Scoperta poesia inedita di Tommaso Cannizzaro

Scoperta poesia inedita di Tommaso Cannizzaro

Vittorio Tumeo

Scoperta poesia inedita di Tommaso Cannizzaro

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lunedì 01 Aprile 2019 - 07:21

Il prezioso documento risale al 1904 ed è stato donato dall’antiquario Ammendolea alla scuola “Cannizzaro-Galatti”. Altri cimeli sono stati donati da Riccobono e dagli eredi Galatti. Soddisfatta la preside Cacciola.

Salta fuori dalle brume del passato un piccolo gioiello inedito della letteratura: una lirica inedita del poeta e carbonaro messinese Tommaso Cannizzaro. Di nobili natali e raffinata cultura, il suo autore, al quale è dedicata la nota via del centro cittadino, ha dato grande lustro alla città dello Stretto, protagonista ardito e arguto allo stesso tempo, di un passato dall’aura mitica. Nato due giorni dopo l’Assunta nel 1838 e morto nel 1921, complice il suo stile di vita ritirato, fu paradossalmente più noto ai dotti e letterati di tanta parte dell’Europa, che a Messina. Centoquindici anni fa, una calligrafia elegante e sicura ha vergato su un piccolo foglietto adesso ingiallito dall’accavallarsi degli anni, una poesia di dodici versi, divisi in due strofe; un regalo dal passato, giunto a noi per essere scoperto. Come un pallido fiore nato in ritardo di cui si dubita che possa sopravvivere a lungo, anche il cimelio ha sfidato il destino, resistendo al Terremoto, ai bombardamenti bellici, alla furia distruttiva dell’uomo, dimenticato per ventitré lustri tra le pagine di un libro. Adesso è arrivato il momento, per questo prezioso manoscritto, di svelare il suo segreto:

O venti fuggitivi verso plaghe ignorate,

flutti che borea spinge, uccelli che volate

verso remoti lidi,

foglie che in larghi vortici trasportate la bufera,

ora che senza tregua dal mattino alla sera

correre sempre io vidi,

ditelo dove andate, a qual meta lontana

qual destino v’incalza, occulto all’onda umana,

sopra la terra vasta;

dite alla vostra fuga chi spalanca le porte,

dite qual voce arcana all’ora della morte

a voi mormora: basta!

T. Cannizzaro

30 aprile 1904

La lirica presenta uno schema metrico lineare a rima alternata (AABCCB AABCCB). Sebbene spalmata lungo il corso di una vita abbastanza longeva, la poesia di Cannizzaro presenta un elemento comune che condivide con tutte le stagioni, un codice genetico coerente. La lirica descrive un ambiente in tempesta: il vento, indomabile, devasta quella che probabilmente sembra essere una marina. Protagonisti sono i venti, i flutti, gli uccelli e le foglie, queste ultime quelle che la bufera avvolge in turbini e che prima, durante il giorno, il poeta aveva visto “correre”, trasportate proprio dal vento. È la loro instancabile corsa che insinua nell’animo del poeta una riflessione filosofica assai profonda. Quasi le interrogasse, l’autore riflette su quale destino, ignoto all’uomo, le attenda. Ma attenzione al verbo. Cannizzaro usa un imperativo: “dite”. Quasi un’implorazione, un’accorata preghiera perché le foglie si animassero, ed avessero voce per svelare “chi spalanca le porte” e per dare un’identità alla “voce arcana che all’ora della morte mormora: basta!”. In una battuta, Cannizzaro cerca di estorcere loro il più anelato tra i misteri di cui si vuol conoscere la soluzione: il mistero della morte. Il lessico, di richiamo marcatamente petrarchista cinquecentesco, alterna a voci come “plaghe”, “flutti”, “borea”, gli aggettivi “remoti”, “occulto”, “arcana” in un impasto originale. La lirica riscontra affinità anche con altri componimenti e tutti quanti, talvolta non senza qualche monotonia, sono pervasi da atteggiamenti malinconici, pessimistici e meditativi, che inducono continuamente il lettore alla riflessione sulla condizione umana attraverso l’elemento fondamentale del paesaggio e degli scenari desolati che ritroviamo nella poesia tardoromantica, nella letteratura coeva europea. Per certi versi, si può dire, costituisce una singolare anticipazione di The Waste Land, che Eliot pubblicherà un anno dopo la morte dello stesso Tommaso Cannizzaro. Questo senso di profonda desolazione è peculiare dei suoi scritti più maturi come questo, che esprimono una concezione della poesia intesa come riflesso del cosmo quale unità indifferenziata di materia e spirito, come lo intendeva Schelling. Niente a che vedere insomma con i versi di omaggio, di conversazione epistolare, di polemica politica o di esortazione umanitaria, che pur incontriamo tra le sue numerose e poderose raccolte di versi. Quando scrive questa poesia, Tommaso Cannizzaro ha già 66 anni. Ormai l’esperienza dell’azione garibaldina in Sicilia, a cui aveva aderito, o il girovagare per i Paesi dell’Europa (in questo senso fu un po’ l’ispiratore di Giuseppe Tomasi di Lampedusa in quelli che furono gli anni del “Mostro”) sono soltanto un lontano ricordo. Più tardi infatti si dedicherà, alla morte del fratello Paolo, all’amministrazione del patrimonio di famiglia. Sono questi gli anni in cui il suo amore per la poesia prende corpo nella carta stampata. Scrive quindi, dopo alcuni saggi e un’epistola in francese, la sua prima raccolta di liriche, Ore segrete. Comune sarà, d’ora in avanti, la tendenza a firmare i suoi scritti servendosi di pseudonimi quali Oscar, Ozinam, Otzman.

