Libertà, Nazione, Patria: che significato hanno oggi?
Un discorso emozionante quello di Presidente Napolitano ieri al teatro La Scala di Milano, un discorso che dovrebbe colpire il cuore di qualsiasi italiano, da nord a sud, di qualsiasi provenienza culturale e territoriale. L’italiano, non “spagheti e mandulìn“, non Mafia, Ferrari e Good Food, ma quell’italiano che è risorto, lottando dalle ceneri del fascismo, l’italiano che si è riscattato di fronte agli occhi del mondo, l’italiano attore protagonista delle più grandi innovazioni sociali, economiche e tecnologiche del 900. Si, ci sono tanti motivi per essere fieri di essere italiani, almeno tanti quanto per vergognarsene di fronte all’ignoranza e alle generalizzazioni che pure all’estero trovano dimora. Si commuove il Presidente raccontando di Sandro Pertini, il Presidente della Repubblica più amato dall’Italia del riscatto economico e fa venire un nodo alla gola anche a chi lo ascolta (tranne che a qualche autorità in platea che non gli regala neanche un applauso), mostrando non solo grande attaccamento alla figura di uno che per lui fu un amico, ma anche orgoglio per l’Italia di quei tempi, all’Italia che ancora può essere grande e che, guardata in questo momento, lascia poche speranze di un futuro ancora glorioso. Sandro Pertini è un esempio in mezzo a moltissimi uomini, che per un’ idea, un futuro veramente libero, si sono presentati all’appuntamento con la storia e col proprio destino, hanno offerto il loro impegno, il loro dolore, le loro funamboliche azioni e, a volte, la loro vita. Hanno dato tutto per quell’idea di libertà che oggi è svuotata del suo più ricco significato: decantata e utilizzata da tutti, osteggiata addirittura nel nome dei partiti di nuova formazione. Il confronto col passato però ci fa capire che è radicalmente cambiato ciò che il cittadino libero pretende dal suo Stato. L’idea pura di libertà ha lasciato spazio alla concezione per la quale si è liberi nelle libertà che ci vengono concesse, non liberi in quanto esseri umani del terzo millennio, ma liberi perché qualcun altro ci concede certe libertà, oltre le quali nulla possiamo pretendere. L’uomo è libero all’interno della scatola che gli viene confezionata dalla classe che lo dirige, dal favoritismo, dal clientelismo politico, dall’ aggancio in alto. Non c’è spazio per l ’iniziativa personale, non c’è modo di guardare oltre: chi è furbo si accontenta della vita che gli è stata concessa, anzi addirittura ne è grato e cerca di starci il più comodamente possibile, evitando di togliersi le calde pantofole per migliorarsi, per fare un salto in una vita diversa, che in ogni caso non gli sarebbe concessa. Libertà, Nazione, Patria: sono questi i termini evocati da Giorgio Napolitano, fantasmi del passato interpellati come in una sorta di seduta spiritica. Parole che sono ideali, che sono diventate, per molti uomini e donne, obiettivi di vita, modelli a cui votarsi giorno per giorno, traguardi tanto fondamentali da meritare anche il sacrificio del bene più importante. Concetti che hanno portato al progresso, che hanno permesso all’umanità di cambiare prospettiva, di risorgere, di migliorarsi. Uomini e donne che combattono, vivono, lavorano, uniti dalla comune appartenenza, non solo a un fazzoletto di terra, ma a qualcosa che unisce il loro spiriti e li orienta verso un fine comune. Che spazio c’è oggi per questi ideali? Le dure battaglie per un’idea, il sangue versato per un progetto che unisse tutti, per il futuro della propria comunità, sembrano oggi non avere alcun senso o addirittura essere stati vani. L’unità? «un concetto vecchio di cinquant’anni», come dice Renzo Bossi, il nuovo e ammirato emblema dell’ignoranza quasi imbarazzante dell’ italiano del 2000, che, se per fortuna o abilità, è inserito nel circuito giusto, riesce ad avere posizioni di rilevanza, di dirigenza e di indirizzo di noi cittadini, ai quali le idee non danno da mangiare, non risolvono i problemi. Questo è il frutto della strumentalizzazione che è stata fatta di questi concetti in questo Paese dalla nascita della Repubblica ad oggi, idee che sono diventate l’arma del potere, i santi a cui votarsi quando mancano le risposte concrete, quando, con l’abilità retorica, è il caso di dirottare il discorso su argomenti generali, che riempiono la pancia a tutti. E’ quest’uso subdolo, sporco, scorretto di questi temi, che esponenzialmente cresce con l’avanzare dei tempi all’interno della nostra classe dirigente, in primis politica, che ha portato il cittadino a discostarsi completamente da questi obiettivi di vita, che oggi vengono visti, nel migliore dei casi, come inutili e vuoti, nel peggiore come simbolo di un fallimento, come elementi da contrastare per un futuro migliore, votato all’individualismo e all’egoismo che pagano, che consentono di non veder sperperate le risorse prodotte. Libertà, Nazione, Patria sono si, concetti generali