Le opere compensative per la realizzazione del Ponte non vanno interpretate come una lista di nozze, ma come uno strumento per consentire alla città di avviare un processo di crescita che consenta di migliorare la qualità della vita dei Messinesi e ai giovani di trovare aree di lavoro qualificate
Lentamente, molto lentamente, il dibattito sul Ponte approda a una fase di approfondimento; inteso come superamento della visione infantile secondo la quale chi voleva il collegamento stabile era un berlusconiano, chi l’avversava no. Ignoriamo per carità di patria l’ulteriore divisione, manichea e illiberale, che dipingeva i sostenitori del No come buoni e onesti cittadini, amanti della Natura, e quelli del Si come farabutti, corrotti, servi del Potere e inquinatori dell’Ambiente. Ci auguriamo che questa fase di idiozia politico-culturale sia terminata, pur constatando con amarezza che è durata molti, troppi anni. Forse, con il ridimensionamento dell’opprimente figura dell’ex Unto dal Signore, il Paese inizierà a rinsavire e maturare. Certo, le stesse definizioni delle opere che dovrebbero accompagnare il Ponte hanno contribuito a confondere i cittadini: nessuno si è mai premurato di spiegare a cosa dovrebbero servire le opere mitigative e quelle compensative, e di entrambe sono state date interpretazioni fuorvianti. Lo stesso aggettivo compensative sembrava scelto apposta per accentuare la nostra vocazione al vittimismo e alla questua, come se il “compenso” fosse un’entità negoziabile e la sua riscossione ponesse fine ai doveri della politica locale. Mentre, in una collettività matura che guarda lontano, è vero il contrario: l’auspicabile incasso dei dividendi più sostanziosi inizia al momento della sua apertura al traffico. Comunque sia, favorevoli e contrari, fiduciosi e scettici non possono non convenire sul fatto che l’ipotetico inizio dei lavori non deve trovarci impreparati. Dice Buzzanca: Tutte le opere (compensative) si faranno, oppure non faremo aprire i cantieri. Ci perdoni il buon Peppino – di cui abbiamo apprezzato scelte coraggiose pagate con una riduzione di popolarità -, ma questa è un’affermazione priva di logica. Se il Ponte è utile al Paese e all’Area dello Stretto, come il signor Sindaco sostiene da sempre, pensare di ritardare l’apertura dei cantieri al solo scopo di ottenere uno svincolo, la copertura di un altro torrente o qualche km di strada in più sarebbe una decisione irresponsabile. Il Ponte è una struttura che, nel bene e nel male, condizionerà la vita della città per almeno un secolo; di fronte a questa certezza, uno svincolo o la copertura di un torrente diventano irrilevanti. Ne era ben consapevole un anziano tecnico che aveva girato il mondo con le grandi imprese di costruzioni che, qualche giorno fa, ci ha detto: una città come Messina, per le condizioni della sua economia e per il bene dei suoi giovani, dovrebbe dire Sì al Ponte anche se fossero cancellate tutte le opere compensative. Sbaglia quindi, in questa occasione, Buzzanca a mostrare i muscoli? Pensiamo di si, pur se dobbiamo riconoscere che qualche giustificazione ce l’ha quando batte il pugno sul tavolo del Vate di Sondrio (Tremonti), ispiratore della limitazione al 2% delle compensazioni. Lo stesso organo della Confindustria, quel Sole 24 Ore che non è mai stato tanto tenero nei confronti del Mezzogiorno, ammette che fino a pochi anni addietro eravamo nell’era degli enti locali “prendi tutto”, capaci di strappare – sulla Tav Torino-Milano-Napoli o sulla Variante di valico della A1 – opere compensative e modifiche tali da incidere sui costi totali del 20-25%. Ma i tempi cambiano, le condizioni economiche del Paese vanno di male in peggio e svincoli e coperture dei torrenti si possono fare anche in un secondo tempo. A patto che riparta la moribonda economia della città. Così siamo arrivati al punto centrale del discorso: un nuovo modo di concepire le opere compensative. Non più latte da mungere alla vacca Ponte, ma semi per dare nuova linfa a uno sviluppo socioeconomico sostenibile. Come può la gigantesca infrastruttura diventare il nuovo poderoso motore dello sviluppo della città, considerato che rischia di eliminare non solo il traffico “cattivo”, ma anche quello “buono”, che porta quattrini? Cosa fare perché diventi un’attrazione della città e non un’opera il cui interesse si esaurisce ammirandola dall’alto – dal punto panoramico di contrada Piale, sopra Villa San Giovanni –, per poi proseguire rapidamente