Dall'associazione LavorOperAzione riceviamo questa riflessione sul momento di riordino del settore dei servizi sociali che non può prescindere dalla totalità dei soggetti che operano anche nel Terzo Settore
Il dibattito pubblico aperto nelle ultime settimane dal Salva Messina, rispetto al riordino del settore dei “servizi sociali”, può diventare l’occasione per riflettere su un processo di modernizzazione reale dell’intero sistema delle politiche sociali nella nostra città. Una riflessione che guardi al futuro e alle migliori esperienze attive in altre aree del paese, rese necessarie dall’evoluzione sociale ed economica degli ultimi decenni e sollecitate dalle normative.
Il benessere di una città dipende dalla capacità di rispondere ai bisogni delle fasce sociali più deboli, emancipandole gradualmente dalla condizione di dipendenza dai “servizi” e dalle risorse pubbliche, ma anche dalla capacità che le istituzioni hanno di promuovere sinergie e processi per uno sviluppo economico sostenibile e coerente con le vocazioni del territorio.
Al Sud è strettamente collegato anche alla capacità delle istituzioni di valorizzare le energie e la creatività locali, per rallentare e, in linea di principio, interrompere il progressivo spopolamento da parte dei giovani e di tutti coloro che hanno energia sufficiente a provare a costruirsi un futuro dignitoso. Questo chiama in causa le istituzioni locali, in misura molto più ampia rispetto a quella prospettata dalla locuzione “servizi sociali”.
Si tratta di mettere mano ad una riorganizzazione interna dei servizi comunali, dei cui limiti molti sono perfettamente consapevoli e, contemporaneamente, di rispondere in modo adeguato ai bisogni dei cittadini, in particolare delle categorie più fragili ma non solo.
Non vogliamo e non possiamo, in questa sede, intervenire sulla riorganizzazione interna della macchina amministrativa, sebbene sia evidente la necessità di un’azione formativa rilevante e sostanziale che riguardi il metodo di lavoro in squadra e in rete. Non è pensabile, infatti, che un ente nel quale le risorse umane sono abituate a lavorare per “atti” e non per “processi” possa poi essere in grado di gestire progettualità e processi di sviluppo sul territorio.
Anche una totale internalizzazione delle risorse umane dei servizi essenziali (asili nido, assistenza domiciliare anziani e disabili, case di riposo, assistenza disabili, perfino centri socio-educativi, se si vuole), attraverso una società mista o in altra forma, potrebbe avere aspetti positivi ma non sarà mai sufficiente, perché i “servizi” non esauriscono le Politiche sociali. La struttura burocratica tipica dell’amministrazione pubblica e delle sue propaggini, anche qualora fosse resa adeguatamente efficiente e recettiva, non potrà mai garantire la flessibilità, l’innovazione, la predisposizione alla ricerca della personalizzazione dell’aiuto o del sostegno, la vocazione alla partecipazione e all’ascolto tipiche delle realtà del Terzo Settore.
Proprio per questo, a nostro avviso, non è possibile ragionare sulla “ristrutturazione” interna dei servizi del Comune senza prendere in considerazione le risorse esterne, messe a disposizione da quella moltitudine di realtà organizzative (di cui le cooperative che hanno in appalto i servizi sono una piccolissima parte, sebbene molto influente) che sul territorio si occupano di alleviare il disagio delle persone in difficoltà, di aumentare le risorse a disposizione delle persone fragili, di promuovere processi di crescita per nuclei familiari, singoli o gruppi sociali, ma anche di quelle realtà che sperimentano nuove forme di economia e di erogazione di beni e servizi.
Insomma, senza tenere conto delle risorse del Terzo Settore. E non solo perché l’accesso a molte progettazioni e dunque a molti finanziamenti pubblici, oggi, è possibile solo se si è capaci di co-progettare, di utilizzare gli strumenti messi a punto dalle normative negli ultimi anni a livello nazionale ed europeo ma anche perchè è impensabile rispondere ai bisogni e alle sfide attuali con la logica di trent’anni fa.
Comuni come Bergamo, Brescia, tra i più noti, stanno operando per un riordino complessivo dei servizi in tal senso. Le pratiche dell’amministrazione condivisa, gli strumenti della co-progettazione, la legge 241/2016, la legge 328/2000 e il successivo d.p.c.m. del 30 marzo 2001, per fare degli esempi, sono tutte orientate a valorizzare l’affermarsi di un paradigma collaborativo che possa mettere a sistema le risorse del territorio e favorire lo sviluppo di un tessuto sociale più forte, organizzato e meno dipendente dalle risorse pubbliche.
L’attenzione economica di un Comune non può riguardare solo la spesa, deve pensare soprattutto alla possibile attivazione di risorse economiche in senso lato. Il Terzo Settore mobilita risorse ed energie che hanno anche un valore economico significativo, oltre a costituire il patrimonio stabile di una società sempre più forte e resiliente. L’ente pubblico, come regolatore, come responsabile dei processi, come organismo erogatore e di controllo, ha bisogno di partner diffusi sul territorio. Ciò che distingue le città più avanzate da quelle meno avanzate è proprio la funzionalità dei meccanismi di dialogo, co-progettazione, co-gestione delle politiche.
LavorOperAzione si mette a disposizione dell’Amministrazione per costruire queste dinamiche, questi meccanismi, questi processi: gli strumenti offerti dalle normative, le competenze sul territorio ci sono. Ciò che manca è una impegnativa azione di messa a sistema di queste risorse, la costruzione comune di processi secondo metodologie efficaci, che riescano a far dialogare in maniera proficua le diversità.
Antonia Rosetto Ajello – Presidente APS LavorOperAzione, Messina