Vittorio, 18 anni: Un voto non è un numero. È una persona, una storia, un'idea

Vittorio, 18 anni: Un voto non è un numero. È una persona, una storia, un’idea

Vittorio, 18 anni: Un voto non è un numero. È una persona, una storia, un’idea

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giovedì 08 Marzo 2018 - 07:06

Vittorio Tumeo ha 18 anni, è andato al voto per la seconda volta ma ha vissuto questo appuntamento elettorale con viva partecipazione. Ha voluto raccontare i suoi sentimenti e quelli di una generazione di giovani che il 4 marzo sono diventati "cittadini"

Le urne si sono chiuse, le sezioni sono state scrutinate, i risultati sono stati ufficializzati. Tutto è finito. Tutto è iniziato. Ogni elezione si configura come un appuntamento che offre al cittadino spunti e riflessioni di vario genere. È una costante temporale che attraversa le generazioni, le accompagna per mano.

Si può dire che per coloro i quali hanno votato per la prima volta, le Elezioni Politiche del 2018 sono state una sorta di “battesimo”, di ingresso nella società. Hanno consacrato il nostro “essere civile” e sono servite a ricordarci che il tempo di quella dolce e comoda fuga dalle responsabilità è terminato. Siamo diventati grandi. Siamo diventati cittadini. Io sono tra questi. Ho già avuto la possibilità di votare e contestualmente di svolgere le funzioni di segretario di seggio elettorale in occasione delle Elezioni Regionali del 2017, ma l’emozione della prima volta si è replicata, oggi come quattro mesi fa, e soprattutto ha fatto nascere in me e credo anche nei tanti miei coetanei che si sono recati alle urne, non pochi elementi di interesse, a partire dall’importanza del gesto stesso del voto.

Può risultare una frase fatta, una locuzione estratta a caso dal capientissimo pentolone di usi linguistici e modi di dire ma, di fatto, votare è un diritto e un dovere civico. Un diritto per il quale in tanti si sono battuti e sono morti. Un diritto da difendere. Sempre.

Comprenderne e accettarne il valore, significa dunque applicarlo nella pratica quotidiana. Il giorno delle elezioni bisogna alzarsi da quella comoda e soffice poltrona che si ama tanto, rivoltare i cassetti di casa alla ricerca della tessera elettorale, nella consapevolezza che se non si trova è colpa della propria mancanza d’ordine, e non sempre della politica. Quindi uscire, recarsi al proprio seggio e infine votare.

Ed oggi, che i voti dei cittadini hanno definito i nomi di coloro che li rappresenteranno a Messina così come nel resto d’Italia e a cui vanno i migliori auguri di buon lavoro, l’esperienza delle elezioni assume per noi giovani una connotazione diversa, che chiarifica con maggiore risolutezza l’importanza dei passaggi che hanno portato al risultato numerico, indifferentemente dal colore politico: la campagna elettorale, il voto, e il risultato stesso. Una serie circolare e progressiva di azioni a cui noi giovani dovremmo approcciarci con interesse, perché proprio come dicevo prima, è iniziato per noi il tempo delle responsabilità.

Per me, come per i miei coetanei freschi di voto, è importante nutrire fiducia in ciò che la politica ha da offrire, e l’augurio reale ed effettivo che rivolgo ai neoeletti è quello di ridare proprio ai giovani la speranza per un avvenire di certezze. “Lascia il mondo migliore di come lo hai trovato” diceva Baden Powell, che da scout quale sono non posso non citare. Questo il monito, e credo di interpretare il pensiero della maggior parte dei miei coetanei, rivolto alla politica e ai suoi rappresentanti: migliorate le cose e ridate speranza ai giovani, nonostante i problemi correlati alla disoccupazione, al precariato, al degrado umano, culturale e sociale dilagante.

Molti miei coetanei, e io tra loro, non hanno guardato all’appuntamento elettorale del 4 marzo, a ciò che lo ha preceduto e a ciò che ne è seguito con superficialità, ma con passione, con quell’“interesse disinteressato” per la propria comunità. Comunità intesa nelle sue coordinate spaziali e nella gente che dentro quelle coordinate spaziali ci nasce, ci vive, e anche di coloro i quali immaginano per sé un futuro che non trovano, e che forse qui non troveranno mai. Ed è a questo vuoto che la politica deve dare risposte. Noi come giovani – possiamo dirlo a gran voce – non siamo stati tra coloro i quali a votare non sono andati, tra quelli per cui accettare passivamente un risultato elettorale giustifica appieno rimanere su quel comodo divano ed assistere alle conseguenze, positive o negative che siano, di cui quel voto mancato per inerzia del corpo e della mente è responsabile.

Rinnovare l’esperienza del voto e assaporare la stanchezza del lavoro in un seggio elettorale mi ha emozionato, ma soprattutto mi è servito. Com’è servito a molti miei coetanei.

È servito a capire che, seduti dietro quel banchetto di scuola a compilare registri, annotare nomi e cognomi che non sono solo nomi e cognomi, ma idee ed espressioni di viva coscienza civile, tra l’olezzo pungente degli inchiostri, delle schede timbrate e la fatica che si fa sempre più opprimente col passare delle ore, si ha la possibilità di venire a contatto con un mondo che apparentemente è ideale, è invisibile, ma c’è. E dentro quel mondo ognuno ha la possibilità, tracciando quella “X”, di dire la propria.

Perché è così emozionante? Perché scrutinare una scheda, scoprirne il lembo col voto espresso, individuare il candidato prescelto, non individuarlo, o anche annullare la scheda stessa perché vergata dalle frasi di chi dalla politica si sente deluso, tradito, fa capire che quel cittadino ha scelto di mettere in pratica il suo diritto di voto, e ciò non è un atto che inizia e finisce in cabina elettorale, ma è una realtà concreta, effettiva, che rende il cittadino stesso una presenza viva, partecipe.

Un voto non è un numero. È una persona, è una storia, è un’idea viva.

Per questo è importante votare.

Perché nonostante tutto, nonostante le promesse non mantenute, nonostante le divergenze politiche che producono come unico risultato un ulteriore danno per i cittadini e lo sviluppo del territorio, andare a votare è fare politica, è vivere la propria vita civile da protagonisti, da primi attori e ogni volta, fino alla prossima volta, ci ricorda che siamo cittadini e parte attiva della società.

Andare a votare è bello, in una parola.

Vittorio Tumeo

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