Focus Pasolini: “Medea” del 1969

Focus Pasolini: “Medea” del 1969

Tosi Siragusa

Focus Pasolini: “Medea” del 1969

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mercoledì 28 Ottobre 2015 - 09:29

Storia di una conversione al contrario nel film che l'autore di "Ragazza di vita" trasse dall'omonima tragedia di Euripide. Impressioni a cura di Tosi Siragusa

La pasoliniana Medea, in quest’opera manieristica scritta e diretta da grandissimo Pier Paolo Pasolini, già nella sua espressività esteriore, ne rende e condensa l’alta drammaticità, essendo, per l’intera durata del lungometraggio – se si eccettuano veramente poche battute e la finale dirompente ferocia, senza ritorno – silente, con una Maria Callas eccezionale in questa resa del personaggio.

La Sua Medea, algida e rigida, non ha bisogno di parole, regge il silenzio straordinariamente, e questa scelta registica, veramente originale, segna la grandezza dell’opera e fa la differenza rispetto ad altre interpretazioni classiche. A parte Creonte, reso magnificamente da Massimo Girotti, gli altri personaggi sono interpretati da attori per lo più non professionisti. La produzione è internazionale, anche se la resa al botteghino è stata, all’uscita, deludente. Pasolini compie una scelta di campo, già dalle scenografie, solitamente rese in modo sfarzoso… qui il vello d’oro (che Medea ha portato quale dote) non è imponente, ma appena intriso d’oro, il palazzo di Creonte, a Corinto, è quasi sporco, chiuso, (quasi un sotterraneo) i Greci del resto appaiono barbari anch’essi… i costumi sono splendidi, centrati, sontuosi solo laddove è necessario (le presenze di Dante Ferretti, Gabriella Pescucci e Piero Tosi, già grandissimi, si fanno notare). Il lungometraggio sembra ipnotico, quasi documentaristico, con una trasposizone veramente personalizzata, ove si parte dal testo euripideo, appropriandosene, ma lo si dimentica quasi (certo dopo averlo ben introiettato) realizzando qualcosa di diverso. Questa rappresentazione è lontanissima da quella stereotipata, che Hollywood ha sempre dato della cultura classica… è brutale, scarna, infatti; prevale il cromatismo, ove il colore è significante, come gli sguardi, e il coro greco si trasforma in musiche berbere e orientali. L’opera è ridondante di tagli e ellissi. Giasone è un uomo-bambino, discendente di Eolo, re dei venti e per gli intrighi dello zio, che ha destituito suo padre, cresce con un centauro quale tutore (rappresentato, durante la elegiaca infanzia e pre-adolescenza del ragazzo come uomo-cavallo mentre al Giasone ormai grecizzato, appare con fattezze umane). Medea è categorizzazione ultima di una serie filmica dedicata al mondo greco, è del '69, successiva ad “Edipo re” e a “Appunti per un’Orestiade Africana”. Il progetto filmico, di abolire la dialettica, agendo sugli schemi oppositivi , formali e contenutistici, di fondo,è evidente: siamo infatti nel periodo nella dinamica contrastiva pasoliniana. L’ideologia di fondo è che il Sacro, l’arcaico, il barbaro, deve sopravvivere nel mondo razionale massificato(quello greco, qui, ma anche nel borghese universo pasoliniano come ovvio riferimento sotteso). Forse è questo un limite del film, nel gusto della contaminazione e della contrapposizione fra sacro anticio e profano moderno.

Medea, dunque, nella sua Cappadocia magica (e crudele nei suo riti) è protagonista … poi in terra di Frigia, che la manterrà sempre ai confini della città – prima apparentemente accolta , poi ripudiata – diverrà, nel tentativo di riappropriarsi della perduta dimensione, sacerdotessa di morte. Il sole le apparirà durante un sonno vigile, quale sapienza del passato, ispirandole le azioni future. Ciò che è barbaro si opporrà a ciò che barbaro non è. La scena della vendetta contro la rivale si ripeterà due volte… prima sognata (ove tutto accade naturalmente e poi messa a sistema, ed è meno naturale) e il tutto diviene comprensibile attraverso il filtro del colore, e la sovraimpressione. Volutamente rallentate le scene che precedono l’assassinio dei figlioletti, tenere e perturbanti in uno, fino al finale accelerato, ove tutto è ormai compiuto, senza possibilità di scampo… la contaminazione del potere in Giasone e Medea ha generato corruzione e non si può tornare indietro all’universo primordiale dei misteri (La natura è sacra, aveva detto il centauro a Giasone, e quando diventerà naturale, cesserà di essere santa). Medea è peraltro tragicamente attuale, nella sua scelta di sacrificare tutto ad un Giasone che la concepisce quale bottino e oggetto per i suoi sfoghi sessuali, non riuscendo a comprendere che ella gli ha donato tutto il suo mondo, offrendogli la vita del fratello e giungendo in Grecia da barbara, lasciando un mondo (a suo modo) regale, tradendo gli affetti più cari e tutte queste perdite solo per essere, infine, persa a se stessa, ripudiata per le nuove nozze del fedifrago con la figlia di Creonte.

La Medea pasoliniana non produce assassinio per gli sconvolgimenti della sua mente, ma per una analisi ragionata, tenendo conto dei pro e contro e quelle terribili azioni hanno il valore simbolico del tentativo – non riuscito – di riappropriarsi dell’arcaica dimensione. La “soluzione finale” non è dunque qui solo la nemesi che potrebbe sostenersi … anche la Medea del primordiale mito, peraltro era devota alla sorte dei figli, e anche qui ella tenta dapprima di salvarli dall’esilio, che Giasone sta loro imponendo con la sua irriconoscenza …e forse, alfine, uccidendoli, crede di preservarli da una sorte tremenda … anche la Medea pasoliniana dunque solo apparentemente non implode, (come le moderne vittime del ginecidio) e la differenza con le donne reali è solo di forma … è sostanzialmente una vinta … anch’essa.

Tosi Siragusa

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