Costruito durante una residenza all'Università di Malaga, arriva finalmente a Messina in prima assoluta il nuovo spettacolo di QA-QuasiAnonimaProduzioni
Eteocle e Polinice, re contro re, fratello contro fratello, il legame di sangue contro il desiderio di potere. Una condanna, una frattura, un dolore senza morale, una guerra senza vincitori.
È la storia drammatica dei due figli/fratelli di Edipo a dare vita a “Sette”, nuova creazione di QA-QuasiAnonimaProduzioni. Lo spettacolo, scritto e diretto da Auretta Sterrantino, con le musiche originali e il progetto audio di Vincenzo Quadarella, assistente alla regia Elena Zeta, vede in scena nei ruoli dei due protagonisti le sorelle Giulia Messina (da poco vincitrice del Premio Hystrio alla Vocazione) e la giovanissima Carlotta Maria Messina, entrambe diplomate all’ADDA (Accademia D’Arte del Dramma Antico) della Fondazione INDA di Siracusa.
“Sette” prende ispirazione, ovviamente, da Sette contro Tebe di Eschilo, arricchendo, poi, il suo tessuto poetico dell’ulteriore riferimento a tutti i testi tragici che si interrogano sul conflitto tra i due fratelli, da Antigone a Edipo Re e Edipo a Colono di Sofocle, fino a Supplici e Fenicie di Euripide (che affronta l’unico vero incontro tra i due personaggi, sebbene secondo un punto di vista molto diverso).
La storia di “Sette”
Altrettanto appassionante è la storia che ha portato “Sette” alla luce. Lo spettacolo – con il supporto di Nutrimenti Terrestri e in collaborazione con l’EAR-Teatro Vittorio Emanuele – si sviluppa in sinergia con l’Università di Messina, l’Università di Malaga, l’Università di Coimbra e l’Università di Valencia. Parte, infatti, da una residenza all’Università di Malaga, presso il Dipartimento di Filologia Classica della Facoltà di Filosofia e Lettere, grazie al sostegno della professoressa Marta González González. E prende sempre più forma con le prime prove aperte svoltesi in Portogallo, all’Università di Coimbra e, poi, in Spagna tra Valencia e Barcellona.
Arriva, finalmente, a Messina, in una prima assoluta, all’interno di “Varcare la soglia. Teatro, rito e festa tra passato e presente”, convegno internazionale dedicato agli studi sul teatro antico e la messinscena contemporanea che si concluderà il 1° dicembre a Siracusa.
La messinscena artistica
In “Sette”, l’universalità dei temi tragici entra in contatto con la nostra contemporaneità senza mai tradirsi – sia nel linguaggio scenico teatrale sia nelle tematiche affrontate – tramite parole di svelamento, spazi attraversati dai corpi, movimenti che creano immagini, suoni che designano contorni. Il risultato è un unico caleidoscopico linguaggio che si conferma, ancora, cifra stilistica della poetica di Auretta Sterrantino. Musica, movimento e parole si incontrano, confondono, invertono, completandosi vicendevolmente, per offrire forza e autenticità ad una messinscena che si fa unica e sempre identificabile. La parola poetica, qui, trae linfa vitale anche dal gioco tra greco, francese, spagnolo, sonorità e significati diversi che aggiungono profondità di senso al suo carattere evocativo.
Nell’incessante dialogo con parole e musica, grande protagonista resta il movimento. Nulla è lasciato al caso, ogni spostamento è delineato, strutturato, rigido e veloce o più disteso e leggero, forma fisica e motoria di un’emozione. Non solo la musica racconta il movimento, ma anche il movimento genera suoni carichi di significato, dai piedi che battono impetuosi sulla terra, dando voce all’avanzare della guerra, fino al lieve scivolare o strisciare di Eteocle e Polinice tra gli angoli del palco per cercare di sfuggirsi. I corpi delle interpreti, in movimento continuo, disegnano spazi, abitano angoli, tracciano diagonali. Come dinamiche sculture si puntano, si cercano, rincorrono, una di spalle all’altra, una faccia a faccia dell’altra, vicine, lontane, ma sempre in perfetta sincronia, così simili pur nella loro opposizione. La scrittura scenica si estende su un principio di azione e reazione tra loro, ma di cui anche il pubblico si sente protagonista, all’erta per ogni loro spostamento, reattivo ad ogni loro azione, condizionato perfino da qualsiasi loro sguardo. Lo sguardo delle interpreti – identico nel dolore, nella forza, nella smania di potere – ci turba, ci disturba, ma, al tempo stesso, ci sorpassa, non ci incontra mai profondamente, perché è sempre altrove, ci riporta ad un orizzonte altro, quello del nostro immaginario.
