Cari Eurodeputati del Partito Democratico,
in questi anni difficili ci siamo impegnati per riscattare i popoli europei dalla morsa della crisi e ci siamo impegnati affinché l’Europa fosse più attenta ad ascoltare il malessere degli ultimi.
Abbiamo non solo alzato la voce, ma abbiamo fatto politica per contrastare il dilagare delle disuguaglianze e delle ingiustizie.
Sarebbe ingiusto pensare che noi non abbiamo ascoltato quel grido di sofferenze. Il REI, gli investimenti pubblici per le assunzioni, gli investimenti nelle infrastrutture e il progetto industria 4.0 sono stati un sostegno forte dei nostri Governi per il rilancio dell’Italia.
In sede europea, grazie al vostro fondamentale impegno, abbiamo introdotto la flessibilità, si sono sostenute politiche monetarie antirecessive, abbiamo lottato contro il dumping sociale e abbiamo tutelato il made in Italy, non solo orgoglio del nostro Paese nel mondo ma anche un’opportunità importante per difendere e creare occupazione.
Nonostante il nostro impegno, oggi le disuguaglianze non sono diminuite e condannano i ceti medi e i poveri a vedersi sempre più deboli e emarginati.
Seppur non siamo i responsabili di questa crisi, che ha affamato centinaia di milioni di europei, dovremmo comunque riconoscere che non è stato fatto abbastanza.
I giovani che scappavano dalle periferie per andare a lavorare nei grandi centri della produzione, per un impiego part-time e sottopagato; madri e padri di famiglia che perdevano il posto di lavoro, condannando le famiglie all’indigenza; le imprese, soprattutto le piccole e medie, una delle risorse più importanti del mondo produttivo, condannate a chiudere perché per loro non venivano previsti abbastanza investimenti per aiutarle e per ammodernarle; i poveri che scappavano e venivano visti come un popolo invasore e non come bisognosi da aiutare, a prescindere dalla nazionalità, dal sesso, dalla religione. Questo è il nostro popolo che non ci riconosce più, questo è il popolo dal quale dobbiamo tornare.
Per fare questo sarà necessario essere chiari nelle proposte per far capire che siamo tutti dalla stessa parte. Dovremo farlo con una proposta di investimenti europeo per sostenere i più deboli, per ammodernare le infrastrutture, creare occupazione giovanile e femminile, risorsa fondamentale per dare un futuro all’Europa.
Nella prossima campagna elettorale per le europee Vi chiediamo di condurre insieme a Noi una battaglia che guardi con più coraggio e più forza agli ultimi, con voce più forte, a maggior ragione se molti di loro pensano che li abbiamo abbandonati. Anzi per questo dobbiamo essere più uniti, non solo tra noi, ma soprattutto con questo popolo che chiede di essere rappresentato e che rischia domani di consegnarsi a chi fino a ieri ci chiamava terroni, cantava cori dicendo che puzziamo e oggi continua a sostenere che non abbiamo voglia di lavorare.
Non abbiamo paura della sfida che ci aspetta, ma chiediamo che i nostri rappresentanti in seno ai Parlamenti si assumano il coraggio della sfida con coerenza, a fianco di chi rappresenta la nostra ragion d’essere, gli ultimi e i giovani, perché, se vogliamo che l’Europa abbia un futuro, dobbiamo pensare a chi il futuro in quest’Europa se lo sente negato.
Le sfide che abbiamo di fronte sono tante e difficili, non saremo in grado di affrontarle se non avremo accanto chi paga il prezzo delle ingiustizie. I giovani, le donne, i disabili, i deboli che vivono le periferie dell’Europa, quelli che di fronte alla disoccupazione e all’emarginazione se la prendono, incoscientemente, con chi scappa dalla fame e dalla sete. Non ci rendiamo conto che se non invertiremo la “rotta” saremo noi i prossimi a dover scappare, in fondo lo siamo già stati e centinaia di migliaia di meridionali lo continuano ad essere tutt’oggi.
Il futuro dell’Europa non è giovane perché sarà solo dei giovani, l’Europa deve essere giovane perché deve avere un futuro da sognare e costruire e noi ci dobbiamo impegnare perché quel sogno si realizzi, non solo per poterlo sperare.
L’Europa dovrà essere giovane perché deve avere un domani, non solo un passato da ricordare, sennò finiremo, al massimo, per commemorarlo.
Massimo Parisi
Seg. GD Fed. Messina