Omaggio a Ludovico Corrao, fondatore de la “Nuova Gibellina”

Omaggio a Ludovico Corrao, fondatore de la “Nuova Gibellina”

Omaggio a Ludovico Corrao, fondatore de la “Nuova Gibellina”

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martedì 30 Agosto 2011 - 06:59

Il 7 agosto 2011, Ludovico Corrao, all’età di 84 anni, viene assassinato da un suo dipendente a Gibellina, nella propria abitazione non lontano dalla Fondazione Orestiadi.
Le Orestiadi per lui erano tutto, un momento di grande festa, di condivisione. Ora la Fondazione vuol costituirsi parte civile.
Era un uomo gentile Corrao, attento, mai avulso da quello che faceva, di straordinaria vitalità, nonostante l’età avanzata e precarissime condizioni di salute. Possibile che non sia dato compiere la più minuta azione senza che il tempo venga a riscuotere, usuraio atroce la sua parte, con interessi sempre più spropositati, esponenziali, demenziali, ogni giorno di più, da capogiro, sempre più rapidi?
Tra le sue “minute azioni”, ricordiamo che ha semplicemente fondato la Nuova Gibellina: questo paese senza di lui non sarà più lo stesso. “Minute azioni”… lottando coi più irritanti aspetti del nulla, per sfuggire al chiasso, alla piazza, ai comizi, della vita politica dominata dall’ipocrisia, dall’aggressività e dalla furbizia, da deputato prima, poi da senatore, sindaco, assessore, rivolgendosi alle cose senza apparente significato, a presenze senza parole definitive, ma men che meno interlocutorie, rivolgendosi agli artisti, i tanti padri che col padron Ludovico hanno battuto l’armi e dissolto il nulla incombente, almeno questa era stata l’idea che li tenne uniti, sposi, genitori (così Palladino, Consagra, Cucchi, Schifano…). “Anche in età senile,” spiega Filippo Amoroso, direttore artistico del Circuito Epicarmo, “continuò ad aprire la Sicilia alle relazioni con popoli e culture affini al suo sviluppo. La perdita di quest’uomo, nonostante l’avanzata età, chiude prospettive di sviluppo culturale che chissà se altri saranno in grado di raccogliere e proseguire”. Era preoccupato il senatore, per quel Mediterraneo le cui due sponde cercò di unire per tutta la vita ma che oggi diviene tomba di migliaia di migranti disperati.

Saiful Islam, detenuto nel carcere di Marsala, ha ammesso di averlo aggredito dopo un litigio in camera da letto. Dopo averlo colpito alla testa, il ragazzo ha infierito con un coltello alla gola sgozzandolo, quasi decapitandolo, e dopo ha insistito con la lama sfregiandolo anche sulle braccia. Una rabbia incontrollata che ha subito fatto circolare le voci sulla pista passionale che troverebbe conferma anche nei primi riscontri degli investigatori che hanno interrogato il badante reo confesso.

Seppur constatando che la morte è una condizione che prima o poi va accettata in quanto ineluttabile, è ancor più difficile considerare normale che si possa morire per mano di qualcuno con il quale si condivide ogni momento della giornata e dell’esistenza quotidiana. Corrao già mortificato nella carne dalla malattia, viveva solo d’idee e progetti, visioni al limite con le più spericolate utopie: un dannato coltello ha saputo infierire su un’anima vigile e creativa, questa è la cosa che più dovrebbe addolorare.

I cittadini non ce l’hanno fatta a entrare tutti nella Chiesa Madre di Gibellina, tantissimi sono rimasti fuori da quel luogo suggestivo, ideato da Ludovico Quaroni e per troppo tempo rimasto inaccessibile alla comunità. Il giorno dei funerali, quel “contrasto razionale” di sfera e parallelepipedi s’è trasformato in una dolce culla e al contempo in una gabbia troppo piccola, come affollata di cardellini, passerotti e canarini, che cantavano un lutto silenzioso.

Rivedremo il 3 settembre alla Mostra di Venezia l’immagine del senatore: aveva partecipato a “Quiproquo”, il film documentario della scrittrice e regista Elisabetta Sgarbi.
Intanto il corpo di Corrao, provvisoriamente tumulato nella tomba del vicepresidente delle Orestiadi, attende d’esser sepolto nella nuda terra, in quel cimitero “dell’irripetibilità” (c.d.)che tanto il suo Consagra amò realizzare.

Pochi giorni fa ho potuto assistere al primo matrimonio celebrato nella Chiesa Madre di Gibellina. Ne deduco ancora una volta, che il consumarsi definitivo e irrimediabile delle vite dei grandi uomini rende la terra più fertile, trasforma le nostre città problematiche in luoghi dove godere appieno, come mai prima, le piccole gioie di un’esistenza che dolce inevitabilmente trascorre. (Marco Carroccio)

Foto Gianmarco Vetrano

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