Dal dott. Gaspare Petrantoni, medico veterinario comportamentalista, riceviamo e pubblichiamo una riflessione sul prendersi cura degli animali domestici
Quando il padrone affettuoso si prodiga in cure materne oltre il tempo dovuto rivela le sue insicurezze, le sue paure, quanto cioè è sprovveduto di fronte ai bisogni e ai desideri del cucciolo. L'amore non basta per crescere un cucciolo. Per crescerlo e, quindi, per educarlo occorre tenere conto del suo carattere, dei suoi desideri, delle sue inclinazioni. E specialmente del suo bisogno di diventare autonomo per realizzare il proprio progetto di cane adulto equilibrato, sicuro e felice di stare nel mondo. Come il frutto si stacca dall'albero quando è maturo, così il cucciolo deve staccarsi – a tempo debito e con la giusta progressione – dalla madre/dal proprietario, quando è maturo.
Le cure premurose che circondano il cucciolo sono cariche di amore, di un amore apprensivo a volte ossessivo, che esorbitano le contingenze dei bisogni primari, del non più necessario bisogno di protezione bensì di autonomia, che si raggiunge attraverso il distacco dalla madre/dal padrone per aprirsi alle esperienze del mondo e per imparare ad affrontare gli scacchi, gli insuccessi, le frustrazioni e le delusioni che arricchiscono la mente e il cuore del cucciolo negli infiniti e imprevedibili percorsi della vita.
Il ruolo genitoriale del proprietario invece pervade tutto l'arco della vita del cucciolo che diviene adulto e poi vecchio, costituendo il modello relazionale primario – se non esclusivo – eludendo gli altri ruoli, quelli di cui più ha bisogno un cane non più cucciolo e non ancora vecchio: quello di alleato, di compagno, di partner. È una gabbia relazionale che apparentemente costringe il cane a vivere nella dimensione infantile, ma è solo un pregiudizio del proprietario, perché, in effetti, è una rappresentazione della relazione cane-uomo che è vissuta dal proprietario-genitore oltre l'esigenza fondamentale dello sviluppo del cucciolo, ma che invece nella realtà è sperimentata dal cane come una privazione di esperienze e di competenze, che è alla base di vari deficit psico-comportamentali, come le paure, le basse soglie di eccitabilità, l'assenza di regole sociali e di autocontrolli.
Il solo desiderio di avere un cane, l'amore con cui se ne prende cura non sono un motivo sufficiente per garantirgli agio e benessere, ci vuole rispetto e capacità di accoglienza per contrastare la tendenza a idealizzarlo, una situazione che comporta dei rischi di cui bisogna acquisire consapevolezza, se si vuole preservare il cane da sofferenze e dagli abbandoni e se si vogliono evitare le aggressioni, definite spesso inspiegabili.
L'amore narcisistico verso il proprio cane è frutto della preoccupazione di lenire le proprie ansie, di placare le insicurezze, se non il bisogno di sentirsi considerati, voluti bene. Quest’amore acceca, fa vedere un cane idealizzato e non rende possibile l'accettazione del cane reale con i suoi bisogni e con i suoi desideri. Il vero amore per il proprio cane è quello vissuto nella piena consapevolezza della sua reale dimensione psicologica, non distorto dalle false aspettative (“Il mio cane mi sarà sempre riconoscente”), dalle infondate illusioni (“Il mio cane ha morso? È una cosa impossibile”), dall'involontaria proiezione dell'inconscio (“Il mio cane ama vivere in casa”).