verso Taormina o Palermo? A questo scopo, con tutto il rispetto per il lavoro del Consiglio comunale o del Comitato Interistituzionale di antica memoria, serve a poco aumentare il numero degli svincoli o coprire tutti i torrenti cittadini. O garantire il collegamento circolare veloce tra le due sponde e con l’Aeroporto dello Stretto … integrando il sistema di trasporto pubblico gommato con un sistema marittimo alternativo in grado di collegare velocemente i punti strategici delle due sponde realizzando i necessari pontili di attracco e le opere a terra per lintermodalità mare-gomma o chiedere di innalzare Messina al rango di Comando provinciale metropolitano, portando la dotazione organica della Sede centrale dei Vigili del Fuoco dall’attuale categoria S5 (dotazione organica di 130 unità) a categoria S8 (dotazione organica di 245 unità) più altre sedi nella zona Sud, oppure istituire un Presidio Interforze nei pressi del Ponte o, ancora, pretendere l’impegno da parte di tutti i soggetti competenti ad individuare strumenti di garanzia per facilitare l’accesso al credito ed ai finanziamenti per le imprese dell’indotto. Per non parlare della richiesta di inserire, tra le opere compensative, … per le zone limitrofe a percorsi ed aree di cantiere … la riduzione o l’esenzione dell’ICI, ovvero equivalente tassa comunale sugli immobili. Come chiedono i Consiglieri comunali con la Nota integrativa del 25 gennaio 2010. Meraviglia che non sia stata inserita anche una consistente riduzione del … prezzo degli arancini. Tremonti non sarà il genio che taluni credono, ma non è nemmeno così sprovveduto da prendere in considerazione questa patetica lista della spesa. Che gonfia i costi e col Ponte c’entra poco o nulla. Di diversa ispirazione ci appare invece il recente documento prodotto dalla Commissione Ponte del Comune, presieduta da Nicola Barbalace. Che si limita a un’impostazione razionale del problema – fatta, purtroppo con almeno 5 anni di ritardo -, individuando tre Aree d’intervento: scientifico-energetica, politico-economica e turistico-commerciale. Intese come indirizzi di sviluppo della città che ospita l’infrastruttura più grande del mondo. Proposte da approfondire, verificare ed esplicitare nelle prossime settimane, con l’aiuto degli enti competenti (Università e, perché no?, Stretto di Messina), in modo che si trasformino in richieste precise, che tengono conto dei limiti imposti dalle leggi e siano in grado di avviare una crescita socio-economica sostenibile e di qualità. Che è ciò di cui ha veramente bisogno la Messina. Opere da aggiungere ad alcune, veramente indispensabili, tra quelle già indicate. Come il completamento della rete fognaria della zona nord. Le proposte della Commissione Ponte, va notato, si affiancano a quella avanzata dal Rettore mesi or sono; nella quale si sottolineava come il Ponte possa rappresentare una straordinaria fabbrica della conoscenza, in grado di attrarre competenze, capitali, curiosità e interessi scientifici da tutto il mondo. D’accordo, l’ovovia e i tapis roulant fanno un po’ sorridere, ma nello spirito del documento ci sembra di individuare un approccio culturale nuovo e meno “accattone”. Speriamo di non sbagliare e, soprattutto, che sia il primo tentativo di essere protagonisti e non comparse nel rapporto con l’attraversamento stabile.
complimenti per l’articolo…molto schietto! mi solleva che qualcuno con la mente aperta ci sia ancora….
questa riflessione di chi è di un ingegnere, architetto, costruttore,?
Come è ormai abitudine, non si giudicano i ragionamenti in base a quel che dicono, ma solo a seconda di chi li fa. E’ uno dei motivi per cui il Paese si è ridotto così.
IL PONTE DI MESSINA
tutti siamo amministratori, almeno nelle idee, il si e il no sicuramente non vogliono dire niente per il popolismo, resta sempre la decisione politica. La grossa perplessità per le grandi opere del sud è che resti un incompiuta o che i lavori andranno avanti soltanto nel periodo delle votazioni e dureranno all’infinito. La scala dei valori ha toccato il vertice delle indignazioni verso le istituzioni insensibili e assenti ai problemi dei cittadini, vedi per esempio la situazione insostenibile nella SS.113 Dir. dove da un anno una frana ha ostruito la careggiata all’altezza del Villaggio S.Saba e tutto è rimasto ancora come allora.
Discutere delle grandi opere tralasciando le piccole mi sembra assistere all’attesa di un treno fermo in attesa di partenza da un binario morto.