Il costituzionalista: "Il ddl è in contrasto con la Costituzione. Dalla sanità all'istruzione, va contro l'equa distribuzione delle risorse"
MESSINA – Professore Gaetano Silvestri, costituzionalista, per nove anni componente della Corte costituzionale e presidente dal 2013 al 2014, ma anche presidente della Scuola superiore della magistratura ed ex rettore dell’Università di Messina, che idea si è fatto del disegno di legge sull’autonomia differenziata? Il ddl Calderoli, così come viene chiamato, è stato appena approvato dal Senato e ora passerà alla Camera dei deputati…
“Questo disegno di legge s’aggancia all’articolo 116 della Costituzione così come è stato modificato, nel 2001, con la riforma del titolo V. Che sia possibile un’autonomia differenziata, nel quadro costituzionale italiano, lo dice la nostra stessa Carta. L’autonomia differenziata è stata introdotta nella Costituzione con questa riforma. Prima non c’era. Il problema è come si attua, la misura e quali principi sono alla base d’attuazione. Vedremo anche quali modifiche verranno approntate. Oggi quelli che difendono la riforma, sul fronte centrodestra, obiettano che è stato il centrosinistra a spianare la strada nel 2001. Ed è vero”.
Ma quanto questa misura corrisponde allo spirito della Costituzione? Lei che idea si è fatta?
“Da parte mia, un’idea non positiva. Ho l’impressione che questa riforma parta più dalla spinta di alcune regioni a trattenere il più possibile le risorse, e non destinarle invece alla redistribuzione solidaristica in campo nazionale, piuttosto che dal desiderio di attuare l’articolo 116 della Costituzione. Tanto è vero che il passo iniziale fu il referendum effettuato nelle regioni Lombardia e Veneto. Il punto centrale di questo referendum era che la maggior parte del gettito tributario, proveniente da queste regioni ricche d’Italia, dovesse rimanere lì da loro, non dandolo allo Stato centrale e quindi a tutta la popolazione italiana. Questo disegno di legge, dunque, nasce da uno spirito di chiusura nei confronti degli altri. Se l’autonomia differenziata è concepita come il desiderio, da parte di chi ha di più, di trattenere il più possibile, e dare il meno possibile, evidentemente si cerca d’attuare l’articolo 116 della Costituzione in contrasto con i principi supremi della Carta costituzionale stessa. Uno dei quali è il principio di solidarietà, sancito dall’articolo 2”.
L’articolo 4 del disegno di legge precisa, però, che l’autonomia sarà concessa solo successivamente alla determinazione dei Lep, Livelli essenziali delle prestazioni. Così, sulla base di questi criteri, il livello di servizio minimo dovrebbe essere garantito in modo uniforme su tutto il territorio italiano. Che ne pensa?
“Si sostiene che l’autonomia differenziata può avere attuazione solo se sono fissati i Lep. Ma c’è un equivoco di fondo”.
Quale?
“Non è sufficiente che siano fissati i Livelli essenziali delle prestazioni. Risulta necessario che siano realizzati. Quando sono fissati, sono scritti sulla carta, sono astratti. Non sono concreti. Il principio della perequazione, che nasce dalla solidarietà nazionale, vuole che vi sia un’equivalenza dei servizi essenziali resi ai cittadini, dall’istruzione alla sanità, e attualmente non esiste”.
Di fatto, è una carta di principi e non ci garantisce che i Lep vengano realizzati?
“Sì. Sono degli obiettivi che vengono fissati e le ipotesi sono due. O noi li intendiamo in senso sostanziale, e prima di fare l’autonomia differenziata, aspettiamo che i Livelli essenziali delle prestazioni siano veramente realizzati in Italia e tutto va alle calende greche. Oppure l’autonomia differenziata si fa in presenza di Lep solo fissati, e non realizzati, e allora è una sottrazione massiccia di risorse alla solidarietà nazionale. Quella solidarietà che deve essere sentita principalmente dalle regioni ricche nei confronti di quelle che hanno un grado minore di sviluppo economico”.
Allora, chi afferma che si tratta di una secessione delle Regioni ricche del nord, rispetto a un sud arretrato, potrebbe avere ragione…
“Ricordo che sono 23 le materie che possono essere trasferite alle Regioni e sono molto importanti. Ho citato prima istruzione e sanità. Di conseguenza, le Regioni, per poter svolgere le funzioni amministrative, avranno bisogno di risorse. Le sottrarranno dunque allo Stato centrale e, in sostanza, alle altre Regioni. È una secessione: non giuridica ma di fatto. Non fanno una Repubblica autonoma ma il più possibile le risorse rimangono nelle mani di chi ha un gettito tributario e un reddito maggiori, con uno sviluppo economico superiore, a scapito della solidarietà nei confronti di chi ha di meno. E c’è una spia, un elemento rivelatorio di quest’impostazione”.
