Donatella Venuti porta in scena, alla Sala Laudamo, l’adattamento del romanzo “L’incantesimo di F. K.”, di Kate Braverman, con l’accompagnamento delle musiche originali di Francesco Cannizzaro, presente sul palco suonando il contrabbasso.
Frida Kahlo è una donna complessa, impossibile cercare di inquadrarla in uno stile artistico o categoria sociale: Frida è una donna d’acqua, è una forza della natura, tanto forte nello spirito, quanto debole nel corpo.
Tra la musica di sottofondo e le fotografie e i quadri che scorrono sullo sfondo, si crea un’atmosfera suggestiva, in cui Frida spiega se stessa, i suoi ricordi, in una specie di flusso di coscienza.
Racconta del suo rapporto con Diego Rivera, “la seduzione mortale”, il marito, anch’egli pittore, da un lato amato, dall’altro odiato, per i suoi continui tradimenti e la mancanza di gentilezza. Fa un confronto stilistico, disprezzando Diego, declassandolo a “pittore di superfici”, mentre lei al contrario mostra i nervi, lo scheletro, ciò che sta nascosto. Non è sogno e non è surrealismo.
Racconta delle sue prigioni, ovvero le terribili ingessature ed i successivi busti di metallo, che la costringevano a letto, immobile, a volte impedendole di dipingere; le operazioni e le malattie, le cancrene che facevano vomitare le infermiere. La maternità mancata e la figlia immaginaria, Flora. E poi l’alcol, ma soprattutto la morfina, medicina e droga.
Tutto cominciò da quell’incidente terribile tra il tram, sul quale c’era Frida, e una corriera. Il giorno dell’incidente è il giorno in cui morì la ragazza, a 17 anni, e nacque la pittrice. È una morte che decide di consumarla molto lentamente donandole quella visione introspettiva che conosciamo; infatti dice: “Solo una donna già morta avrebbe potuto dipingere da donna”.
Infine come davanti ad uno specchio un’altra Frida, una donna normale con una vita normale. Lei non si riconosce: quella Frida è una comune mortale, non conosce la genialità insita nell’atroce sofferenza fisica e psicologica. Dubito che Frida Kahlo, per quanto sofferente, avrebbe mai barattato una vita normale con la tua arte: è in questo che sta la tenacia della donna.
Donatella Venuti, regista e attrice, è capace di donare un’intensità toccante ai suoi ruoli. Mi ha particolarmente toccata il passo dell’incidente, in cui descrive la carne lacerata e la pioggia d’oro.
Autrice di opere teatrali come “Il ritorno di Leo”, dà grande forza alle figure femminili, tanto più belle quanto più drammatiche.
Eccezionale l’accompagnamento di Francesco Cannizzaro, che ha saputo far dialogare musica e recitazione, rendendoli inscindibili.
Oggi, giorno 14 dicembre, c’è la seconda ed unica replica, alla Sala Laudamo, alle 17:30. Non perdetelo.
Lavinia Consolato