Si avvicina il momento delle elezioni e tutto sembra tornare come prima. Politici, giornali e opinion leader sembrano dimenticarsi dei problemi della gente comune. Chiusi nella bolla dei loro privilegi, si affannano a manovrare per appoggiare candidati amici e bruciare quelli avversari. Nessuno parla di progetti o propone soluzioni concrete, tanto, entro l’anno saremo commissariati dall’Europa.
Se ci si addormenta sotto un albero carico di frutti non ci si deve stupire se, prima o poi, ce ne cade uno sulla testa.
A dispetto di un simile banalissimo principio, i nostri prodi politici si meravigliano nel constatare che i mercati e le istituzioni finanziarie mondiali continuano a prendere a sberle l’ex Bel Paese. Porsi la domanda se siano malati di stupidità, ignoranza o malafede è uno sterile esercizio intellettuale; l’unica scelta possibile, infatti, dovrebbe essere mandarli tutti a casa al più presto.
Invece, si avvicinano le elezioni e tutto sembra tornare come prima. Eppure, qualunque persona dotata di un minimo di buon senso dovrebbe comprendere che la situazione in cui ci troviamo ce la siamo cercata, politici e cittadini-elettori. Con la differenza che i cittadini-elettori prendono i frutti sulla testa, mentre i politici hanno robusti ombrelli. Quando, nel 2002, l’Italia adottò la moneta unica, la sua debolezza contrattuale – derivante dall’avere un debito pubblico molto superiore a quello richiesto dal Trattato di Maastricht – comportò un cambio euro-lira “fuori mercato”, a tutto vantaggio dei Paesi forti, Germania in testa. Ebbene, basta rileggere le analisi economiche e le previsioni di quegli anni tra il 1998 e il 2002 – soprattutto quelle americane – per capire che ciò che è accaduto dopo era stato previsto fin nei minimi dettagli. Nella speranza di interrompere definitivamente la politica levantina delle “svalutazioni competitive”, i padri dell’ingresso dell’Italia nell’Unione monetaria, misero il Paese di fronte al fatto compiuto: o siamo capaci da soli di diventare un Paese di serie A o ce lo imporrà l’Europa.
Come si vede, è la seconda ipotesi ad essere diventata realtà. Purtroppo però, essa passa attraverso la distruzione del welfare e del nostro tessuto industriale. Cioè, non solo stiamo diventando una colonia a sovranità limitata – il che, in fondo, non sarebbe un male, vista la conclamata incapacità di sceglierci governanti capaci -, ma l’intero stivale è ormai terreno di conquista (e di sfruttamento) per operatori economici con deep pockets.
Alla faccia di chi si illudeva di spezzare il Paese all’altezza di Roma, con un Centro Nord virtuoso e ricco e un Sud inefficiente e accattone. Benevolmente assistito quel tanto che basta per farlo restare un mercato apprezzabile per le regioni ricche.
Crollano miseramente i sogni di Bossi, delle Caste romane e di buona parte della Confindustria.
E’ un’intera classe dirigente a trovarsi di fronte al fallimento di un progetto politico-economico cinico e sbagliato.
Come spiegare, se non così, la fuga all’estero di grandi e piccole aziende – dalla Fiat a migliaia di imprenditori del Triveneto -, la svendita di decine di aziende sane – o risanate: tristemente significativo il caso Parmalat, acquistata dai Francesi a prezzo di saldo dopo che banche e piccoli investitori (italiani) ne avevano ripianato i debiti – e il progressivo disimpegno delle grandi famiglie del capitalismo italiano? Con i sempre più forti segnali dell’imminente e assolutamente necessaria(!) (s)vendita dei gioielli di famiglia; dal prezioso patrimonio immobiliare a ENI, ENEL e Finmeccanica.
Ma solo alcuni ne pagano e ne pagheranno le conseguenze per generazioni.
I segnali ci sono tutti, basta saperli leggere e inserire in un quadro generale.
E’ di ieri il micidiale annuncio della Bce (a guida italiana!) sul pericolo di insolvenza delle imprese italiane. Qualsiasi imprenditore sa bene cosa vuol dire: il rischio di insolvenza spingerà i fornitori – per lo più esteri, in un’industria manifatturiera come quella italiana – a richiedere il pagamento immediato delle merci cedute. Se, poi, aggiungiamo l’attuale difficoltà di accesso al credito bancario, capiremo le esplosive conseguenze di tale annuncio. Nonostante ciò, la classe politica sembra essere riuscita a riprendere il controllo dell'elettorato. Con l'aiuto dei media.
S’incrina intanto l’illusione – coltivata per mesi da una stampa allineata e coperta – di poter fare a meno dell’aiuto europeo, già concesso a Irlanda, Grecia e Spagna: resistere alla tenaglia dell’economia globalizzata è un’illusione.
Entro Dicembre chiederemo aiuto e saremo commissariati, dopo di che la nostra classe politica sarà libera di godere dei suoi privilegi senza l’imbarazzo di provvedimenti restrittivi. Che saranno presi dai “cattivi” commissari europei.
Resiste, invece, la frottola manichea della divisione tra Buoni (naturalmente, noi) e cattivi (Germania in testa). Politici e stampa non riescono ad accettare l’idea che i governanti hanno il dovere di fare gli interessi del loro Paese, non quelli degli altri. L’esempio più evidente è la sig.ra Merkel, che sa benissimo quanto ha fatto bene alla Germania la competitività venutasi a creare negli ultimi anni. E, quindi, è suo dovere tentare di prolungare questa situazione il più a lungo possibile, indebolendo così ogni concorrente del suo Paese. Un esempio rende meglio il concetto. Negli stessi giorni due grandi produttori di automobili europei hanno chiesto soldi in prestito al mercato: l’italiana Fiat ha dovuto offrire il 7% di interessi, la tedesca Volkswagen l’1,8%. Se c’è ancora qualcuno che crede si tratti di eventi casuali o marginali, destinati a risolversi nel giro di pochi anni, lo invitiamo a guardare ciò che avviene in queste settimane all’ILVA e alla Wind Jet. Mentre a casa nostra, in Sicilia, i partiti e giornali si sbizzarriscono a individuare candidati vincenti per la presidenza della Regione. Ciò che conta è se PD e Udc convergeranno su Crocetta e se Miccichè è sostenuto da tutto il Pdl o meno. Quali provvedimenti prendere per salvare quel poco che resta dell’economia isolana non importa niente a nessuno. Forse nemmeno ai cittadini.
Crisi o non crisi, nulla di nuovo sotto il sole di Sicilia: al momento del voto tantissimi elettori saliranno sui pullman pagati dai cacicchi locali, con i loro zainetti carichi dell’illusione della stabilizzazione in un qualsiasi ente pubblico e voteranno come suggeriscono Francantonio, Gianpiero e Mimmo continuando a distruggere il futuro di figli e nipoti.