Quale?
“Nel disegno di legge Calderoli si sostiene, e il ministro Giorgetti lo ha riaffermato, che tutta questa operazione deve avvenire con la clausola d’invarianza finanziaria. Se non si stanziano, invece, nuovi fondi e non si aumenta considerevolmente la spesa pubblica, il finanziamento delle nuove funzioni, che dovranno esercitare le Regioni richiedenti l’autonomia differenziata, non può che avvenire a danno delle altre. Se la matematica non è un’opinione…”.
Per svolgere le nuove funzioni, le Regioni avranno bisogno di nuove risorse…
“Sia quelle più povere, sia le ricche, avranno bisogno di nuovi fondi. E quelle ricche conferiranno di meno al centro, intaccando così quel principio di solidarietà di cui parlavo prima”.
In più il fondo di perequazione è stato svuotato, mentre in precedenza si parlava di cinque miliardi a disposizione…
“È la dimostrazione della direzione sbagliata in cui sta andando l’attuazione dell’articolo 116. La perequazione è un principio contenuto nella Costituzione, con l’articolo 119. Ora si stanno introducendo delle contraddizioni. Qualcosa che cozza con i principi fondamentali della Carta costituzionale. Si sta attuando l’articolo 116 in contrasto con altri articoli della Costituzione. Il che dimostra che è una strada erronea. Io non dico che non si debba fare l’autonomia differenziata, perché è scritta nell’articolo 116, ma si deve realizzare in maniera tale da non danneggiare le altre regioni”.
Non ci sono garanzie che questa discriminazione del sud, a vantaggio del nord Italia, non si realizzi, una volta approvata la legge?
“No, c’è la garanzia del contrario. Io sono sempre per l’integrale attuazione delle norme costituzionali, come l’articolo 116, ma non si può fare questa operazione senza rispettare il principio di solidarietà e con la sottrazione di risorse alle regioni meno sviluppate”.
Oggi la proposta di legge è targata Lega e centrodestra. Ma la modifica del titolo V della Costituzione da parte del centrosinistra ha creato le condizioni perché si arrivasse a questo disegno di legge…
“Il centrosinistra, nel 2001, ha fatto questa riforma che si è rivelata un vero disastro. Nei miei nove anni alla Corte costituzionale, passavamo il tempo a mettere toppe e a cercare di riequilibrare una normativa fatta davvero male”.
Per giunta, noi viviamo in una regione che non ha tratto grandi benefici dallo statuto speciale…
“Avremmo dovuto capirlo. Lo statuto speciale per la Regione siciliana, entrato in vigore prima della Costituzione, è stato dato per la presenza del movimento separatista. In genere, la politica cerca di tacitare le spinte disgregratrici con concessioni. Lo statuto era quasi di stampo federalistico ma è stato utilizzato dalla classe politica dominante per drenare risorse e spenderle in modo clientelare, anziché destinarle a un maggiore sviluppo della regione”.
Ci vorrebbe un rafforzamento dei Comuni…
“I Comuni oggi sono le principali vittime del sistema, mentre dovrebbero essere, come diceva giustamente don Luigi Sturzo, la cellula vitale delle istituzioni. Sono il livello di governo più vicino ai cittadini. Del resto, c’è pure scritto nella Costituzione: tendenzialmente, le funzioni dovrebbero andare ai Comuni, tranne quelle che, essendo d’area vasta, devono andare a un livello superiore. Il Comune è il cuore pulsante delle istituzioni democratiche”.
E il ruolo dello Stato centrale?
“Deve avere il ruolo assegnato dalla Costituzione. Un ruolo perequativo di per sé. L’unità nazionale, di cui il presidente della Repubblica è custode, non è solo l’unità territoriale ma significa anche l’equivalenza delle condizioni di vita. Pensiamo alla sanità. Con l’autonomia differerenziata che succederà? Avremo ancora di più, in alcune regioni, una sanità di grande rilievo e in altre, come già succede ora, con il fenomeno dell’emigrazione sanitaria, una sanità non all’altezza”.
Torniamo alla Costituzione. Spesso le classi politiche non rivelano grande cura nel maneggiarla…
“Sono riforme fatte in modo strumentale. Nel 2001 si pensava, concedendo l’autonomia differenziata, di rabbonire la Lega, che allora parlava di secessione. Ed è stato un errore grave. In generale, meglio non fare danni quando si tratta di Costituzione”.
