Dopo l'annuncio del sottosegretario Faraone si è fatta più pressante l'esigenza di una rete dei sindaci dell'intera fascia tirrenica; ma le spaccature emerse sul referendum lasciano qualche dubbio sui presupposti. E le polemiche non accennano a placarsi
La notizia è che la Conferenza delle Regioni ha approvato il decreto del Presidente del Consiglio per la costruzione di 8 nuovi inceneritori sul territorio nazionale. È noto che due di questi, sempre per volontà del governo Renzi, saranno in Sicilia; a nulla è valsa la proposta del governo regionale di frazionare il progetto in 6 mini-inceneritori. La volontà è chiara e, a chiudere il discorso, ha pensato Davide Faraone: il sottosegretario all’Istruzione ha definito ideologiche le posizioni di chi avversa i termovalorizzatori, e ha parlato di un immobilismo da superare sulla gestione dei rifiuti, ormai al collasso – una critica, questa, rivolta a Crocetta e alla sua Giunta.
La notizia ha scatenato le reazioni non solo della valle del Mela, ma di tutta la politica. A prendere posizione contro le scelte del governo non solo le opposizioni, ma anche alcuni elementi interni al partito – Cracolici ha detto che è “la proposta di chi non ha idea di cosa sia la Sicilia”. Gli inceneritori sembrano però il punto centrale della soluzione all’emergenza rifiuti; e sempre Faraone ha parlato di “impianti a zero emissioni e altissima tecnologia”. Forse esagerando un po’.
C’è da risolvere un equivoco ormai ricorrente: se il termovalorizzatore, in effetti, avrebbe un impatto ridotto nella quantità di emissioni, questo si deve alla semplice riduzione dell’attività rispetto ai tempi in cui la centrale Edipower operava a pieno regime; ma, dal punto di vista della qualità, è già stato ampiamente sottolineato il ruolo delle nuove sostanze che verrebbero emesse dalla combustione del CSS: diossine e furani, altamente cancerogeni anche in piccole quantità. È vero, invece, che gli inceneritori non sarebbero in conflitto con la raccolta differenziata spinta: le categorie di CSS utilizzabili per la combustione si ricavano dalla frazione secca dei rifiuti – principalmente plastica -, e dunque una efficiente raccolta differenziata consente di ricavare un combustibile di maggiore efficienza.
L’accelerazione del governo ha riacceso il dibattito interno all’ambientalismo della valle del Mela. Alla vicenda riguardante il referendum consultivo si è aggiunta la proposta, lanciata dal consigliere milazzese Antonio Foti e ripresa dal vicesindaco di Rometta, Giuseppe Laface, di creare una rete dei sindaci per coordinare l’azione delle amministrazioni tirreniche contro l’inceneritore. Una scelta che parte da alcune considerazioni, ben sintetizzate da Foti: la necessità di presentarsi uniti, in un fronte esteso da Villafranca a Barcellona, all’interlocuzione con le istituzioni nazionali e regionali che decideranno politicamente sul progetto; e l’esigenza di una strategia comune, che eviti le possibili conseguenze del flop di un referendum a macchia di leopardo, già di per sè inutile. Il consigliere ha specificato che non è contro il referendum in sè, ma che questo andrebbe esteso a quanti più Enti possibile, mentre al momento ha solo creato divisioni.
Da qui la necessità di agire “in modo collegiale, attraverso una necessaria concertazione territoriale di area vasta, cui dovranno necessariamente partecipare tutti i Comuni potenzialmente coinvolti dalle emissioni nocive”, come ha scritto Laface. Il vicesindaco ha citato i risultati ottenuti dal coordinamento dei sindaci sul Masterplan, auspicando che la rete dei sindaci diventi il “modello permanente per affrontare tutte le questioni strategiche che riguardano il nostro territorio, in modo partecipato e dal basso”.
E, tuttavia, mentre si parla di unità continuano le polemiche tra i Comuni. La rete dei sindaci passa dalla volontà di coesione, e a questo fine sono state convocate diverse riunioni, in questi giorni, tra amministrazioni e associazioni ambientaliste. Il referendum fa però da solco tra due parti: quella di San Pier Niceto, Condrò e Santa Lucia del Mela che, insieme a Milazzo, hanno rinunciato al referendum; e quella di San Filippo del Mela, Gualtieri Sicaminò e Pace del Mela, che si apprestano invece alla votazione. Nonostante i numerosi tentativi di mediazione, la frattura non accenna a ricucirsi, e anzi fioccano le accuse reciproche.
Ancora nella conferenza stampa convocata dalle amministrazioni contro il referendum si è parlato di una consultazione fatta in pieno inverno, senza pubblicità, e per giunta promossa dall’unico Comune – San Filippo – in cui il sì avrebbe qualche possibilità di vittoria. Insomma, il referendum sarebbe in realtà una specie di sabotaggio, ordito dall’amministrazione filippese vittima del ricatto occupazionale. I protagonisti della conferenza avrebbero intuito queste intenzioni, scegliendo così di seguire altre direzioni. A questo, si aggiungono i rischi dell’astensionismo e la già citata inutilità di un referendum in cui voteranno poco più di 10.000 persone su un tema che ne interesserà 150.000. Nonostante questa durissima posizione, gli stessi Comuni e associazioni ambientaliste stanno sostenendo la campagna per il no nei due paesi in cui, il 31 gennaio, si andrà al voto.
La replica dei Comuni interessati è perentoria: era stato firmato un patto tra i sindaci dell’Aerca – Milazzo esclusa – per indire il referendum, insieme; il giorno dopo la firma del patto, tre amministrazioni si sono tirate indietro, facendo proprie le critiche espresse dal sindaco di Milazzo, Giovanni Formica. Una scelta che sarebbe stata dettata dalla ricerca di visibilità – politica e mediatica – di alcuni amministratori e ambientalisti, legati al sindaco mamertino.
“Quanto sarebbe stato diverso se oggi la stampa avesse dovuto scrivere “Da Roma vogliono l’inceneritore, ma i cittadini della valle del Mela, votando, hanno detto NO” – scrive il comitato No inceneritore del Mela – “ma l’arma del referendum è stata azzoppata dai sindaci che hanno prima apposto e poi ritirato la firma dal patto referendario, e dal sindaco di Milazzo, che si è sempre dichiarato contrario alla consultazione. Quest’ultimo, vale la pena ricordarlo, è un dirigente di livello regionale del Partito Democratico, lo stesso partito che oggi è il più accanito fautore degli inceneritori”. Milazzo, inoltre, non ha ancora approvato una delibera di giunta contraria all’inceneritore, cosa che invece hanno fatto quasi tutti gli altri Comuni, anche grazie al pressing delle associazioni ambientaliste.
È in questo clima che bisogna trovare i presupposti per una rete dei sindaci, che porti a una strategia comune; sarebbe fondamentale, ma questi presupposti sembrano lontani. E il frazionamento del movimento ambientalista non può che favorire le intenzioni del governo: giova ricordare che la VIA – Valutazione di Impatto Ambientale – che il progetto di riconversione deve ottenere è una valutazione prettamente tecnica; ma, se il progetto dovesse ottenerla, si potrebbe ancora impedirne la realizzazione, visto che la decisione finale spetterà a una Conferenza dei Servizi a Roma. In cui sarà possibile far valere il peso politico del territorio. Che, al momento, evidentemente non basta.
Giovanni Passalacqua