Abbiamo intervistato il coordinatore del progetto di Barcellona Pozzo di Gotto, che ne ha ribadito l’efficienza e i vantaggi per la città. E sul recente caso di cronaca ribadisce: “La responsabilità penale è soggettiva; non si può condannare, insieme ai due ragazzi, un intero continente”
“Il gesto dei ragazzi è abominevole e va condannato senza riserve, ma ricordando che a commetterlo sono stati due uomini, e poco importa il colore della loro pelle”. Ribadisce il concetto di responsabilità penale soggettiva Michele Liuzzo, coodinatore del progetto Sprar di Barcellona Pozzo di Gotto. Il progetto è finito alle attenzioni della stampa per un tentativo di violenza sessuale a una giovane nigeriana da parte di due gambiani, ora in stato di fermo. Ne abbiamo discusso, senza ipocrisie.
I fatti
“Giunti agli appartamenti in mattinata” – spiega Liuzzo – “abbiamo notato qualcosa che non andava nella ragazza, che accusava forti dolori in diverse parti del corpo. Abbiamo deciso di portarla al pronto soccorso, e soltanto lì la giovane ha raccontato ciò che le era successo. Così abbiamo chiamato le forze dell’ordine per denunciare il tutto; la ragazza è tuttora seguita da personale sanitario e da una psicologa, e si trova al sicuro in un appartamento dedicato in attesa di capire come affrontare adeguatamente il suo caso. Per i due ragazzi è scattato il fermo dell’Autorità giudiziaria e, se le accuse saranno confermate, perderanno il loro status di rifugiati così come la possibilità di rientrare nel progetto Sprar”.
L’organizzazione dello Sprar
“Non ci sono vincoli per gli ospiti del progetto” – continua il coordinatore – “che sono maggiorenni e ai quali è già stato riconosciuto lo status di rifugiato. Sono stati identificati, hanno dato le impronte digitali ed è stato loro rilasciato un regolare permesso di soggiorno; possono dunque circolare liberamente, non sono clandestini. I ragazzi risiedono in autogestione nei (pochi) appartamenti messi a disposizione, tramite bando comunale, dai privati. Noi li seguiamo durante la giornata, organizziamo eventi e, soprattutto, cerchiamo di farli lavorare grazie ai tirocini formativi che le aziende ci propongono; ma non abbiamo alcun obbligo di seguirli anche durante la notte. Purtroppo, dopo un anno e otto mesi in cui non è successo nulla di rilevante, è arrivato questo episodio a sporcare il progetto; può succedere, è inevitabile ma, lo ripeto, un gesto ignobile come un tentativo di stupro viene fatto dall’uomo, non dall’africano piuttosto che dall’italiano. Adesso sarà la magistratura a seguire il suo corso”.
Il contesto
Ma ci sono delle accortezze che possono prevenire casi del genere? “Nella nostra idea” – insiste Liuzzo – “uomini e donne dovevano vivere separati in appartamenti diversi. Le commistioni ci sono comunque, perché i ragazzi diventano una comunità, ma una maggiore disponibilità di appartamenti – che, tengo a sottolineare, paghiamo per intero, senza chiedere sconti, e puntualmente – avrebbe fatto comodo. Noi vogliamo integrare gli ospiti nel tessuto sociale della città, altrimenti non serve a nulla accoglierli; ma la risposta della città è spesso diffidente, al punto che più di una volta abbiamo dovuto scegliere nuove strutture perché, in quelle candidate, gli inquilini non volevano avere a che fare con “gli stranieri”. Adesso si spara a zero sullo Sprar, come se i tentativi di violenze fossero una prerogativa dei ragazzi di colore; noi non ci stiamo”.
Questioni economiche
Gli introiti economici dell’associazione sono sufficienti a coprire i costi del progetto? C’è un problema economico? “L’associazione “I girasoli”, che eroga il servizio Sprar, è una onlus, riconosciuta tra le migliori nel campo dei servizi per l’accoglienza; anche per il caso in questione abbiamo un filo diretto con Roma, dove ha sede l’ufficio centrale che si occupa di gestione dei rifugiati. I versamenti alla nostra associazione sono annuali, e questo ci costringe ad avere delle priorità: ci impegniamo anzitutto a erogare il miglior servizio di accoglienza possibile, e a pagare tutte le tasse previste; facciamo questo sacrificando a volte le nostre stesse retribuzioni, ed è inevitabile. Ma garantiamo sempre il servizio. Nessuno, poi, tiene conto dell’indotto generato dallo Sprar: abbiamo bisogno di cibo e di tante altre cose, che compriamo nelle attività barcellonesi; abbiamo assunto personale locale; infine, grazie ai numerosi tirocini formativi, anche le aziende possono beneficiare del progetto. Senza, i ragazzi sarebbero per strada, e tanti circoli virtuosi che siamo riusciti a instaurare semplicemente non esisterebbero. Sappiamo tutti che esistono leggende per cui agli immigrati vengono destinati soldi, camere a cinque stelle e chissà che altro; ma, oltre la facile demagogia, bisogna guardare anche alle note positive che lo Sprar porta alla città”.
Rapporti con l’amministrazione e futuro del progetto
Il progetto Sprar viene riconosciuto – nel bene e nel male – all’ex sindaco Maria teresa Collica. Cosa cambia dopo l’avvicendamento con Roberto Materia? “Proprio in questi giorni era prevista la prima visita ufficiale del sindaco, saltata perché adesso la priorità è gestire l’episodio accaduto. Abbiamo comunque rinnovato il nostro invito, e siamo certi che il primo cittadino lo accoglierà. Subito dopo il suo insediamento, Materia ha detto di voler studiare le carte, ma di essere intenzionato a dar seguito al progetto. I primi mesi ci hanno confermato la massima disponibilità dell’amministrazione, e guardiamo con fiducia al futuro”.
Al netto delle rappresentazioni mediatiche e delle accuse al progetto, resta però la terribile situazione di una ragazza che, già provata dagli orrori vissuti in Libia, si è trovata a rivivere quegli incubi. Ora la giovane non vuole più stare a Barcellona, e si sta cercando una soluzione che possa restituirle la speranza. “Sono state dette le cose più assurde sui due ragazzi e sul progetto” – conclude Liuzzo – “ma non una parola è stata spesa in favore della ragazza; è questo che dovrebbe farci riflettere”.
Una parola è però arrivata proprio stamattina: l’associazione “Verbo onlus”, impegnata su tutto il territorio del distretto socio-sanitario D28 nella lotta e nel contrasto alla violenza di genere, si è impegnata a “fornire alla giovane vittima tutto il supporto legale e psicologico necessario per superare il difficile momento. La presidente di Verbo Onlus, Alessandra Tafuro, si è dichiarata altresì disponibile, sin da subito, ad avviare accordi di collaborazione con la struttura e con le istituzioni operanti nel territorio, per far sì che episodi del genere non si verifichino mai più”. Un segnale di distensione e civiltà in nome della lotta alla violenza di genere; un fenomeno che non ha razza, religione o etnia.
Giovanni Passalacqua