Ma è così arretrata la nostra Carta d’avere bisogno di continue modifiche?
No, la nostra Costituzione, ancora oggi, nel 2024, mantiene una grande modernità ma va attuata. In gran parte, non è attuata. Ci sono dei principi costituzionali che aspettano d’essere attuati”.
Ad esempio?
“Per esempio il diritto al lavoro. Tutti i diritti sociali stanno andando indietro, invece d’andare avanti. Questa vituperata Costituzione ha consentito all’Italia, un Paese uscito dalla guerra coperto di macerie materiali e morali, di diventare una delle maggiori potenze economiche del mondo. Con questa Costituzione, l’Italia si è ricostruita, si è sviluppata ed è riuscita a conquistare posizioni importanti. Poi è cominciata la crisi. Di certo, la Costituzione non ha ostacolato il miracolo economico e i progressi sociali, con tutti i difetti, per carità. Nulla è perfetto”.
Ma è ancora adeguata ai tempi?
“Ma certo. La nostra Costituzione ha un largo margine d’elasticità, consentendo di gestire le situazioni meglio di un sistema rigido che, come tutte le cose rigide, è più facile a rompersi”.
Perché toccare dunque la democrazia parlamentare e il ruolo del presidente della Repubblica?
“C’è un equilibrio dei poteri che va mantenuto. Uno squilibrio di poteri non porta a una maggiore stabilità ma a al caos. Il Parlamento ha tanti difetti ma teniamocelo stretto. Tutte le volte che i Parlamenti sono stati sostituiti dalle figure carismatiche è finita male. Con la riforma del premierato, il presidente del Consiglio eletto dal popolo si porterebbe la maggioranza del 55 per cento. Sarebbe un Parlamento al guinzaglio”.
Ritiene che, anche sul piano della riforma della giustizia, ci sia un pericolo per l’indipendenza della magistratura?
“Io non metto in dubbio che molti magistrati abbiano commesso degli errori e che vi sia, da parte di alcuni, una minoranza, un eccesso di protagonismo, con comizi, invece di sentenze. Però, agli occhi di chi oggi vuole erodere i margini d’indipendenza e autonomia della magistratura, la loro colpa è quella di voler applicare la legge. Pensiamo a Mani pulite. Oggi viene riletta come un’epoca d’oppressione. Ma c’era una corruzione che pervadeva ogni angolo della Repubblica. Se non ci fossero state autonomia e indipendenza, garantite dalla Costituzione, quei magistrati che scoprirono quel mare di corruzione sarebbero stati immediatamente trasferiti in Sardegna, come si diceva una volta. Sarebbero stati stroncati all’inizio”.
Da componente della Corte costituzionale, come ha vissuto l’ingerenza della politica?
“La mia indipendenza, come giudice costituzionale, ha poco merito perché mai nessuno mi ha fatto pressioni nei nove anni alla Corte. Potrei atteggiarmi a eroe ma nessuno mi ha fatto pressioni. Ho sempre deciso in piena libertà. Non a caso i giudici costituzionali vengono eletti con una maggioranza qualificata molto ampia, in modo che sia sempre necessario un accordo tra maggioranza e opposizione. Guai se maggioranza o opposizione pretendessero di mandare alla Corte tizio o caio”.
Indro Montanelli e Fini, forse gli ultimi rappresentanti di una destra seria, sono stati cacciati da Berlusconi al grido di “attenti ai comunisti”.
Proprio Montanelli che dalle BR fu gambizzato.
Beppe Alfano che Dio lo abbia in gloria era uno di destra e che uomo.
Persone integre intellettuali di altissimo livello epurate da quattro opportunisti senza orizzonti se non quelli personali.
Questo centro destra ha semplicemente rubato un brand svuotandolo di qualunque valore. È questa gente ad avere ucciso la destra in Italia usandone più le spoglie per celarvisi sotto.
Questo non è il centro destra…non so neanche come definirlo se non una lobby di opportunisti.
Almeno ora i nostri politici siciliani si metteranno a lavorare sul serio…. soprattutto se vorranno essere rieletti….
Il male sta in chi amministra e nn nella legge…e sotto gli occhi di tutti noi siciliani la dimostrazione di fatto che un utilizzo delle norme del ns statuto nn e’ prodomo i cittadini bensì a favore di un utilizzo improprio e clientelare dei poteri derivanti dall’ autonomia