Cresce al Sud il numero dei giovani che scelgono di non studiare e di non lavorare. Uno scoraggiamento in parte motivato...
Per la verità la notizia non è propriamente di “prima mano-, essendo stata pubblicata da un’agenzia di stampa autorevole come l’Adnkronos qualche giorno addietro, ma ci è sembrato opportuno comprendere cosa realmente ci rivelano i sondaggi di settore.
Ci riferiamo al mondo del lavoro, o meglio al numero di occupati che ci sono nel nostro Paese: ebbene, sembra che questo si stia incrementando al punto da lasciare sperare che vi siano buone speranze per una seria ripresa economica.
Ma, tutto ciò non è valido per il Sud, dove è vero che vi è un minor numero di disoccupati rispetto al passato, ma dove, purtroppo, è cresciuto in maniera esponenziale il numero dei cosiddetti “inattivi-, ovvero di coloro che non studiano e non cercano di trovare lavoro. Il Mezzogiorno, dunque, è talmente ricco da indurre i nostri giovani a starsene con le mani in mano? Al contrario: sembra che i ragazzi vivano una stagione di assoluta sfiducia nel sistema e, pertanto, non trovino gli stimoli per crearsi un proprio spazio nella società.
Questo singolare dato è confermato da tutta una serie di rilevazioni statistiche che in qualche modo spiegano il perché dell’atteggiamento passivo. Il Sud, infatti, registra un sempre più ricco numero di diplomati e laureati, ma è anche una terra dove la formazione paga meno che altrove: a tre anni dal conseguimento del titolo di studio, lavora poco meno della metà dei giovani rispetto alle percentuali rilevate al Nord ed al Centro.
Inoltre, tra i giovani che hanno trovato lavoro nell’arco degli ultimi dodici mesi, il 50% è a termine in tutte le regioni d’Italia, ma al Sud è più difficile che un contratto si trasformi successivamente in un impiego a tempo indeterminato.
Uno scoramento, insomma, determinato in parte dall’incremento della precarietà, ed in parte dalla constatazione che è difficoltoso riuscire a trovare un’occupazione che abbia una qualche attinenza con il proprio titolo di studio, fatto particolarmente evidente se si analizza la cosiddetta “fuga di cervelli-, ancora abbondantemente evidente nel meridione d’Italia.
Ed ecco il dato allarmante: gli esperti sostengono che, se il trend si assesta su tali livelli, potremmo assistere ad un progressivo abbandono dello studio sul quale, ormai, non si ripone più nessuna speranza.
Probabilmente, si evince sempre da tali ricerche, sarebbe proficuo implementare la formazione tecnica e invitare privati ed istituzioni a puntare su un’economia basata sull’impresa. Perché il futuro del nostro Paese non può e non deve perire sotto il peso dello sconforto.