Le indagini dei militari erano scattate a luglio, non appena i primi roghi avevano ricominciato a manifestarsi in quella striscia di terra chiamata Via del Mare. A marzo, Giuseppe Pezzino era finito in manette con l'accusa di danneggiamento seguito da incendio, concorso in truffa aggravata e procurato allarme sociale. Il padre Nino risultava indagato.
Ci sono elementi a sufficienza per sostenere che Giuseppe Pezzino ed il padre Nino siano stati gli autori dei “misteriosi roghi di Caronia” tra il 14 luglio e l’8 ottobre dello scorso anno. E’ questa la conclusione a cui è giunta la Procura della Repubblica di Patti che, finite le indagini, ha deciso di richiedere il rinvio a giudizio per entrambi i Pezzino. Già a marzo, l’inchiesta condotta dai carabinieri della Compagnia di Mistretta e coordinata dal Procuratore Capo Rosa Raffa, aveva portato alla luce una serie di elementi che facevano convergere tutti i sospetti sul giovanissimo Giuseppe.
Intercettazioni, immagini, video e fotogrammi che, secondo l’accusa, non potevano non dimostrare come, per almeno una quindicina di incendi, vi fosse la mano dolosa del ragazzo, con la complicità del padre. Proprio sulla base di questo, Giuseppe Pezzino era finito in manette con l’accusa di danneggiamento seguito da incendio, concorso in truffa aggravata e procurato allarme sociale. Il padre Nino risultava indagato. (Leggi qua)
Le indagini dei militari erano scattate a luglio, non appena i primi roghi avevano ricominciato a manifestarsi in quella striscia di terra chiamata Via del Mare. Erano trascorsi quasi 10 anni dall’ultima volta che quelle cinque case di Canneto di Caronia, tutte abitate da parenti, erano balzate agli onori delle cronache nazionali per misteriosi, improvvisi ed inspiegabili incendi. Nel 2004, infatti, la stessa Procura della Repubblica di Patti aveva aperto un’inchiesta contro ignoti, poiché già allora si sospettava che, dietro ai roghi, vi fosse la mano di qualcuno. L’inchiesta fu poi archiviata nel 2008 nonostante la conclusione dei consulenti fu che si trattava di “dolo”. Una certezza a cui, poco tempo dopo, giunse anche il CICAP (Comitato Italiano per il Controllo delle Affermazioni sul Paranormale).
Sta di fatto che, per diversi anni, i “misteriosi roghi” non si verificarono più, finché il 12 luglio la storia tornò a ripetersi. Fu allora che i carabinieri coordinati dal Capitano Giuseppe D'Aveni decisero di vederci ancor più chiaro perimetrando l’area con una serie di telecamere nascoste. Dalle immagini, gli inquirenti notarono che, ogni qual volta si verificava un incendio, il giovane Giuseppe si trovava nelle vicinanze. L’idea fu che il ragazzo utilizzasse una sorta di laser jet per innescare le fiamme, aggeggio che comunque non fu mai trovato.
Eppure la Procura, sulla colpevolezza del ragazzo, non ha mai avuto alcun dubbio. E la spiegazione a quei gesti, per l’accusa, va ricollegata esclusivamente al campo economico. I due Pezzino, padre e figlio, avrebbero messo in scena i roghi con l’unico scopo di far crescere il livello d’attenzione mediatica sui fatti e sulla zona. In tal modo, infatti, si sarebbero potuti ottenere indennizzi, risarcimenti, contributi di assistenza o nuove abitazioni da parte della Presidenza della Regione Siciliana – Dipartimento della Protezione Civile. (Leggi qua) Una spiegazione a cui padre e figlio si sono opposti anche negli interrogatori. Da sempre, la posizione dell’intera contrada di Canneto di Caronia è rimasta quella degli incendi dovuti agli “esperimenti militari”. (Veronica Crocitti)
il CICAP dal 2013 non si chiama più Comitato Italiano per il Controllo delle Affermazioni sul Paranormale ma Comitato Italiano per il Controllo delle Affermazioni sulle Pseudoscienze
il CICAP dal 2013 non si chiama più Comitato Italiano per il Controllo delle Affermazioni sul Paranormale ma Comitato Italiano per il Controllo delle Affermazioni sulle Pseudoscienze