Dopo la bocciatura della delibera della collega Fenech, la consigliera Risitano raccoglie una serie di riflessioni sull'iter seguito dall'aula su questo provvedimento e sulla cattiva immagine che si continua a portare all'esterno con atteggiamenti di questo tipo.
"C’è una cosa che non ho avuto modo di dire in aula. Oggi è successo un fatto per me significativo, che credo debba essere oggetto di una riflessione collettiva sulla responsabilità in politica: è stata bocciata la delibera sul gettone di presenza e l’effettiva partecipazione presentata dalla collega Fenech. In questi mesi, e in modo ancor più eclatante oggi, un atteggiamento che da alcuni è stato definito “giustizialista” e “moralista” ha avuto in risposta un atteggiamento punitivo. Chi diceva di essersi sentito offeso da presunti richiami etici ha brandito come spade le famose “regole (non scritte) d’aula” per bocciare una delibera la cui sostanza era, a detta della maggioranza, condivisibile. Delibera bocciata, con l’intento di presentarne un’altra “più completa”. Mesi di attesa, lavori in commissione e nelle circoscrizioni, emendamenti, dibattiti: tutto sfumato e vanificato da un voto contrario ad un atto che, a detta dei colleghi, sarebbe inquinato nella forma sebbene non deprecabile nella sostanza.
Un dato, però, mi par evidente: la presentazione di questa delibera ha avviato un dibattito lunghissimo, che ad alcuni è parso sterile ed estenuante, ad altri necessario per puntare i riflettori su questioni di responsabilità ed etica professionale.
Ho detto a singoli colleghi, ma avrei voluto dichiararlo pubblicamente, che è chiaro come il sole un fatto: la percezione negativa che i cittadini hanno della classe politica non dipende – e sarebbe ridicolo pensarlo e tentare di convincere gli altri! – dal dibattito sul gettone di presenza che questa proposta di delibera ha portato all’attenzione del consiglio e della cittadinanza.
Voglio condividere un’esperienza personale. Sono stata, qualche giorno fa, in una scuola di un paesino siciliano, a parlare del rapporto tra giovani e istituzioni. Nel brain storming sulla parola “politico” i termini emersi sono stati: “ladro”, “truffatore”, “imbroglione”, “chiacchierone”, “spreco”, “mafia”, “disonesto”, “menefreghista”, “bugiardo” e sinonimi. Nessuna parola, neanche una, di accezione positiva. Di certo, quei ragazzi non conoscono la delibera della mia collega e non possono esserne stati influenzati. Di certo, le tante, troppe persone che pensano questo della classe politica, non sono state influenzate dalla lente con cui la Fenech osserva alcune prassi. Oggi abbiamo vanificato mesi di lavoro su una delibera che poteva essere approvata e poi ampliata. Sembra che ne verrà proposta un’altra, di modifica ancora più ampia del regolamento. Mi chiedo perché in tutto il tempo in cui ci si lamentava per i pochi atti pervenuti in aula non ci si sia rimboccati le maniche a far questo, e si sia aspettato il moto di orgoglio di fronte ad una delibera disprezzata più per motivi personali che politici. Non si tratta di far moralismi, qui: si tratta di amare a tal punto la politica da star male nel constatare come, al di là delle buone intenzioni della maggior parte dei miei colleghi, volontariamente o involontariamente, con prassi del genere non si faccia che alimentare la sfiducia della gente nelle istituzioni. Io, come parte di esse, mi sento di chiedere scusa ai giovani a cui stiamo continuando, volenti o nolenti, a macchiare l’immaginario di una cosa così nobile e sacra".