Gli imprenditori agricoli cercavano di aggirare il protocollo Antoci per continuare a dragare finanziamenti pubblici. Tutti erano vicini a pregiudicati. Ecco come la mafia continua a gestire ingenti risorse sui Nebrodi.
“Nella realtà montana dei Nebrodi, un manipolo di imprenditori del settore della pastorizia legato al l'associazione mafiosa di Cosa Nostra detiene il controllo di estesi appezzamenti di terra di proprietà demaniale. Una proprietà demaniale in buona parte svuotata del suo contenuto, in quanto, attraverso una lunga serie di atti concessori a vantaggio sempre degli stessi destinatari, essa sembra essere di fatto caduta nella gestione para-dominicale di questi ultimi, stretti da un pactum scelerìs che, grazie alta intimidazione mafiosa, ha generato un sistema chiuso, inaccessibile a potenziale terzi interessati. Un sistema nel quale la percezione di flussi pubblici di denaro, sotto forma di contributi europei, alimenta la spinta alla conservazione, con finalità oilgocratica dello status quo.”
E’ questo lo spaccato che emerge dalle carte dell’inchiesta Nebrodi 2, nelle parole del Giudice per le indagini preliminari di Caltanissetta, Graziella Luparello che ieri, accogliendo la richiesta della Procura, ha spedito 7 persone in carcere, 7 ai domiciliari mentre per il responsabile dell’azienda silvio pastorale di Troina, Antonio Consoli, ha disposto l’obbligo di firma.
Uno spaccato di come vanno le cose in una parte dei Nebrodi, quella parte del polmone verde della Sicilia fatto di cime alte, boschi e terreni, che incorniciano le pendici dell’Etna, un territorio cerniera tra le province di Messina, Catania ed Enna dove ieri si muovevano gli agricoltori per la raccolta del grano, oggi come ieri si muovono i pascoli, oggi si muovono i capitali creati dall’illecita percezione dei finanziamenti pubblici alle attività agricole, in molti casi in mano a poche, grosse famiglie legate a doppio filo ai clan storici locali.
Famiglie definibili anche queste come “clan –cerniera”, perché attraverso legami parentali sempre più stretti che mettono insieme i prossimi congiunti di esponenti storici dei clan con imprenditori delle nuove generazioni ma fidatissimi, cementano e concentrano interessi economici che si sviluppano da Tortorici alla provincia di Enna, passando per il catanese.
In questa ricostruzione del capitale mafioso e trasformazione della faccia della mafia dei Nebrodi, avvenuta nell’ultimo decennio, gli sviluppi di alcune precise azioni politiche e giudiziarie, come l’ormai noto Protocollo Antoci e le diverse inchieste giudiziarie, hanno costituito un elemento di disturbo che le famiglie sembrano non aver digerito.
E’ a questo che l’ex presidente del Parco dei Nebrodi Giuseppe Antoci attribuisce l’intimidazione sventata, da lui subita il 18 maggio 2016, anche se gli investigatori non hanno trovato traccia degli attentatori.
E’ a questo che anche la magistratura di Caltanissetta attribuisce le “condotte fraudolente” sanzionate dagli arresti di ieri. Tra le persone fermate, infatti, ci sono prossimi congiunti (mogli, cognate, parenti stretti) di persone con precedenti per mafia, e persone con procedimenti penali per altri reati. Quando il protocollo Antoci ha portato all’interdittiva antimafia che ha messo fuori i pregiudicati dai contratti di sfruttamento dei terreni, i “soliti noti” si sono organizzati ed hanno adoperato le persone a loro più vicine per partecipare alle gare per la concessione, ed hanno poi cercato di pilotare la gara.
