Sulla rotta della decima musa: la variegata umanità della periferia parigina nel secondo lungometraggio di Samuel Benchetrit. Impressioni a cura di Tosi Siragusa
Samuel Benchetrit è originale cineasta, refrattario alle mode, e in questa commedia corale, di storie di individualità, di cuori infranti e solitudini, che ritroveranno il senso della vita, si muove sapientemente. Isabelle Huppert, Valeria Bruni Tedeschi, Gustave Kervern, sono fra gli interpreti del lungometraggio, ambientato in un condomino come tanti, forse più degradato, della periferia parigina. E, come “Piccole crepe, grossi guai”, anche quest’opera filmica è deliziosa, un piccolo spaccato di umanità dolenti, forse solo rispetto a quell’altra, il registro non è tenuto su quello stesso livello elevato, e il tono della narrazione non è sempre giusto (ma quest’ultima è probabilmente una peculiarità voluta). Al cast, di eccelsa qualità, si sommano le storie che, sotto un cielo triste, fra cigolanti lamiere, appaiono ben confezionate, nel compendio riuscito fra due racconti dello stesso filmaker, qui in adattamento, ed un terzo, aggiunto per l’occasione.
Gli episodi si alternano e la chiave uniformante si rintraccia nel clima surreale che li accomuna, unitamente alla tenerezza malinconica, con punte di affettuosa ironia. La Huppert è, nel film, un’attrice in declino, Jeanne, ancora affascinante, ma sulla strada del decadimento, desiderosa di un ruolo che non può più avere, e il suo incontro con Charly, introverso adolescente, suo vicino di pianerottolo, con una madre assente e che sembra abbandonato a se stesso, restituisce ad entrambi la speranza di andare avanti. Harmida, pensionata di origine maghrebina, ha il figlio in carcere e trova conforto in un astronauta della NASA, atterrato in lem spaziale sul tetto del condominio (che irrompe nella sua vita) e, essendo dunque la sua capsula in attesa di recupero, accetta l’ospitalità e gusta l’ottimo couscous, preparato dall’anziana donna algerina. Il buffo Sternkowitz, dopo cento chilometri sulla cyclette, ha avuto un crollo, finendo sulla sedia a rotelle, e usa l’ascensore solo di notte, essendosi rifiutato di pagare la quota condominiale. Durante una delle sue uscite notturne, il personaggio, reso da un grande Kervern, incontrerà l’infermiera senza nome, dimessa, timida, poetica e molto stralunata (un’altra riuscita interpretazione di Valeria Bruni Tedeschi, fatta per incarnare donne eccentriche) con la sua buffa sensibilità e le sue insicurezze, che, fra mille rossori, indossando l’unico vestito buono che possiede, accetterà di posare per lui, che si è finto fotoreporter per suscitare il suo interesse.
Il regista, in conclusione, ha uno sguardo singolare, quelle solitudini appaiono commoventi ed i dialoghi ben scritti e irresistibili. In sostanza, questa stravagante storia, ove il palazzo parigino è teatro di vite solitarie e improbabili incontri salvifici, sicuramente sarà apprezzata anche sugli schermi messinesi, ove si auspica, uscirà a breve.
Tosi Siragusa