Tommaso Cannizzaro in una foto d’epoca

Vive per quasi dieci anni nella villa ubicata tra Messina e Taormina, continuando a coltivare l’ars poetica, ma dedicandosi anche appassionatamente alla collezione di minerali e di fossili, alla ricerca e alla divulgazione delle tradizioni popolari messinesi, allo studio delle scienze naturali e della filosofia. Amore sconfinato per il sapere, il suo, che lo porterà col tempo a formare una ricchissima biblioteca. Più tardi sposerà Maria Kubli, diventando padre di sei figlie e di un figlio, che gli premorrà. In questo periodo si stabilisce definitivamente a Messina, dove acquista una tipografia, trasferita poi nella sua abitazione, che trasformerà nella sua personale fucina di capolavori. Fino al 1908, quando immediatamente dopo il cataclisma fatale si trasferirà a Catania, pubblica raccolte foltissime di liriche italiane e francesi, quali In solitudine, Carmina, Foglie morte, Epines et roses, Cianfrusaglie, Tramonti, Uragani, Cinis e Quies. Nel 1900 è la volta di Vox rerum, alla cui preparazione si alternarono le numerose raccolte di traduzioni da diversi poeti e prosatori europei. L’opera più interessante di questo periodo è però una traduzione in dialetto messinese della Divina Commedia del 1904, una vera chicca. Ma il 1904 è anche l’anno in cui scrive la nostra poesia. Ma come è saltato fuori il prezioso documento? Custodito per anni con estrema cura da un antiquario d’eccezione, il dottor Luigi Fortunato Ammendolea, adesso il prezioso documento campeggia glorioso nell’aula magna dell’Istituto Comprensivo “Cannizzaro – Galatti”, “lì dove è giusto che sia, fruibile a tutti e a disposizione della collettività”, come afferma il noto antiquario che, con particolare e onorevole sensibilità, ha donato il manoscritto alla scuola.

Luigi Fortunato Ammendolea consegna la poesia

Grande soddisfazione è stata espressa in tal senso dalla dinamica preside dell’Istituto, la professoressa Egle Cacciola: “Tutto è cominciato durante il mio primo anno di servizio. Desideravo far riscoprire le storie e le origini degli stessi personaggi cui la scuola è intitolata; abbiamo dunque indetto un concorso interno intitolato appunto ‘Storia e nome della mia scuola’, che ha coinvolto in maniera particolarmente sentita sia i ragazzi che le loro famiglie. Da qui deriva il dono del dottor Ammendolea”.

Egle Cacciola mostra la poesia di Tommaso Cannizzaro

Al nobile gesto dell’antiquario messinese si sono associati anche lo storico Franz Riccobono, che ha fatto dono una foto d’epoca che ritrae proprio Cannizzaro

Franz riccobono consegna la fotografia di Tommaso Cannizzaro

e gli eredi di Giacomo Galatti, che hanno invece donato un libro antico appartenuto al celebre avo. “Ma il regalo più bello – prosegue Egle Cacciola – è stato senz’altro la riscoperta di radici comuni, con la cultura a fare da elemento unificatore, da valore sociale, da strumento di coesione di forze umane. La scuola, questa scuola in particolare, ogni giorno cerca, attraverso la sensibilizzazione alla conoscenza, di educare “al bello e al buono”. Kαλὸς καὶ ἀγαθός, (kalòs kai agathòs), lo avrebbero chiamato i Greci. Ed eccoci giunti al termine di questa che può essere senz’altro qualificata come “una bella storia”. Un po’ come le foglie di cui Tommaso Cannizzaro parla in questa poesia ora restituita alla conoscenza di tutti, il manoscritto che la contiene, seppur sospinto anche lui da un vento impetuoso, quello delle vicende storiche, non sempre felici, è riuscito a trovare la rotta del suo destino che oggi lo ha portato qui, a noi.

Vittorio Tumeo

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