“Nonostante l'entrata in vigore, nei 2006, del codice dei contratti pubblici, i lotti demaniali insistenti nel Parco dei Nebrodi hanno continuato, per diversi anni, ad essere affidati in concessione al di fuori di qualsivoglia meccanismo pubblico di selezione. Tale status quo subiva, almeno formalmente, una spinta verso l’adeguamento alle prescrizioni ordinamentali soltanto nel 2015, quando, a seguito degli interventi dell'autorità giudiziaria, l'azienda Silvo Pastorale di Troina, investita della gestione dei demanio nel comuni di Troìna, Cerami e Cesarò, tutti ricompresi nel Parco dei Nebrodi, decideva finalmente di subordinare il rilascio delle nuove concessioni all'espletamento di una procedura ad evidenza pubblica. Ciò provocava una eccitazione fibrillato ria nel "vecchi" concessionari, esposti al pericolo di perdere la "base aziendale" per la riscossione dei finanziamenti pubblici, i quali, pertanto, decidevano di attivare ogni opportuna misura espulsiva nei confronti di potenziali concorrenti, Sicché, tra intimidazioni palesi e condizionamenti ambientali, la procedura competitiva diventata un involucro vuoto, utilizzato per ammantare di legittimità formale il potere dei concessionari storici del lotti di terreno, assicurandone in tal modo la perpetuazione, Pertanto, innovando le regole del gioco, cambiava tutto perché tutto, con desolante gattopardismo, rimanesse come prima: nella dura contesa tra continuità e rinnovamento, che avrebbe permesso alla economia nebrodese una rilevante e benefica escursione respiratoria, era il secondo polo dialettico a
soccombere”, scrive il GIP Luparello.
Il fatto raccontato dalla seconda tranche dell’inchiesta Nebrodi riguarda sostanzialmente una vicenda nel 2015. Alla fine di quell’anno, lo ricordiamo – a metà dicembre – la Prefettura emette la prima interdittiva antimafia seguente al protocollo Antoci.
Nel 2015 l’azienda silvio pastorale del comune di Troina indice una gara a licitazione privata per la concessione di lotti di terreno per lo sfruttamento agricolo. Procedura in sé lecita, spiega il giudice, anche se poi così come attuata dal responsabile dell’asta, in realtà non ha rispettato comunque i criteri previsti dalla normativa per questo genere di procedure. Il sei maggio 2015 nella sede dell’azienda si apre l’asta e i “soliti noti”, così li definisce il giudice, presidiano fisicamente la sede, così da evitare la partecipazione di soggetti estranei. Alla gara, malgrado fossero decine i concorrenti, in realtà si presentano con offerte concordate, così da pilotarne di fatto l’aggiudicazione. E quando le offerte si aprono e si accorgono che vi ha partecipato un soggetto a loro sconosciuto, nella sede si scatena una vera e propria rivolta, con tanto di arrivo delle forze dell’Ordine per riportare alla calma.
Rivolta a parte, 16 lotti di terreni vengono assegnati. Tra i concessionari, una lunga serie di soggetti con precedenti o loro parenti stretti o strettamente legati a due grossi imprenditori agricoli, colpiti dall’interdittiva.
Nel gennaio 2017 (LEGGI QUI) scatta la denuncia degli imprenditori agricoli che avevano attestato di essere ancora concessionari dei terreni, malgrado l’interdittiva antimafia li avesse estromessi dai contratti di concessione, continuando così a percepire i contributi agricoli per gli stessi lotti di terreno. Oggi finiscono in carcere e ai domiciliari tutti quelli che avevano consentito agli imprenditori di continuare ad avere la titolarità di fatto dei terreni, turbandola gara dell’Azienda Silvo Pastorale concordando le offerte. Al vaglio c’è anche l’operato del funzionario Consoli, che sarebbe stato “solidale” con i partecipanti, secondo la Procura. Lo svelerebbero le intercettazioni ambientali e telefoniche di quel periodo, e il fatto di aver suggerito loro alcune modalità di partecipazione alla gara, come quando ha suggerito ad alcuni dei partecipanti di costituirsi in ATI (associazione temporanea di imprese).