Da un lettore di Tempostretto, Giovanni Quartarone, riceviamo e pubblichiamo questa riflessione "a caldo" sulla Vara.
Ho fatto la Vara
Come ripromesso, anche quest’anno, ho fatto parte dell’evento della mia città. Sono un messinese di periferia ma sento forte il richiamo di voler far parte di quel bagno di folla che nel bel mezzo dell’estate abbandona le bellissime e assolate spiagge per dare vita al tripudio di Messina. Mai tanta gente, come in questo giorno, si unisce al grido di Viva Maria. Erano quasi le diciotto, e sapevo che il carro si muoveva fra pochi minuti, imbarcato sulla mia utilitaria ho percorso in fretta le alture dei Peloritani e imboccata la strada in discesa, che da Portella porta a san Michele, ho raggiunto la destinazione.
Vista l’ora ho preferito far parte della festa in prossimità dell’agognato posto macchina che ho trovato davanti la chiesa di san Giovanni Decollato. Già sul Boccetta gruppi di persone si incamminavano, con fare deciso, verso il mare. Giunto in prossimità della Prefettura, nel largo spazio, mi sono fermato. A destra e a manca solo persone, tante persone. Si distingueva in alto il Nettuno e nella carreggiata, dove fra pochi istanti passava la machina, gli autobotti spargevano acqua per far scivolare il pesante carro. Cinque vessilli, mancava la VI circoscrizione, sorretti da portatori distratti e forse ignari del peso che rappresentavano, disciplinati alla meglio da un cerimoniere, aprivano il corteo, seguiva un vociare, le forze dell’ordine invitavano a mantenere le postazioni per evitare il peggio e poi loro, si i primi tiratori, uomini e donne di bianco vestiti, madidi e gioiosi, religiosamente devoti nel loro ufficio, attenti al suono del via e dell’arresto che dal lontano ceppo veniva istruito. Loro sono il cuore pulsante della festa, tutti a piedi scalzi senza temere impedimento alcuno, pronti e obbedienti all’invito che armonicamente faceva avanzare l’Assunta. Un grido, un tonfo, un vociare misto al calpestio dei piedi sull’asfalto bagnato e molti metri di distanza si intravedeva l’Attesa che avanzava fra ali di folla, con fotocamera alla mano, visi bagnati dal pianto, grida di bimbi, vociare di popolo in festa e alla sosta incalzava al microfono, decontestualizzato, un canonico che sibilava delle preghiere, preghiere farisaiche, perché la vera e forte preghiera era già espressa da quel sentimento puro e genuino che si manifestava nei gesti e nel fare di quella moltitudine in festa. L’accostamento della Vergine Madre, col Cristo che la sorregge, al possente Nettuno, inevitabilmente mi ha riportato indietro nel tempo, indietro di millenni, un incontro di civiltà, all’antica Zancle che dedico i monti sovrastanti al dio del mare, e quella religiosità di popolo, fatta dai suoi riti, consoni all’epoca, si ripeteva davanti ai miei occhi e io celebravo con gli astanti, quasi un ricordo ancestrale, della devozione di una città ai suoi tutelari. E’ cambiata la devozione ma il senso di religiosità continua a vivere nelle espressioni del cuore. Un fischio, è il capovara, funi alla mano, disciplinatissimi, i tiratori si muovono e con loro il vessillo! Lascio la postazione e percorro la carreggiata parallela, anche qui tanta gente che si muove in direzione del duomo, tanta gioia, anche giovani, quei giovani che la sera animano la movida, tutti si riconoscono nella festa. Noto camminando palazzi nuovi, visti soltanto da un marciapiede all’altro, oggi avevo la possibilità di ammirarli nel loro eclettico splendore dal centro della strada e, sul viale Garibaldi, tanti balconi zeppi, due si distinguevano perché mettevano in bella mostra due drappi, uno con decori floreali e l’altro con drappelli di putti, avranno più di cento anni, forse pre-sisma, e oltre la particolarità, usanza antica per le feste importanti, ho pensato alle committenti, non solo affacciate al passaggio della Vara ma, al loro intento nel preparare la dote, ai sacrifici che c’erano nel confezionare quei tessuti pregiati e oggi lì, in quelle coperte, sono rivissute nella mia memoria.
Riparte il carro, la sosta è davanti alla casa di tutti, qui ad attenderlo i giganti, il mito saluta il nuovo riverente, uno di colore e l’altra ariana, un invito a comprendere l’umano che si manifesta in svariate forme! Poco più avanti, affacciati a un balcone mobile stranieri, non so di quale nazionalità, riempivano l’enorme balconata che andava al di là dell’orizzonte visibile, incastonato fra il palazzo del catasto e l’altro prospiciente, la superba nave da crociera che all’arrivo del fercolo aziona la sirena in segno di riverenza e saluto, un suono che scatena un applauso che come un’ onda si propaga fino al punto della virata. Lascio il corteo e avanzo per l’antica via Cardines, i due canti rimasti accolgono gli astanti che attendono il passaggio, ritorno indietro perché non è possibile passare per la via I Settembre e costeggiando il perimetro della regina dei monumenti rimango incantato dal Don Giovanni, bello, armonico, possente, l’abile opera del Calamech e, imbucando per la via san Giacomo entro in Cattedrale, e anche qui, un clima d’attesa di gioia, disturbato da un imbonitore che dal palchetto in piazza, invitava alla preghiera, una preghiera di formule e canti anche distorti nei contenuti… per fortuna avanzano i tiratori, l’atmosfera si ritinge di vero, la Vergine attesa da Orione, il primo fra tutti, saluta i Messinesi. Infine il Vescovo ci esorta al risveglio, ci invita a prendere coscienza delle peculiarità e bellezze che possediamo. Eh si, dobbiamo coltivare ciò che ci unisce e la festa dell’Assunta, l’Alma Maria è il nostro Palladio, questo straordinario evento ci accomuna.
Noi messinesi, noi siciliani, che abbiamo il privilegio di essere eredi di un passato di gloria dobbiamo solo guardare indietro per comprendere le nostre profonde radici ma qui, in questo tempo del presente, unico e solo, si celebra il nostro riscatto, un riscatto che non passa per le manovre dei politici di turno o poteri similari, ma solo per le dinamiche attività libere del singolo. Non è più tempo di piangerci addosso, le risorse sono molteplici legate al turismo e alla terra, alla genuinità, ai nostri saperi e sapori. E’ tempo di fare rete, di promuovere e allo stesso tempo sostenerci con quanto di bello, buono e vero possediamo!
Giovanni Quartarone
Purtroppo nel rispetto del suo pensiero non lo condivido. Io invece sono dell’opinione che sia una manifestazione volta a esaltare un certo tipo di sicilianità, come i fatti di cronaca di tutti questi anni ci raccontano. Troppo forte è il legame con la malavita, volta ad affermare il suto controllo su una città completamente assoggettata, complice la curia ( non i preti delle parrocchie, i veri testimoni delle piccole e grandi tragedie di tutti i giorni). La presenza del vescovo su quella macchina è una presenza inquietante, dovrebbe essere invece dentro la chiesa ad invitare i fedeli, quelli veri a non essere complici di questa esaltazione collettiva, esortandoli invece al rispetto dei diritti altrui e alla legalità.