“Senza Pasolini”, la parola ai filosofi

“Senza Pasolini”, la parola ai filosofi

Lavinia Consolato

“Senza Pasolini”, la parola ai filosofi

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lunedì 26 Ottobre 2015 - 23:24

Alla Sala Laudamo, primo vero dibattito esclusivamente filosofico su Pier Paolo Pasolini. Ospiti i professori di filosofia ed estetica Maurizio Zanardi, Gianluca Solla e Dario Cecchi, a cura di Pierandrea Amato.

La filosofia”, introduce Pierandrea Amato, “serve a separare la vita di Pasolini dalla sua opera”.

Dunque è necessario allontanarsi dal mito per analizzarlo in tre punti chiave: Pasolini come parresiaste, ovvero come colui che dice la verità al potere (“io so la verità, ma non ho le prove” scriveva Pasolini); lo studio di Walter Benjamin e il tema della tradizione che Pasolini analizza in “Salò” e in “Petrolio”, ovvero l’impossibilità di condividere alcunché con gli avversari, persino la tradizione; e infine, lo studio di Nietzsche, ovvero il tragico nel cristianesimo, a partire da “Accattone”, con il binomio innocenza-colpa.

Maurizio Zanardi parte da Deleuze: la filosofia è l’arte di costruire concetti, i quali possono avere una tonalità artistica. Quindi, come i concetti dei filosofi hanno catturato Pasolini e come lui stesso ha prodotto i concetti? Non si può non rispondere riallacciando Pasolini al suo rapporto con il neocapitalismo e il potere. In “Petrolio” scrive: “Col mondo del potere non ho avuto che vincoli puerili”. Il Pasolini parresiaste va rimesso in discussione: la verità non è qualcosa che lui svela, bensì che costruisce, e la prova della verità è la morte. “Il gesto pasoliniano fondamentale non è rischiare la vita col suo lavoro, l’atto di denuncia non è quello di creazione”. Pasolini deve essere ricondotto essenzialmente al corpo della sua opera. Il corpo morto di Pasolini è divenuto proprietà di quell’industria culturale che lui detestava, costruendovi il mito del complotto. Per cogliere meglio il concetto di rivolta, bisogna analizzare il legame del poeta con San Paolo (sul quale Pasolini avrebbe voluto girare un film, ricontestualizzandolo): la figura del maestro va destituita in San Paolo; nel Pasolini-San Paolo vanno destituiti i maestri del neocapitalismo. La lezione fondamentale per i nostri tempi è la denuncia della trasgressione di massa come piena realizzazione del progetto neocapitalista.

Gianluca Solla fonda la sua relazione sul titolo dell’evento: Senza Pasolini. “Il ‘900 è il secolo del senza, il senza come categoria del presente in termini sintomatici, per comprendere ciò che avviene. E Pasolini è il pensatore di questo senza, attraverso immagini e poesie”. E in effetti i personaggi di Pasolini sono senza speranza, forza, parola, innocenza, quei “senza nome” di cui parlava Walter Benjamin, che fanno parte di una storia impossibile da ricordare. Citando la famosa poesia “Io sono una forza del passato”: “(vagavo) per l’Appia come un cane senza padrone”. Liberarsi dal padrone senza diventare a propria volta un padrone (tema sviluppato anche dallo psicoanalista Lacan) è la chiave di una libertà di cui si è costantemente alla ricerca. E Pasolini va liberato dalla morbosità alla quale siamo legati per via della sua morte: si deve fare del “senza” la sua identità, la prova dell’umano.

Dario Cecchi si occupa del Pasolini teorico e razionalista a partire da “Empirismo eretico” (1972), una raccolta di saggi, in cui il poeta tratta soprattutto il tema del linguaggio, dividendolo, come è noto, tra linguaggio borghese e linguaggio popolare, “rimproverando” scrittori suoi contemporanei comunque assai stimati, come Gadda o Moravia, di rendere la lingua popolare o un principio stilistico o un elemento estraneo. Ciò che attua il Pasolini regista è di rendere il cinema “la lingua scritta della realtà” (anche titolo di uno dei saggi). Il linguaggio del cinema è il montaggio: “Il cinematografo”, scrive Pasolini, “pare essere la lingua scritta di questo pragma che è la realtà”. Prendendo come esempi “Accattone” e “Il vangelo secondo Matteo”: per il primo il confine tra realtà e finzione è labile “come la memoria e come i sogni”; nel secondo, fermare la parola del Vangelo nei fotogrammi. Per questo si parla di Pasolini come razionalista eretico: perché il suo raccontare la verità, la sua parresia, si sposta sul piano delle immagini.

Bisognerebbe far sì che filosofi e psicoanalisti siano introdotti più spesso nel mondo del cinema, per aprire nuove porte. Consiglio la visione del documentario “The pervert’s guide to cinema”: il cinema spiegato dal filosofo e psicoanalista Slavoj Zizek.

Lavinia Consolato

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