Giampilieri è un esempio di resilienza. Un esempio di come sia possibile impiegare bene i fondi pubblici e farlo al sud
MESSINA – Li chiamano paesi fantasma. Sono quei posti un tempo abitati e oggi in rovina, in seguito a calamità o migrazioni. Dopo il terremoto del Belice del 1968, ad esempio, i paesi di Poggioreale, Gibellina, Salaparuta e Montevago sono stati abbandonati e ricostruiti altrove. Ma ci sono esempi anche più recenti. Il peggiore e fallimentare dopo il terremoto di L’Aquila, sei mesi prima dell’alluvione di Giampilieri.
Il dolore è lo stesso. Ma, a distanza di dieci anni, L’Aquila soffre la scelta delle “new town”, Giampilieri è un modello vincente di ricostruzione. L’idea del Governo Berlusconi, nel 2009, era quello di replicare a Messina quanto si stava facendo in Abruzzo. Gli abitanti di Giampilieri si opposero con fermezza e, alla fine, hanno avuto ragione loro.
Manca ancora qualche demolizione, gli ultimi espropri. Ma, rispetto a dieci anni fa, oggi Giampilieri ha un altro volto, più sicuro. Lo dicono i tecnici, lo dicono gli abitanti.
La ricostruzione, però, non è solo strutturale. Il paese ha subìto una ferita lacerante, c’è chi è andato via e non è più tornato e ora servono iniziative per far sì che chi è rimasto possa continuare a vivere lì, che si creino occasioni di lavoro. Un problema che riguarda tutta la città ma ancor di più questa parte, l’ultima al confine sud della città, con il Comune di Scaletta Zanclea, anch’esso devastato da quella furia, che ha pianto la metà delle 38 vittime.
Giampilieri è un esempio di resilienza. Un esempio di come sia possibile impiegare bene i fondi pubblici e farlo al sud, un esempio virtuoso in contrapposizione a tanti altri sparsi per la nazione. Un successo in house, perché i soldi sono arrivati dalla Regione e gestiti dalla Protezione Civile regionale, con a capo l’ing. Calogero Foti, e il Genio Civile di Messina, a suo tempo guidato dall’ing. Gaetano Sciacca. Il continuo dialogo con la popolazione, anche per realizzare i progetti, la volontà di recuperare i propri luoghi, di rivivere ciò che il fango aveva sepolto.
Il simbolo di rinascita è la nuova piazza Pozzo, con il grande canale fugatore dai monti al torrente. E’ qui che ora vengono convogliate le acque, è qui che dovevano finire dieci anni fa, non sopra le case. Qui in tanti hanno perso la vita, ora è il posto più sicuro.
(Marco Ipsale)