In apertura del SabirFest, al Multisala Apollo è stato proiettato il video-ritratto della poetessa Alda Merini, girato dalla regista napoletana Antonietta De Lillo nel giugno del 1995, e rimontato nel 2013.
Comincia oggi il SabirFest che si protrarrà fino all’11 ottobre, ed è partito al Multisala Apollo con il video-ritratto girato da Antonietta De Lillo, presentato da Gigi Spedale, direttore di Latitudini, Dario Tomasello e Alessia Cervini, entrambi docenti alla facoltà di Scienze della Comunicazione di Messina, con una lettura di dieci testi della poetessa da parte di Mariella Lo Sardo.
“La pazza della porta accanto”, titolo che nasce da una auto definizione della stessa Merini, non è un semplice documentario, né una biografia: è un ritratto particolare di una poetessa che riflette in qualche modo anche la regista, che pure non appare.
In principio Alda sembra quasi ostile: “Mi vuole conoscere? Diciamo che i poeti sono inconoscibili”; ma mano a mano comincia ad aprirsi, fino a scordare di avere di fronte le telecamere.
“Avrei voluto fare il curatore di anime, lo psicoterapeuta, oppure l’imbalsamatore, qualcuno che stesse vicino alla morte”. Alda Merini, venuta a mancare nel 2009, è stata probabilmente la più importante poetessa italiana del dopoguerra, una donna che ha sofferto tanto: ricoverata 27 volte in clinica psichiatrica, dove ha subito l’elettrochoc, ha anche subito la sofferenza di una maternità negata, perché le sono stati sottratti i figli per via della mancata guarigione.
Ma come diceva Virginia Woolf, che pure lei aveva conosciuto la malattia psichica e il ricovero, la genialità e la pazzia sono inseparabili e fonte di bellezza. “Quando ero felice non avevo niente da dire”: la poesia della Merini è generata dalla sofferenza, che sia amorosa o familiare, ma soprattutto dal “dolore senza nome del manicomio”, specialmente evidente nel libro “Terra santa”.
“Canto l’amore, il motore del mondo”, ma non si ritiene una poetessa d’amore. Ha avuto a fianco a sé tre grandi uomini che la hanno amata e la hanno aiutata, ispirata. Non perché donna canta l’amore: spiega che questo mito della donna simbolo d’amore è sbagliato o sopravvalutato; la storia è piena di donne che sono state simbolo di ben altro. Lei stessa, d’altro canto, potrebbe essere il simbolo della poesia, della bellezza che resiste alla violenza, anzi, della bellezza che nasce dalla violenza.
Nel 1995, anno delle riprese, vediamo una donna di 70 anni che ha sofferto ma che non rimpiange nulla, non si pente di nulla, che affronta la vita alla giornata, interrogandosi sul divino, sulla vita e sulla morte; vive in una casa disordinata perché è sola, “alla tavola non c’è nessun commensale”, le sue unghie consumate hanno tracce di smalto. Racconta aneddoti della sua esistenza, intervallati da scorci di una Milano nuvolosa, seguendo una drammaturgia data dalla voce unica di una donna unica.
Alda Merini inoltre è particolarmente cara a Messina, perché ha ricevuto nel 2007 la laurea honoris causa proprio dalla facoltà di Scienze della Comunicazione.
Per il calendario degli eventi del Sabirfest consultate il sito www.sabirfest.it.
Lavinia Consolato