Antonino Marino, lettore di Tempostretto, si sofferma sulla necessità, oggi sempre più avvertita, della medicina di genere, che tenga conto della differenza tra i sessi
Capita a volte di domandarsi quale motivo induca il/la responsabile di Redazione di un Giornale ad assegnare un certo titolo oppure a definire in una sola parola il contributo che un dato lettore decide di dare al Giornale medesimo. Nel mio caso, ho molto apprezzato e condiviso la decisione presa dalla Responsabile di Redazione Dr.ssa Brancato, di titolare i miei contributi: Riflessioni. A tal proposito vorrei cautamente e senza la presunzione o certezza che l’argomento possa interessare, trattare un argomento che riguarda la Farmacologia. Ieri mattina, mia moglie doveva iniziare ad assumere un nuovo medicinale. Come facciamo normalmente noi anziani quando il medico di famiglia ci prescrive un nuovo farmaco, sono andato a leggere il cosiddetto “bugiardino”. Ho letto a voce alta il contenuto e quando sono arrivato alla voce "Effetti collaterali" e raccomandazioni ho trovato la solita postilla del “Non assumere il farmaco in gravidanza accertata o sospetta” e mia moglie(82 compiuti) donna saggia più di me, ha fatto questa osservazione: Ma perché invece di scrivere sempre sta cantilena non preparano farmaci che siano indicati solo per le donne, anche se in stato di gravidanza? Ergo, la riflessione è nata spontanea: Ma siamo proprio sicuri che tutti o quasi tutti i farmaci in commercio possano dare i medesimi risultati terapeutici a persone di genere diverso? Ovviamente, non avendo a tal proposito cognizione alcuna, mi sono avventurato in ricerche su vari fronti, partendo dalla certezza che tutti i farmaci in commercio sono pensati per maschi e testati su maschi di razza bianca, laddove invece secondo nuovi approfonditi studi in corso può succedere che le cure farmacologiche abbiano effetti diversi se riferiti a pazienti di “genere” diverso. Partiamo quindi dal dato inconfutabile rappresentato dal “vangelo” di ogni farmaco, ovverosia dal “Foglietto illustrativo” che negli anni del “boom” della farmacologia dava maggiore risalto agli effetti positivi e, al contrario, ne accennava “an passant” le possibili conseguenze negative ovverosia i maligni effetti indesiderati, o collaterali che fa lo stesso. Non si trattava di vere e proprie bugie, ma nell’insieme il foglietto era “bugiardino” nel senso che ometteva qualche verità negativa e dava esagerato risalto agli effetti positivi. In verità – questo va detto per onestà intellettuale e per le giornaliere esperienze – io credo che allo stato dei fatti si possa tranquillamente affermare che oramai da molto tempo, le case farmaceutiche descrivono in abbondanza e nei minimi particolari sia i pregi sia gli eventuali effetti collaterali o controindicazioni. Nessuna specifica, però, su come possa variare l’effetto del farmaco secondo il “genere”dell’ammalato, né è indicato se il dosaggio debba differenziarsi. Ovviamente – e meno male – che c’è sempre la postilla: “in caso di gravidanza, allattamento ecc. ecc.. che in una qualche misura lascia immaginare che gli addetti ai lavori, il problema – in linea generale – se lo siano posto. Ciò nondimeno, da pubblicazioni riguardanti la materia, risulta che la scienza medica si sia pronunciata in modo chiaro sul fatto che maschio e femmina rispondono in maniera differente ai farmaci e anche i sintomi che annunciano la malattia possono essere differenti tra i due sessi. Certo, si tratta di un fenomeno non ancora cristallizzato e suscettibile di variabili delle quali allo stato non è possibile ipotizzarne tempi e pareri definitivi. Secondo il “Centro per la medicina di Genere dell’Istituto Superiore di Sanità”, si sta continuando a studiare il fenomeno del parallelismo della cura farmacologica nei due “generi” ma che i tempi per giungere a definitive conclusioni non sono ipotizzabili. Gli studi in corso hanno dimostrato – a proposito della sintomatologia – che al maschio, l’avviso di Infarto normalmente arriva con un dolore al braccio e il crollo a terra. La donna invece non avverte nessun dolore ma denuncia un visibile stato di agitazione e per questo trae in inganno l’ignaro medico e in molti casi – secondo statistiche – arriva il peggio. Qualche specialista della materia ha azzardato l’ipotesi, se non la quasi certezza, che la mancanza di esperienza e di risultati scientifici, uniti a una preparazione insufficiente della classe Medica, abbia comportato la mortalità del 48,4% di donne contro il 38,7% di uomini. A tal proposito il Ministero della Salute, ha voluto precisare che correnti studi hanno confermato le espressive differenze di “genere” nella prognosi e nella risposta alla terapia in molte tipologie di tumori comuni ai due sessi. In termini poveri significa che donne e uomini rispondono in maniera diversa alla malattia e una cura studiata solo per gli uomini può avere conseguenze anche gravi per le donne. La Prof. Katia Varani dell’Università di Ferrara, Dipartimento di Farmacologia, ha affermato essere la “Farmacologia di genere” quella branca che evidenzia e definisce la differenza di efficacia e sicurezza dei farmaci in funzione del “genere”. I dati ISTAT attestano essere le donne, le maggiori consumatrici di farmaci ovvero il 42% rispetto al 32% dell’altro sesso. Comunque sia, farmacologia di genere o no – ste benedette donne, nonostante abbiano una speranza di vita 84 contro il 79 – sembrerà strano ma pare sia proprio così – si ammalano di più degli uomini. La Gazzetta Ufficiale il 15 febbraio scorso ha pubblicato una Legge per l’applicazione e la diffusione della “Medicina di genere” nello S.S.N che dovrebbe entrare in vigore entro l’inizio del 2019 e dunque deve prendersi atto che donne e uomini rispondono in maniera diversa alla malattia e una cura studiata solo sugli uomini rappresenta una grave carenza della sperimentazione e formazione etico scientifica oltre che legislativa. Vabbè, per metterla sul leggero, ma non troppo, bisogna dare atto alla grande Mia Martini che a proposito dei “generi” cantava che gli uomini, pur essendo figli delle donne sono diversi, e vista la rabbia interpretativa può darsi pensasse fosse giusto suggerire ai Medici di curare le donne con l’Aspirina e i maschi con la Stricnina. Massì, scherziamoci sopra e speriamo che maschi e femmine abbiano sempre la buona salute.
Antonino Marino