Tutti i passaggi del provvedimento di sequestro sui conti che secondo la Procura sarebbero serviti a portare all'estero soprattutto i proventi del business traghetti. Il ruolo di Luigi e le dure parole del giudice sulla Dinasty Genovese.
E’ una coda degli accertamenti sui fondi esteri di Francantonio Genovese l’inchiesta sfociata oggi nel sequestro milionario che ha colpito anche il figlio Luigi. I finanzieri di Messina e il procuratore aggiunto Sebastiano Ardita, a lavoro insieme ai sostituti Antonio Carchietti e Fabrizio Monaco, hanno infatti seguito il movimento dei soldi di Genovese dal paese alla Svizzera. Di lì a Panama il passo è stato breve, si fa per dire, e la magistratura messinese ha così scovato anche i conti nei paradisi fiscali dove Genovese avrebbe nascosto le entrate derivanti dalle partecipazioni nella Caronte & Tourist. Una parte di quegli accertamenti, avviati dopo la trasmissione di atti della Guardia di Finanza di Milano sui soggetti compresi nella famosa lista di investitori italiani nella Svizzera ormai non più blindata, erano già emersi nel 2015, quando il pool di magistrati messinesi depositò i risultati degli accertamenti sulle polizze vita agli atti del Tribunale del Riesame.
Ascoltato sulle polizze alla Credit Suisse, Genovese parlò di un primo fondo acceso dal padre, Luigi Genovese Senior, quando Francantonio aveva soltanto un anno. Denaro sulla cui natura, quindi, Genovese poco saprebbe. Secondo il giudice messinese che ha firmato il provvedimento di sequestro, però, il fondo è stato ampiamente rimpinguato negli anni adulti di Francantonio, ed è talmente ricco da ritenere impossibile da credere che Genovese non ne fosse consapevole. In particolare, secondo la relazione delle Fiamme Gialle, i movimenti di denaro fanno pensare che si tratti degli introiti dovuti alle quote della società di traghettamento.
Ecco perché oggi sono finite sotto sequestro le partecipazioni nella Caronte, oltre che la villa di Ganzirri. Sotto chiave anche la GePa, la società che secondo la Procura, dopo aver costituito una delle cassaforti di famiglia, sarebbe stata “svuotata” da corposi prelievi, per poi consentire il trasferimento del residuo patrimonio mobiliare e delle potenzialità finanziarie al figlio Luigi, che così subentra nella holding di famiglia.
L’obiettivo, secondo la magistratura messinese, era evitare i provvedimenti attesi dopo il varo dello scudo fiscale. Genovese è infatti tra quelli che non ha scudato i propri possedimenti esteri. A precisa domanda degli investigatori sul punto, durante l’interrogatorio del 2015, ha risposto di non aver aderito alla manovra per “motivi politici”: aveva votato contro.
Nelle carte della Finanza di Milano ci sono quindi un prodotto finanziario acceso nel 2005 alla Credit Suisse Bermuda acceso versando un premio da 16 milioni 377 mila euro. “Prodotto finanziario palesemente finalizzato ad occultare capitali all’estero”, scrive il giudice Salvatore Mastroeni nel provvedimento odierno. Poi la Palmirch Investments Sa, riconducibile a Francantonio e la moglie Chiara Schirò. Nella fiduciaria panamense i Genovese avrebbero trasferito dalla Svizzera oltre 10 milioni di euro, a partire da 2013.
Poi ci sono i controlli alle frontiere: il 7 luglio 2004 Genovese passa la Dogana di Ponte di Chiasso con 3 assegni non datati, uno è di 200 mila euro. Nel febbraio 2013 alla stessa dogana viene fermato con una valigia con 5 mila 500 euro.
“Sì i soldi mi venivano portati in albergo, da contrabbandieri e ci riconoscevamo con una parola d’ordine; sì ho cercato di far valere con la banca svizzera la mia importanza di uomo politico, sì a Montecarlo abbiamo costituito una società ai Caraibi ma con una mera firma, mai andato lì (Bermuda, ndr)”.
