di emergenza. La presa di coscienza che viene auspicata è purtroppo ancora molto lontana a livello locale. Ma non è certo con questa demagogia, strumentalizzando la sentenza dell’Aquila, che si aiuta a fare prevenzione. Chi oggi lancia strali contro la protezione civile e la Commissione grandi rischi lo fa o perché non conosce come funziona il sistema di protezione civile, le sue articolazioni, le competenze che le norme attribuiscono, gli aspetti scientifici che abbracciano la materia del rischio sismico, o lo fa in malafede, per ritorsione verso quella politica dalla quale, forse, non ha ricevuto ciò che si aspettava. Si vuole colpire il sistema a 360 gradi perché, questa sì, è la logica politica di chi persegue obiettivi diversi da quelli che sono la messa in sicurezza del territorio.
Paragonare la gestione della ricostruzione dell’Aquila a quella di Giampilieri non risponde al vero e lo dimostrano i fatti, con gli interventi concordati con la popolazione, con la bocciatura di qualsiasi forma di delocalizzazione, con la realizzazione di interventi progettati in house, tutto sotto il diretto coordinamento del DRPC che ha sempre ascoltato le richieste provenienti dal territorio. Augurarsi che vengano condannati i vertici regionali della protezione civile per i fatti di Giampilieri sa più di desiderio di rivalsa personale che di amore di verità. Ci sono tante cose da fare in protezione civile per migliorare il sistema e l’efficienza, riducendo gli sprechi e utilizzando le risorse in modo più oculato, come del resto in ogni altra istituzione di questo paese, ma certe posizioni strumentali non costruiscono nulla (per gli altri) ma distruggono ciò che di valido è stato finora fatto in Sicilia, in Italia e all’estero in aiuto delle popolazioni colpite da grandi disastri”.
Credo che ancora oggi ci sia una discreta confusione sul ruolo della protezione civile nel nostro paese. Tale struttura dovrebbe essere esclusivamente tecnica, supportando i normali settori di opere pubbliche dei comuni, delle province, delle regioni per la messa in sicurezza del territorio (concetto molto abusato, ma mai sufficentemente spiegato; quanti soldi sono necessari per mettere in sicurezza il territorio, disponiamo di quest’enormità di risorse?)ed intervenendo prontamente in caso di calamità.
A l’Aquila la commissione grandi rischi in un certo senso rassicurò i cittadini, mentre il loro compito era quello di riferire alle autorità politiche (sindaco, prefetto,ecc,) ai quali spettava la decisione sul grado di allarme da trasmettere alla popolazione.
Il geologo Mario Tozzi insiste nel dire che certi territori non sono compatibili con insediamenti umani, concetto semplice ma che stenta ad essere compreso.