Chiedi alla psicologa: invia una mail all’indirizzo psicologica@tempostretto.it.
Avevamo interrotto, mesi or sono, il nostro dialogo parlando di “intelligenze”, plurali e diverse, che ci erano servite come stimolo per esplorare alcuni dei tanti volti che può assumere il nostro valore personale.
Il valore di ognuno di noi non sta, ovviamente, solo nelle nostre intelligenze coltivate, ma in ogni possibile forma che assume il nostro essere e lo scopo della riflessione fatta insieme è stato proprio quello di focalizzare la nostra osservazione su ciò che siamo e non su ciò che abbiamo o sembriamo.
Sembra facile a dirsi: “valgo per quello che sono”. Ma riusciamo veramente a crederci in ogni istante della nostra vita? Riusciamo a crederci quando qualcuno ci critica? Riusciamo a crederci quando ci rendiamo conto di aver sbagliato e siamo noi a criticarci? E quando ci sentiamo egoisti perché non abbiamo sacrificato il nostro benessere a quello altrui? Per farlo dovremmo riuscire a distinguere ciò che siamo, da ciò che facciamo e anche da ciò che gli altri (compresi noi stessi) pensano di noi.
“Valgo. Sempre e comunque” è l’assioma sul quale poggia il nostro essere assertivi nel mondo. Possiamo sbagliare, ammettere l’errore, sentirci in colpa per esso, ma è il nostro comportamento che non va bene, che va corretto, non noi. Proviamo a ricordarlo quando qualcuno stronca con un giudizio negativo il frutto del nostro impegno, a torto o a ragione. Ricondurre l’apprezzamento al solo nostro operato, invece che a noi nella nostra interezza, ci fa immediatamente apparire la critica come meno grave, affrontabile con maggiore efficacia. Magari riusciamo persino a farcela tornare utile.
“Valgo. Sempre e comunque. Tanto quanto valgono gli altri”. Né più, né meno. Ciò porta con sé una serie di implicazioni che scardinano alcuni dei principi valoriali ampiamente condivisi nella nostra società. Se valiamo tanto quanto valgono gli altri, in ogni occasione, chiunque siano “gli altri”, ne deriva che ogni forma che prendono i vari gruppi cui apparteniamo è solo un modo per organizzare meglio il lavoro, o la società o la famiglia, per decidere ruoli e responsabilità, nell’ottica del bene di tutti. Le gerarchie servono solo a questo, non a stabilire chi ha più valore e potere e chi meno. Il che vuol dire che è auspicabile attenerci ad esse solo finché ci sono utili, ma possiamo e dobbiamo mandare alle ortiche la sottomissione passiva verso chiunque “sta più in alto” di noi su una qualche scala gerarchica. In ogni ambito, lavorativo, sociale, familiare: il nostro superiore, nostra suocera, i nostri figli, il potente politico di turno, valgono tanto quanto valiamo noi ed ai loro diritti va dato lo stesso peso che va dato ai nostri. Ciò vale sia se siamo in una posizione di inferiorità gerarchica, sia se siamo noi ad avere maggior potere.
Da tali presupposti prendono le mosse quelli che gli psicologi chiamano “diritti assertivi”, che altro non sono che alcuni dei diritti inalienabili che ogni persona dovrebbe avere, a prescindere dal contesto culturale e sociale di riferimento. Sono diritti e, come ogni diritto, si conquistano impegnandosi ad affermarli, a partire dalla consapevolezza del proprio valore, senza aspettare passivamente che qualcuno ce li conceda.
Sono dei diritti-doveri, il rivendicarli implica che si è disposti ad impegnarsi attivamente perché vengano riconosciuti a noi ed agli altri, pena lo scadere in una posizione anassertiva, di passività o aggressività.
Alcuni diritti assertivi sono: l’essere trattiti con rispetto e dignità, l’avere un’opinione personale discordante da quella del gruppo, il chiedere ciò di cui si ha bisogno, l’essere liberi di dire di no alle richieste altrui, il poter sbagliare, il poter chiedere spiegazioni ed informazioni.
Perché sono così importanti, i diritti assertivi? Perché sono delle efficaci linee giuda che ci spronano e ci aiutano nel perseguire il nostro benessere senza calpestare quello altrui, perché sono dei validi riferimenti per impedire a noi stessi ad agli altri di intaccare la nostra dignità o minare la nostra serenità.
Se avrete la curiosità di seguirmi, nelle prossime settimane, ne approfondiremo alcuni.
“Psicologica” è curata da Francesca Giordano, psicologa, laureata presso l’Università degli Studi di Torino, specializzanda presso la Scuola di Psicoterapia Cognitiva, Roma (SPC), Vicepresidente A.p.s. Psyché, “mamma di giorno” presso il nido famiglia Ohana di via Ugo Bassi, 145, Messina. Per informazioni telefonare al: 345.2238168.
Avvertenza: questa rubrica ha come fine quello di favorire la riflessione su temi di natura psicologica. Le informazioni e le risposte fornite dall’esperta hanno carattere generale e non sono da intendersi come sostitutive di regolare consulenza professionale. Le mail saranno protette dal più stretto riserbo e quelle pubblicate, previo esplicito consenso del lettore, saranno modificate in modo da tutelarne la privacy.