Restano in piedi solo 4 condanne dopo l'appello del processo che ha visto alla sbarra i nuovi boss di Giostra e Camaro e le altre persone coinvolte nel business della droga e delle corse clandestine dei cavalli.
E' questa la sentenza d'appello per sei delle persone coinvolte nel blitz Gramigna. In primo grado, nell'ottobre 2013, il Tribunle aveva inflitto loro quasi 50 anni di carcere. Tra loro tutti i principali protagonisti delle vicende ricostruite dalle indagini di Carabinieri e Polizia e sfociate nel blitz con oltre 40 arresti, a fine luglio 2011.
I giudici hanno disposto il non doversi procedere per intervenuta prescrizione per Vincenzo Longobardi, Maurizio Irrera, Cesare Graziano e Antonino Di Blasi. Ridefinite le condanne decise in primo grado per Vito Rizzo – 6 anni (in continuazione con le altre condanne) e 4 anni ed 8 mesi per Walter Morici. Per il resto i giudici di secondo grado hanno confermato il verdetto del novembre 2011, quando il Tribunale aveva condannato anche Guido Caporlingua a 2 anni e Antonia Vento a 3 anni.
Impegnati nelle difese gli avvocati Domenico Andrè, Antonello Scordo, Salvatore Silvestro, Tancredi Traclò e Massimo Marchese.
L'inchiesta, coordinata dai pm Angelo Cavallo e Fabrizio Monaco, ha ricostruito larecente geografia mafiosa dei clan cittadini, dove Camaro, Santa Lucia Sopra Contesse e Giostra la fanno ancora da padroni. E dove ai boss storici in carcere, tutti al 41 bis, erano subentrate le nuove leve che reggevano gli affari su loro investitura: Vincenzo Pergolizzi, Micalizzi e Arena.
Almeno tre anni, alla fine del decennio, di estorsione, usura e spaccio di droga, gestiti di comune accordo secondo un accordo Pacifico tra i gruppi criminali cittadini che resiste da quasi un ventennio, e che rischió di scricchiolare solo nel 2005. Poi la faida si chiuse con 4 morti e una "emorragia" di pentiti e le armi tornarono a tacere.
Ancor più decisive delle dichiarazioni dei collaboranti, fondamentali furono quelle di un commerciante che, vinta la paura, dopo un primo accenno nell'accontentare le richieste del clan, pur di lavorare in pace, decise poi di denunciare tutto e liberarsi del giogo mafioso.
Oltre che droga ed estorsioni, i clan non avevano abbandonato il sempre fiorente business delle scommesse sulle corse clandestine dei cavalli, una vera e propria tradizione di alcuni rioni cittadini, crudele per gli animali e difficile da cancellare, da estirpare. Proprio come la gramigna.
Alessandra Serio