Giuseppe Scopelliti ha ha già annunciato querela nei confronti di Report
La puntata di Report di ieri sera, in onda su Rai 3, ha puntato i suoi riflettori sulla città di Reggio Calabria e più precisamente sul ritrovamento della bomba in un bagno di palazzo San Giorgio, fatto avvenuto nel 2004, giorni turbolenti per l’amministrazione comunale di allora, guidata da Giuseppe Scopelliti che rischiava di esser mandato a casa con i voti di una parte della sua stessa maggioranza e per questo episodio, il giorno dopo gli assegnata una scorta, perché quella bomba fu ritenuto un chiaro segnale di minaccia nei suoi confronti da parte della ‘ndrangheta.
Una montatura è stata però definita dall’ex assessore comunale Seby Vecchio, nuovo collaboratore di giustizia dopo essere stato arrestato nell’ambito dell’operazione Gotha. Una invenzione, la definisce, messa su proprio dalla ‘ndrangheta per aiutare Scopelliti che con la sfiducia, rischiava di interrompere la sua carriera politica, tant’è che poi, venne eletto presidente della Regione Calabria, con il 61% dei voti, politico, definito sempre dall’ex assessore vicino ad alcuni clan della ‘ndrangheta reggina (clan De Stefano).
Nella descrizione di Report, vengono tirati in ballo anche Maurizio Gasparri, all’epoca dei fatti ministro delle Telecomunicazioni ma da sempre punto di riferimento romano di Giuseppe Scopelliti, l’allora numero due del servizio segreto militare Mauro Mancini e il direttore, sempre del Sismi, Nicolò Pollari . Una ricostruzione dei fatti che però non sono passati inosservati al diretto interessato, che attualmente sta scontando agli arresti domiciliari una condanna definitiva per falso nel bilancio comunale, il quale ha già annunciato querela, perché come riportato anche in una lettera inviata a Report ha sottolineato che lui non aveva bisogno di una falsa bomba per essere considerato come un nemico della ‘ndrangheta.
LA LETTERA DI SCOPELLITI A REPORT
“Non ho mai avuto alcun rapporto con esponenti della famiglia De Stefano, né con altre famiglie di ‘ndrangheta in quanto la mia attività politico-amministrativa si è incentrata sulla lotta alla criminalità organizzata come mai prima era accaduto a Reggio Calabria. Un’azione incisiva e determinata, documentata da atti amministrativi condivisi con le massime istituzioni internazionali, nazionali e locali”. Scrive, Giuseppe Scopelliti nella lettera in cui replica a report in merito ad una sua vicinanza alla ‘ndrangheta. Che poi rivela anche che di essere stato vittima, insieme alla sua famiglia, di 16 intimidazioni, episodi denunciati all’autorità ma mai resi pubblici per evitare strumentalizzazioni.
Sugli eventuali rapporti o scambi di informazioni con gli agenti Marco Mancini e Nicolò Pollari, Scopelliti afferma che “non ho mai avuto alcun rapporto né diretto né indiretto con l’agente Marco Mancini, che peraltro non conosco. Mentre ho avuto modo di incontrare il generale Pollari in un evento organizzato dall’Università di Reggio Calabria, di cui lui era titolare di cattedra, probabilmente nel 2008 o nel 2009″.
Sulla vicenda del ritrovamento dell’ordigno, definita una bufala dal collaboratore di giustizia Seby Vecchio: “Non so su quali presupposti il collaboratore Vecchio possa essere certo che la bomba al Comune di Reggio Calabria sia stata una ‘bufala’, io – prosegue Scopelliti – so che all’atto del ritrovamento dell’ordigno sono stato escusso presso la procura di Reggio Calabria dal procuratore dottore Scuderi e dal pm dottoressa Nunnari ai quali ho rappresentato, cosi come riportato a verbale, che il mio principale pensiero era rivolto alle procedure in corso per la gara, ad opera dell’amministrazione comunale, per la realizzazione del nuovo Palazzo di Giustizia, del valore di 81 milioni di euro.
Il progetto più importante finanziato negli ultimi trent’anni nella Città di Reggio Calabria“. “Mi permetto di aggiungere – prosegue ancora Scopelliti – che quanto affermato dall’avvocato Canale nello stralcio di intervista mandato in onda nella precedente puntata di Report (‘non posso dire di avere avuto dei sospetti, sapevo però che quello sarebbe stato uno spartiacque, avevo percepito che diventare un paladino della lotta alla ‘ndrangheta avrebbe costituito una chiave di volta nella storia personale e politica di Giuseppe Scopelliti‘) non corrisponde alla realtà dei fatti per come accaduti. Se è vero che sono stato, per come mi definisce l’avvocato Canale, ‘un paladino alla lotta alla ‘ndrangheta’, questo non è dipeso dall’attentato al Comune di Reggio Calabria ma dalla mia incisiva e concreta azione di contrasto agli interessi della criminalità organizzata locale nel corso della mia intera carriera politica”.
I 16 ATTI INTIMIDATORI
“Se avessi voluto trarre vantaggi da un tale fatto – fa presente Scopelliti -, avrei reso noti anche altri importanti episodi intimidatori ai danni miei e della mia famiglia, almeno 16, che si sono verificati negli anni in cui ho svolto la mia attività politica. Dalle molotov lanciate contro il Palazzo Comunale (con immediato arresto in flagranza di reato, nella seconda circostanza, a pochi mesi dal mio insediamento) al sorvegliato speciale che doveva uccidermi nel 2003, alla famosa bomba oggetto di discussione, alle numerose lettere intimidatorie tra cui quella delle Brigate Rosse, all’hackeraggio del fantomatico gruppo americano ‘Anonymous‘, alle diverse buste contenenti proiettili indirizzate alla mia persona e alla mia famiglia, all’attentato compiuto da uomini incappucciati fuori casa mia e ad altri atti intimidatori.
Per finire a quella che più mi ha turbato, l’intimidazione rivolta a mia figlia all’epoca dodicenne: atto che ha determinato l’istituzione di un servizio di scorta alla mia bambina per circa quattro anni e su cui il procuratore De Raho si impegnò in prima persona”. “Episodi, questi, per buona parte denunciati soltanto alle autorità competenti – evidenzia Scopelliti – e mai prima d’oggi resi pubblici a riprova della assenza di ogni volontà di strumentalizzarli per fini personali. Ecco – conclude Scopelliti a conclusione delle sue risposte -, ritornando alla vicenda della bomba al Comune, so soltanto che quella intimidazione ha sì costituito uno ‘spartiacque’ nella mia vita, perché da quel momento ho perso la mia libertà essendo stato sottoposto al regime di protezione con scorta per 14 lunghi anni. Una condizione che ha profondamente inciso sulla mia vita e su quella della mia famiglia”.