Il Vascelluzzo, la sintesi iconografica di quelli che furono alcuni degli avvenimenti più salienti verificatisi a Messina dal principio dei vespri siciliani fino al secolo XVII. Nella foto, del 1943, il veliero in processione all'interno del Duomo, semi-distrutto dalle bombe della seconda guerra mondiale
Quando si tenta di raccontare la storia che caratterizza le tradizioni della nostra città si ha la sensazione che tutti quegli eventi, talvolta magnifici, talvolta disastrosi, non siamo mai accaduti. Così aggrapparsi ad un antico simbolo può essere utile sia per ridestare il desiderio di riappropriarsi della propria memoria, sia per coltivare le relazioni con il passato, comprendere meglio il presente, guardare con maggiore consapevolezza al futuro. Uno dei simboli più suggestivi e significativi ai quali i messinesi, ancora oggi, possono ricorrere per riscoprire la propria identità è il “Vascelluzzo”, artistica scultura argentea così volgarmente chiamata, a cui la città, da oltre quattro secoli, dimostra di essere particolarmente legata. Il Vascelluzzo, la cui storia alle volte viene intesa erroneamente come leggenda, è la sintesi iconografica di quelli che furono alcuni degli avvenimenti più salienti verificatisi a Messina dal principio dei vespri siciliani fino al secolo XVII, tutti legati fra loro da un unico filone: la devozione mariana. Proprio la storia racconta come Messina, duramente assediata per mare dalle forze navali angioine, patisse la fame, correndo il pericolo di dover presto capitolare. Forti del loro coraggio e della loro volontà di resistere, sostenuti dal loro fervore religioso ed animati dalle ispirate esortazioni di un Frate Carmelitano, S. Alberto, i messinesi, pur resistendo con tutte le loro forze all’avversario, invocarono l’aiuto della loro Celeste Patrona, la Madonna della Lettera. Dopo alcuni giorni, inspiegabilmente, tre galee cariche di grano, guidate dal valoroso Ruggero de Flor, superavano lo sbarramento nemico ed entravano nel porto, scaricandovi il loro prezioso carico. La città era salva dalla fame ed i messinesi, considerando l’avvenimento come fatto straordinario e strepitoso, lo attribuivano all’intervento miracoloso della Vergine Maria. A ricordo del grande avvenimento, il Senato con un decreto del 7 febbraio 1576, commissionò ad alcuni cesellatori messinesi una copia argentea di quelle galee, come una “vara… in honor de Dio et della Beata Vergine…”. Tale emendamento fu succeduto, un anno dopo, da un decreto Arcivescovile, il quale ricalcava, ovviamente con toni più sacri, il precedente. Nel 1585, una volta ultimata, la bellissima opera venne affidata alla Confraternita dei Marinai la quale, come previsto in entrambi i decreti, ogni anno, “…per la processione del Corpus Domini, si sarebbe dovuta recare al Duomo con il Vascelluzzo tutto parato… che sulla navicella, nella coppa appesa all’albero maestro, venisse deposta la Pigna (la reliquia mariana) consegnata dal Decano del capitolo al governatore del sodalizio… che alla fine della solenne processione, questi l’avrebbe riconsegnata al Decano, e solo dopo questo rituale, il Vascelluzzo avrebbe fatto ritorno alla propria sede…”. Tali antiche e significative disposizioni si osservano, si conservano e si ripetono ancora. Intanto un altro episodio straordinario si verificò nel marzo del 1636, durante la settimana santa, allorquando nei magazzini della città rimanevano provvigioni per due o tre giorni. Il pericolo della fame era più sentito per l’imminenza della Pasqua. Il venerdì santo l’angustia della fame era così tanta da richiamare al pensiero la Passione di Cristo. Il 22 marzo, sabato santo, Messina “… era piena di mal talento e di gravezza cercando per ogni luogo il pane…”. Parve un autentico miracolo vedere nello stretto tre grandi navi, che restarono ferme anche il giorno seguente. Erano navi fiamminghe. I comandanti, seppur protestanti, impietositi dagli accorati appelli di alcuni ambasciatori inviati a bordo dalle autorità cittadine, disposero che un galeone trasportasse tutto il carico in città, tanto che una Pasqua che si prevedeva tristissima riacquistò il suo carattere di giubilo. Il “Vascelluzzo” ancora oggi è gelosamente custodito nella chiesa S. Maria di Portosalvo dei Marinai, da dove anche quest’anno, domenica 26 giugno, festività del Corpus Domini, sarà solennemente portato in processione, dalla omonima confraternita, per le vie della città. Particolare suggestione suscita rivedere una foto tanto rara, quanto preziosa per la sua testimonianza, del giugno 1943 che ritrae il “Vascelluzzo” in processione, all’interno del Duomo di Messina, in gran parte diroccato e invaso dalle macerie a causa degli incessanti bombardamenti che colpirono in quegli anni la città. In quella stessa foto, a precedere il lento incedere dei portatori che dava una parvenza di vita alla preziosa vara, si intravede un bambino, minuto e scalzo, il suo nome Franco Doddis. Il Vascelluzzo, per oltre sessanta anni, assumerà le sembianze umane di quel bambino divenuto in fretta uomo, si muoverà con le sue gambe, parlerà con la sua lingua, sarà animato dal suo grande cuore. Quest’anno per la prima volta, dopo tanti anni, il Vascelluzzo dovrà fare a meno del suo amante più instancabile e premuroso che la storia ricordi. Mancherà la sua passione contagiosa, mancherà il suo sorriso, la sua tutela, la sua fierezza, mancherà persino il suono del suo martello, che con tanto fervore scandiva i tempi di partenza e di fermata ai portatori. So per certo, caro Franco, che ti avrebbe fatto piacere leggere queste poche righe dedicate al tuo Vascelluzzo, ogni anno mi incitavi a farlo, a starti vicino anche in questo modo. Oggi l’ho fatto ricordando un fratello, un padre scomparso, affinché anche quelli che non hanno, come me e come tanti, avuto la fortuna di conoscerti ed esserti amico, possano comprendere meglio, attraverso il tuo grande esempio, cosa significhi essere figlio orgoglioso e innamorato di Messina e delle sue più nobili e antiche tradizioni. Grazie Franco.
Giacomo Chillé