La riflessione del lettore di Tempostretto, Antonino Marino, è volta oggi ad un sistema di azione (offesa) e reazione, che spesso finisce in tribunale....
Nel caotico odierno sistema, in cui la fretta ci insegue e rincorriamo il tempo, tutti o quasi tutti, nel corso della giornata, per i più svariati motivi, diventiamo attori o anche vittime di provocazioni. La tematica è di piena attualità e invita a riflettere, in quanto fenomeno transnazionale. E il primo comandamento da osservare – ove possibile – è quello di mantenere sangue freddo e non reagire. E’ vero e anche giusto che ogni persona debba difendere la propria reputazione, e l’eventuale occasione che ingiustamente la possa mettere in discussione ci infastidisce. Sul piano pratico può succedere che nel corso di un diverbio tra due soggetti, sia pure per fatti occasionali, quale ad esempio un piccolo incidente stradale o anche altre liti per futili motivi, si possa sconfinare nella provocazione vera e propria, con scambio di insulti che non di rado diventano l’anticamera dello scontro fisico, con il prosieguo al Pronto Soccorso, Commissariato di Polizia e finale nello Studio del Legale di fiducia. Per fortuna – o forse no – a seguito della Legge Delega 67/2016, il reato di Ingiuria, già previsto dall’Art 594 C.P. è stato depenalizzato e dunque “ingiuriato o ingiuriante” – posizioni che il linguaggio giuridico definisce Attore e Convenuto – possono fare valere le proprie ragioni solo per loro iniziativa e senza potere coinvolgere direttamente l’autorità di Polizia. Dunque se qualcuno ci provoca o insulta in modo pesante e decidiamo di fargliela pagare, non abbiamo altra possibilità di fare valere le nostre ragioni: adire il Giudice di Pace, tramite un Avvocato, al quale ovviamente ci presenteremo col portafoglio in mano, e lui, dopo le rituali parole di incoraggiamento (anche loro tengono famiglia) a volte dimenticano di dirci che le Cause si possono vincere, ma anche perdere, e che in caso di vittoria, se il Convenuto dimostra di essere un disoccupato nullatenente ci possiamo “attaccare al tram” in quanto, oltre a esserci beccato l’insulto o la provocazione, dovremo comunque pagare l’Avvocato ergo, fare la figura del ”cornuto e mazziato”. Che se poi mentre viaggi con la tua auto sulla S.S. 113, verso Palermo, in compagnia del tuo ultimo figlio dodicenne, nei pressi di Barcellona un’auto con due persone a bordo, dopo avere tentato mediante l’uso di clacson e lampeggi di consentirgli il sorpasso finalmente ti affianca mostrandoti il “medio” e tu incacchiato lo insegui, e raggiuntolo gli lanci un vocale e limpido “figlio di puttana” ignorando che la donna che gli siede accanto è proprio la madre, che sente il tuo insulto, prende la penna e annota il tuo numero di targa. Dopo qualche settimana, quando la tua memoria ha cancellato l’episodio, succede che all’ora di pranzo, mentre sei a tavola e hai appena rotolato la prima forchettata di bucatini, suonano da sotto. Posi la forchettata ti alzi e vai al citofono: “Postaaaa si deve firmare”. Scendi, firmi vedi che il mittente è uno Studio Legale e mentre sei in ascensore ti domandi: “Ma che vuole questo qua”. Ti rimetti a tavola e tuo figlio prende la raccomandata la legge e ti dice: “Papà è una donna, sicuramente è quella signora che c’era accanto all’automobilista che era dietro di noi e voleva sorpassare, ma tu glielo impedivi.”. Risposta: “Embè? ma che c’entra”. E il figlio: ”Papà tu gli hai detto: figlio di p… e siccome la signora ha sentito, adesso vuole essere pagata”. Un limpido esempio di: provocazione – azione – reazione. Quale esito abbia avuto la controversia non è dato sapere. Certo, le parolacce, gli insulti, le provocazioni e le liti furibonde non hanno paternità e sono un fenomeno transnazionale. Noi italiani ne facciamo abuso e sproloquiiamo anche quando potremmo farne a meno. Come quel simpatico personaggio pubblico della “cultpolitica” Vittorio Sgarbi che, quale che sia il programma televisivo a cui partecipa, di riffe o di raffe, trova motivo per sciorinare profluvi di insulti e parolacce della peggiore specie, verso il malcapitato (ma spesso malcapitata) interlocutore. Insomma. Siamo alla “tricotomia”: provocazione – azione – reazione che oramai, con i tempi che corrono, è entrata nel nostro quotidiano e qualche volta si conclude in tragedia. Ma siamo fatti così. Ma non è che in altre nazioni non sia vigente il linguaggio scurrile anche se occasionale. Insomma verrebbe da dire che “paese che vai parolaccia che trovi”. Dobbiamo quindi comportarci in maniera equilibrata e saggia, specie quando siamo in auto. Meglio non raccogliere provocazione, ma anche non generarne. Pazienza, calma, tolleranza e saggezza sono le virtù che dovrebbero accompagnare le varie fasi del nostro quotidiano. Per quel che riguarda la provocazione nello specifico, occorre fare attenzione ai pettegolezzi sul nostro conto. E’ sempre meglio verificare prima di reagire. Può capitare che certe dicerie possano metterci in ambasce, ma dobbiamo avere la forza di lasciare perdere e non andare alla ricerca di una vendetta, perché spesso la malasorte si abbevera in queste situazioni determinando drammi assurdi. Teniamo presente che il buon comportamento nei confronti degli altri dà il risultato di essere rispettati. Diamo alle provocazioni un significato filosofico e quando possibile ridiamoci pure sopra con gusto ricordando il nostro indimenticabile Franco Califano che cantava: “Vivi la vita così alla giornata con quello che dà”, e comunque,(1)“Vivila attimo per attimo perché ogni attimo potrebbe essere l’ultimo”. L’importante che non sia quello che conclude una lite. (1) Jm Morrison.
Antonino Marino