e in un certo senso astratti, ma sono quelle idee da cui necessariamente si deve partire, sono quei concetti che devono abbracciare l’intera vita civile, ma che devono necessariamente essere riempiti di contenuto concreto, di strutture solide che facciano intendere al cittadino di trovarsi dentro una costruzione tangibile, all’interno una dimensione reale che è quella dello Stato. Come può l’italiano di oggi credere ancora all’idea di Stato? L’italiano abbandonato sempre più dalle istituzioni, spettatore di una politica dell’interesse economico, litigiosa non per il bene dei cittadini ma per contendersi fette di potere e di controllo. Lo Stato, da entità sovra ordinata, da necessario punto di partenza del viver civile che attraversa ed è immanente a tutte le attività della vita dell’uomo, è diventato, in questo Paese, un concetto del tutto astratto, non più rinvenibile nella realtà fenomenica. L’italiano è stato abbandonato dallo Stato che è un qualcosa che non fa più parte della sua esperienza. Nell’ Italia di oggi non è più lo Stato che garantisce, protegge, assiste il cittadino, pretendendo qualcosa in cambio, ovvero la partecipazione economica e solidale alla vita comune: questi compiti sono oggi assolti malamente dall’amico in alto, da qualcuno che ci può aiutare e proteggere, in cambio di un qualcos’altro non definito o definibile, diverso a seconda dei casi e delle circostanze, come nella migliore tradizione mafiosa. Molto superficialmente, è questa la panoramica del nostro sistema oggi, fatto di pratiche e abitudini che hanno sovvertito quello per cui, in tutto il mondo, si è a lungo lottato, quello che è stato conquistato e che oggi viene vanificato. Tutto oggi ha cambiato significato, ognuno di questi termini è stato capovolto, lacerato, svuotato del suo significato forte e, riempito del significato che gli si voleva dare, utilizzato in un’ottica utilitaristica, strumentale rispetto all’obiettivo di parte da raggiungere, allo scopo di volta in volta individuato. Chi ci amministra è classe dirigente perché indirizza il popolo interpretando la sua volontà. I nostri attuali governanti, non intesi in senso strettamente politico ma come le personalità e nodi di potere che guidano questo Paese, hanno creato il loro eden: distaccandosi dalla vita mondana, dal senso e dall’obiettivo del loro mandato, hanno in tutto questo tempo e in modo sempre più incalzante, fatto sprofondare la nostra comunità in un buco nero di ignoranza, di rigidità culturale, celata dietro un, a loro modo di vedere,necessario pragmatismo, ma in realtà esisto dell’assoluta dissoluzione dei valori fondanti di uno stato democratico. Un appiattimento culturale e civile che sempre più da loro la possibilità di muoversi liberamente per inseguire il proprio interesse: l’accrescimento del loro patrimonio, l’affascinante controllo delle sorti altrui che il potere da, l’idolatria delle masse che si rassegnano a perseguire quel modello di vita. La prima soluzione che viene in mente, a queste tanto gravi problematiche, è l’abbattimento, più culturale che fisico, dell’attuale assetto di potere in questo Paese, per dar spazio a una classe dirigente pulita, che svolge il suo primo compito, ovvero quello della salvaguardia dell’interesse dei cittadini, che lavora per il bene pubblico. Un’utopia di questi tempi, un proposito quanto mai impossibile togliere dalle mani dell’attuale zoccolo duro del potere il controllo dello Stato. Solo la società civile può sovvertire quest’ordine, il popolo però deve essere guidato da un gruppo di cittadini che lo rappresenti in senso ampio e garantisca per i suoi interessi: da una classe dirigente insomma. In questo circolo vizioso, una sola certezza: l’unità dei cittadini permette di superare i momenti di crisi, di guardare al futuro per essere migliori, tagliando i rami secchi sopra la nostra testa che non ci hanno permesso di spiccare il volo. Lavorare nel proprio piccolo per un fine comune, per un bene trascendente la società, per lo sviluppo e il benessere di tutti: questo sarebbe l’utopia di un vero nazionalismo, cosa ben diversa dall’attuale crescente egoismo civile che porta, come primo obiettivo, al raggiungimento del proprio scopo, non curandosi se questo determini un danno per chi ci sta vicino. Libertà significa buttarsi a capofitto per uno sviluppo positivo delle sorti della propria comunità, significa il ripudio della non curanza e della staticità e l’esaltazione dell’impegno civile, del rispetto per chi ci sta vicino: una vita attiva, sensata,irrimediabilmente legata all’esistenza degli altri membri della nostra comunità. Quanto sopra esposto mi fa pensare a una splendida frase di una canzone di Giorgio Gaber, con la quale, secondo me, sarebbe giusto chiudere queste riflessioni: «La libertà non è stare sopra un albero, non è neanche il volo di un moscone. La libertà non è uno spazio libero: libertà è partecipazione».