Sulla rotta della decima musa: l’amore struggente, che dovrebbe superare lo spazio/tempo, si infrange nella noia degli spettatori. Impressioni a cura di Tosi Siragusa
Dall’intitolazione ambivalente, che si riferisce certamente ai mezzi comunicativi, ma si può reputare anche quale intesa fra le persone, che prescinde dai contatti, in nuce è già rappresentato il nuovo film di Giuseppe Tornatore “La corrispondenza” – nelle sale dal 14 gennaio – di genere sentimentale/drammatico/psicologico, che vanta musiche composte dal maestro Ennio Morricone, ove suoni elettronici sono combinati con la partitura dell’orchestra (belle, ma che non si ricorderanno).
L’opera cinematografica è apparsa melensa: la storia, scritta, quanto al soggetto, risalente a più di venti anni fa, ed alla sceneggiatura, dallo stesso filmaker, è anche divenuta romanzo, ma convince poco, e gli interpreti, facenti parte di un cast internazionale, pur se complessivamente bravi, risultano così sprecati, a partire dai protagonisti. Impeccabile, algido, con quell’aria sempre blasè, Jeremy Irons, imprigionato sullo schermo di un pc o in quello di un cellulare, pur se performer d’effetto (impersona il professore Ed Phoerum), la bella Olga Kurylenko, che non brilla per le sue capacità attoriali, e di certo non può reggere il film imperniato per lo più sulla sua figura (Amy Ryan), e ancora, James Warren (Rick), Shauna Mcdonald (Victoria), Simon Anthony Johns (Jason), Oscar Sanders (Nicholas) e Paolo Calabresi (il pazzo “Caronte”), sono tutti personaggi, principali o comprimari, complessivamente inverosimili. Le locations delle riprese (durate due mesi) sia in terra di Scozia, che nel nostro paese, a Bolzano e Bressanone, con un magnifico direttore della fotografia, Fabio Zamanon, che rende le immagini per sottrazione, non valgono a risollevare questo prodotto cinematografico.
Ed, di cui Amy è innamorata, svanisce nel nulla, ma la donna continua a ricevere suoi messaggi. La giovane studentessa di astrofisica fuori corso, ha un passato e un segreto, che la spingono a giocare con la morte per scacciare i suoi fantasmi, e svolge nel tempo libero il ruolo di controfigura (stunt) nel mondo dello spettacolo, ove è specializzata in acrobazie; è dunque amante delle situazioni di pericolo estremo che, fatalmente, si concludono in una finzione di morte del suo doppio. Ella si divide fra le stelle celesti e quel suo stravagante impiego, ove continua a uccidersi a ripetizione. Un giorno, il professore di astrofisica, molto più maturo di lei, e regolarmente coniugato (con figlia adulta ed un bambino) dal quale è corrisposta da sei anni, pur se in una storia d’amore per lo più a distanza, scompare, ma Amy continua però a esser destinataria di suoi messaggi, pacchi e lettere, video e missive, a cadenza regolare e inizierà dunque a indagare, non riuscendo a smettere di amarlo, pur se separata da lui dallo spazio: la storia vorrebbe essere totalizzante, ma è solo tortuosa, ed anche il personaggio di Amy appare imprendibile e sfuggente. Dopo il magnifico “La migliore offerta”, apprezzatissimo dalla critica e al botteghino, “La corrispondenza” appare quasi grottesco – pur se vorrebbe avere risvolti inattesi ed elementi di mistero – la prima scena è anche l’unica in cui appaiono (insieme) i due protagonisti, ed il professore da lì in poi comparirà solo su un monitor ed Amy racconterà il film dal suo punto di vista. L’opera è eccessivamente zuccherosa, da lasciare un po’ interdetti, soprattutto ove gioca con la metafora delle stelle morenti, con le quali interagiamo, pur se ormai spente e invisibili.
Il film si trascina stancamente per due ore (lunghissime) in estenuanti e sdolcinati dialoghi (curati, questo sì, minuziosamente in ogni singola parola), che vorrebbero infarcire una storia non convenzionale, coltivata solo virtualmente, ma è praticamente da rimuovere dal nostro immaginario, pur se, si teme, potrà lasciare tracce negative nella trentennale carriera di un regista alla sua prova peggiore, ma di certo non colpevole di calcoli costruiti e strategie, ma forse di aver seguito la sua sensibilità. Non si sa se il romanzo, ove se ne avesse ancora la voglia di leggerlo, potrà restituire all’opera, mediocre, una ragionevole ragione di riscatto, conferendo allo script la supremazia sull’immagine, che nella sceneggiatura è assolutamente carente.
Tosi Siragusa