A 157 anni di distanza l'associazione Amici del Museo ha voluto dedicare due giorni di iniziative al ricordo di quella resistenza. Il video che qualche mese fa Tempostretto ha dedicato alla fortezza abbandonata al degrado.
Il 13 Marzo 1861 terminò la resistenza della Real Cittadella di Messina alle truppe italiane, l’ultimo fatto d’arme della Sicilia contro l’avanzata dei Savoia.
La fortezza nella penisola falcata, progettata alla moderna nel Seicento da Carlos de Grunenbergh, fu difesa da uomini valorosi per quasi un anno dall’occupazione garibaldina di Messina; c’erano quelli che combattevano per il Re, c’erano i soldati nati con la divisa, ma soprattutto c’erano i Siciliani che non volevano sottomettersi a quest’invasore e che s’arresero solo quando l’Italia aveva vinto su tutti i fronti. Oggi la parte rimanente della cittadella è totalmente trascurata, riempita di spazzatura e battuta da branchi di cani.
A centocinquantasette anni di distanza, l’Associazione Amici del Museo di Messina e la Delegazione di Sicilia del Sacro Militare Ordine Costantiniano di San Giorgio hanno voluto rendere omaggio ai nostri eroi in due circostanze, il 10 e l’11 di Marzo.
Sabato pomeriggio nel Salone delle Bandiere di Palazzo Zanca si è tenuto un convegno storico moderato dal commendator Giovanni Bonanno, relatori il professor Franz Riccobono, il professor Vincenzo Gulì da Napoli e il dottor Alessandro Fumia, storici, che hanno parlato rispettivamente del dramma della dimenticanza, della rivoluzione del 1848 a Messina e della ricchezza della città in periodo borbonico; è stato anche presentato il primo di una serie di Quaderni Borbonici dedicati da Fumia e Riccobono ai sovrani illuminati di Sicilia e delle Due Sicilie.
Prima della conquista, la Sicilia era prospera e Messina era la sua città più felice: dal Settecento, grazie all’abilità del Re Carlo (V di Sicilia) di Borbone e del suo Viceré Eustachio de Laviefuille, non doveva invidiare niente a nessuno. Era sede d’attività finanziarie e d’una Compagnia Commerciale di Real Bandiera che poteva rivaleggiare con l’olandese Compagnia delle Indie Orientali, metteva in circolazione prodotti siciliani (come carbone e zolfo) ch’erano i migliori d’Europa, possedeva moltissimi impianti siderurgici e miniere, inoltre era un centro di cultura e un crogiolo di scoperte scientifiche e invenzioni straordinarie. La Sicilia era una nazione la cui imbattibile concorrenza era troppo scomoda.
E così nel 1848 scoppiò la rivoluzione. Eppure la qualità della vita non era mai calata nell’isola, l’unico astio che il popolo aveva verso la magnanima casa Borbone era per la soppressione del Regno di Sicilia (1816) e proprio l’ideale dell’indipendenza fu sfruttato dai rivoluzionari siciliani di matrice giacobina, che volevano invece solo liberarsi di una delle ultime casate reali nemiche della Massoneria e protettrici della tradizione e dell’etica. Costoro fecero leva sui loro infiltrati nella gerarchia militare e su veri e propri foreign fighters fatti venire appositamente per scatenare il tumulto; sconfitti, furono i primi a prostrarsi a Garibaldi quando arrivò, perché l’indipendenza a loro non importava.
Da quel momento iniziò il trattamento diffamatorio e arrogante che ancora oggi l’Italia rivolge al suo Meridione e alla Sicilia utilizzando come prove menzogne che condizionano la nostra stessa percezione storica; la vergognosa condizione della Real Cittadella discende da queste infamie. Sebbene la verità sia sempre più nota, non ci sono accenni a una revisione storica ufficiale.
Domenica mattina, dopo una messa celebrata dal Cappellano monsignor Giò Tavilla dell’Ordine Costantiniano (l’ordine cavalleresco più antico del mondo, rifondato da Carlo di Borbone) nella splendida Chiesa di Santa Caterina di Valverde, un omaggio floreale è stato fatto alla statua di re Carlo in Piazza Cavallotti; a seguire, con un centinaio di presenze entusiaste e delegazioni da Palermo, dalla Calabria e da Napoli, un’ultima cerimonia si è tenuta presso la Real Cittadella in solenne omaggio alla difesa a oltranza dei nostri soldati.
Daniele Ferrara