Così spiega lo stesso Genovese nell’interrogatorio.
Mentre spiega così i prelievi compiuti secondo la Finanza per svuotare i conti in vista dei controlli “post scudo”, all’esito dei quali avrebbe dovuto pagare circa 20 milioni di euro: “ Esigenze familiari e personali, di mia moglie, dei miei figli, di mio padre, ristoranti, matrimoni, regali. Io devo dire che conducevo una vita abbastanza… con relazioni molto elevate. Credo di avere ricevuto annualmente, almeno cinquanta inviti l’anno di matrimonio (…) Pranzi e cene che costantemente, sicuramente quattro giorni la settimana nel ristorante, e non in ristoranti, ovviamente, dove il costo era basso. Poi vestiti, ovviamente, sia per me sia per la mia famiglia e sia per tutti. Fra regali, gioielli, regali a mia moglie e, per dire, mobili antichi, quadri, dico, potrei stare qui all’infinito (…) Io conducevo una vita abbastanza dispendiosa e anche abbastanza generosa nei confronti degli altri, tenuto conto anche del mestiere che facevo e tenuto conto del fatto che dai miei conti correnti non prelevavo”.
Le conclusioni che il Gip Mastroeni mette nero su bianco, dopo aver esaminato il materiale messo insieme dagli investigatori, sono durissime. Il giudice parla di “.. faccia della criminalità che vive nei piani alti e nei salotti buoni delle città, con abiti eleganti e quei grandi mezzi dalla capacità attrattiva immensa, non certo emarginata come i ladri di strada, con la differenza però fornita dal dato economico che disvela le vere capacità criminali (…)
"Resta oggettivo – spiega il giudice – che rubare allo Stato circa 20 milioni di euro è, con ogni distinguo che si voglia fare, molto più grave del prendere di notte, sulla pubblica via, un'autoradio o un motorino, pur condotte che in flagranza portano quasi automaticamente al carcere e rendono soggetti miserabili e non da frequentare, delinquenti". Grave e' sottrarre tanto denaro alle tasse", specie a fronte del "massimo rigore e dell'attenzione al bene pubblico" che "il ruolo del deputato richiede". Cosi' "discorso plasticamente lesivo della dignita' del ruolo", ma anche "spia della capacita' di movimento liberi", "e' farsi portare 'miliardi' in contanti dalla Svizzera da spalloni, riceverli in alberghi, di nascosto, scambiando parole convenzionali, una sorta di 'apriti sesamo' che ricorda la favola di Ali' Baba' e i 40 ladroni, occultare e usare scorrettamente tali soldi".
"La frase che piu' colpisce questo giudice – prosegue Mastroneni- e' che tante spese avvengono 'Facendo politica ovviamente'. Poi si parla genericamente di regali ai matrimoni, ma otto milioni richiederebbero – valuta il giudice – partecipazioni a tutta Italia, forse Europa l'impero economico dei Genovese si caratterizza oramai per illiceita' e reati, Luigi Genovese e' l'erede designato a raccogliere l'eredita' di tutto cio', e non un mero beneficario, ma agendo con gli stessi comportamenti dello stesso livello del padre e con alta proiezione di rischio di reiterazione".
Il giudice parla di "centralita'" del suo ruolo nell'operazione", connessa al "ruolo rivestito di successore del patrimonio", anche in riferimento agli "atti di successiva gestione dei beni (locazione degli immobili a lui trasferiti, movimenti su conto postepay).
Il che darebbe "la misura della elevata consapevolezza circa la illiceita' delle operazioni poste in essere".
Complimenti , belle ed incisive parole quelle del Giudice Mastromeni tutto il resto e’ solo vergogna ……..
Purtroppo, ci sono persone che frequentano i “paradisi fiscali” e persone, come il sottoscritto, che hanno a che fare solo con gli “inferni fiscali”
minchia…………
beh….i poco meno dei 18.000 elettori si morderanno le mani….potevano aspirare a qualcosa in più ^_^