Il fitto intreccio intessuto da queste forme espressive, nel loro rapporto di unità e distinzione, ci racconta nella prima parte dell’opera – in cui è più forte il richiamo a Prologo, Parodo e Primo Episodio di Eschilo – il terrore per l’incombere della guerra, la terra che trema; nella seconda parte apre la ferita, quella della frattura tra due fratelli ora nemici. Prima il tempo dell’attesa, poi, quello del dolore.
“La messa in crisi” dello spettatore
Le opere di QA amano mettere in crisi. Sono una prova da stress per il nostro pensare e per il nostro sentire. Da “Sette” non si riesce a trarre giudizi, non si riesce a prendere decisioni, o almeno non sono riuscita a farlo io, non si trovano risposte semplici ma si è spinti verso più profonde domande. “Sette” interroga, mette alla prova, ci provoca intellettualmente e ci suggestiona emotivamente, ci insegna a mettere tutto in dubbio e ad attraversare anche il sentire più disturbante. E quando la parola si fa più oscura o la messinscena più enigmatica, il suo linguaggio polifonico potenzia la sua componente evocativa. Così dove non arriva il raziocinio arriva l’emozione. È affascinante e disturbante insieme, ma non ci lascerà mai seduti tranquilli e inermi sulla nostra sedia da spettatori, ci fa balzare in piedi, esercita il nostro pensare.
Scavare la ferita
Nella sua precisione surreale in cui ogni cosa – perfino i respiri – è studiata, attenzionata, carica di valore e di senso, “Sette”, però, non vuole mandare per forza un messaggio. Non vuole risolvere il conflitto, o difendere uno dei fratelli rispetto all’altro, non ha interesse nel lasciare una morale che possa ergersi a massima universale. Vuole, piuttosto, scavare la ferita, interrogarla. La tragedia rappresenta da sempre l’impossibilità di sanare il conflitto, ma il tentativo di attraversarlo. “Sette”, nello stesso modo, ci permette di riflettere sulle diverse ragioni del conflitto e sulle loro legittimità, sebbene inconciliabili. Solo accettando la reciproca legittimità delle posizioni di Eteocle e Polinice possiamo comprenderne la responsabilità. Entrambi hanno torto, entrambi hanno ragione, ma ciascuno dei due vede solo con i suoi occhi. Non c’è soluzione, non c’è alcuna salvezza.
La ferita che è tanto di Eteocle e Polinice, in quelle sette ore in cui si perdono e ritrovano, è altrettanto nostra. È quella della nostra tragica attualità, ma anche quella della nostra interiorità privata. È la grande ferita degli atroci conflitti che stanno distruggendo la contemporaneità e la piccola ma non meno funesta ferita che coviamo dentro quando non riusciamo a vedere altro che il nostro punto di vista. Per questo “Sette” diviene un viaggio nella nostra di storia, nel nostro di tempo e nelle nostra di frattura interiore. Un viaggio senza meta predefinita, senza certezza né risoluzione, ma con un monito che risuona in noi, una maturata consapevolezza: “sangue crea sangue, violenza crea violenza, non c’è salvezza nella guerra”.
SETTE
[studio a partire da Sette contro Tebe di Eschilo]
testo originale, regia e drammaturgia Auretta Sterrantino
musiche originali e progetto audio Vincenzo Quadarella
con Giulia Messina e Carlotta Maria Messina
assistente alla regia Elena Zeta
ufficio stampa Marta Cutugno
QA-QuasiAnonimaProduzioni/Nutrimenti Terrestri in collaborazione con il Teatro Vittorio Emanuele (ME)
Spettacolo costruito durante una residenza all’Università di Malaga (Spagna)
Facoltà di Filosofia e Lettere, Dipartimento di Filologia Classica
Prof.ssa responsabile: Marta González González